Afghanistan, Pangea onlus: proteggere le donne dalla violenza talebana

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Loro esistono e chiedono di non sparire. Il burqa coprirà pure i loro volti, ma non nasconderà mai né la forza, né la volontà di queste donne che, sfidando il fondamentalismo oscurantista dei talebani tornati al potere, dimostrano al mondo che “il lavoro, l’istruzione e la partecipazione politica sono diritti di ogni afghana”. Lo ha gridato ieri un piccolo gruppo di loro, a Kabul, sotto il freddo sguardo dei miliziani che, per ora, non le colpiranno, come hanno promesso nelle prime dichiarazioni all’Occidente, quando hanno garantito che non impediranno loro di andare a scuola e di essere cittadine con diritti, purché nei limiti imposti dalla Sharia, quella legge islamica che può variare a seconda delle interpretazioni. 

La doppia verità dei talebani

La vendetta è però altra cosa, percorre altri binari, ed è quella che si teme per chi ha collaborato con gli occidentali, per chi è di altra fede o etnia, per chi ha lavorato nei diritti umani, e per le donne, a difesa delle quali si sta alzando la voce della comunità internazionale, dall’Unione Europea agli Stati Uniti che, con altre 18 nazioni, in una dichiarazione congiunta esprimono “preoccupazione per le donne e le ragazze, per il loro diritto all’istruzione, al lavoro e alla libertà di movimento”. Un appello che, si teme, poco o nulla potrà fare, perché “i talebani portano avanti un doppio discorso, uno per farsi accettare a livello internazionale, poi però sul territorio avviano rastrellamenti”. A raccontare è Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea onlus, associazione italiana che, dal 2003, opera in Afghanistan in progetti a favore delle donne e che in quel Paese ha una trentina di collaboratici di varie età, che ora vivono nascoste, che difficilmente riescono a comunicare e che, nel frattempo, in pochissime ore, hanno distrutto la documentazione del loro attivismo degli ultimi anni per evitare di essere schiacciate dalla furia.

Ascolta l’intervista con Simona Lanzoni

La caccia e la punizione

“Purtroppo le nostre colleghe ci hanno scritto che i talebani stanno entrando nelle case per verificare chi effettivamente ha lavorato per conto delle ong occidentali e per poter punire chi lo ha fatto”. Le buone intenzioni paventate dai talebani cozzano contro le testimonianze, come quella di una giovane di Mazar-i Sharif, unica superstite dell’eccidio di un gruppo di dipendenti di una organizzazione non governativa, 16 persone in tutto. “Come possiamo fidarci dei talebani?” è l’angoscia della Lanzoni, che chiede all’Italia di non dimenticare chi per vent’anni ha lavorato nelle organizzazioni italiane, aiutando a costruire un progetto “che ha dato possibilità di sviluppo e speranze a tante donne”.  

Il miracolo dell’istruzione

In Afghanistan la paura è un sentimento rimasto sopito per tanti anni e che ora, drammaticamente risvegliato, riporta a “quel meccanismo di aver paura del vicino di casa che ti può denunciare per una cosa anche non vera, semplicemente per salvarsi. Quindi le donne, in questo momento, sono i target principali; i talebani di certo non le rispettavano prima e per quanto possano fare degli sforzi, per noi è veramente difficile pensare che le rispetteranno adesso”. Il passato insegna che in questo Paese sono sempre state le donne a pagare il prezzo più alto, eppure gli ultimi decenni raccontano di una metamorfosi molto importante. “Sono stati messi molti semi che stavano generando una trasformazione, lenta, ma che aveva permesso alle bambine di venire istruite”, racconta ancora la Lanzoni. Nelle zone rurali dell’Afghanistan si arriva al 100% di analfabetismo per le donne, mentre in città solo un 20% ha iniziato a studiare, ad andare a scuola e all’università, ed è quella la grandissima speranza per il futuro. “In questo periodo i semi avevano iniziato a dare anche dei frutti, dei cambiamenti sociali ci sono stati anche per le ragazze”, ora il ritorno dei talebani riporta tutto indietro, a ben oltre vent’anni fa.

La resistenza delle donne

Voi avete l’orologio, noi abbiamo il tempo, è l’espressione utilizzata dai leader talebani nei confronti di Paesi stranieri. Ma quel tempo lo hanno anche le donne afghane che, conclude la Lanzoni, “pur nella loro fragilità, nella loro paura, hanno una capacità di resistenza veramente infinita, anche di fronte a cose inverosimili, e io veramente mi auguro in questo momento possano reggere”. Una speranza è affidata ai corridoi umanitari, invocati da più parti, anche da Pangea, che chiede di avviarli subito, prima che sia troppo tardi, mentre nel frattempo si va avanti tentando di mettere in protezione le collaboratrici. Il futuro vedrà poi di nuovo tutti impegnati a lavorare per chi rimarrà in quel Paese, affinché si possa costruire un’alternativa ai talebani e a quell’Emirato islamico che “mette i brividi al solo pronunciarlo”.