Il superiore della Missio sui iuris nel Paese asiatico, rimpatriato in Italia tre anni fa con il ritorno dei talebani, sottolinea il valore dell’appello lanciato da Francesco all’udienza generale del 15 maggio affinché la comunità internazionale non abbandoni una terra devastata a inondazioni che uccidono e distruggono. “A prescindere dal regime politico che è al potere, le organizzazioni devono darsi da fare, perché le popolazioni possano ricevere aiuti”
Deborah Castellano Lubov – Città del Vaticano
Padre Giovanni Scalese, ultimo superiore della Missio sui iuris in Afghanistan, e unico sacerdote cattolico presente nel Paese fino alla sua uscita, con altre migliaia di persone, dopo il ritorno al potere dei talebani il 15 agosto del 2021, riflette sull’appello del Papa rivolto ieri, 15 maggio, all’udienza generale circa le conseguenze delle alluvioni dei giorni scorsi su una popolazione che ogni giorno affronta la scarsità di beni essenziali per la sopravvivenza. Dopo avere trascorso in passato quasi sette anni nel Paese asiatico, unico sacerdote cattolico attivo a Kabul, il barnabita ricorda le difficili condizioni in cui ha operato come missionario. Fu Papa Pio XI a volere una presenza della Chiesa nell’Afghanistan.
Padre Scalese, all’udienza del mercoledì di ieri il Papa ha lanciato un appello importante per l’Afghanistan colpito da devastanti inondazioni. Lei che notizie ha di questa calamità?
Io purtroppo ho pochissime notizie. Ho saputo di questa tragedia nei giorni scorsi da padre Giuseppe Moretti, mio confratello e mio predecessore a Kabul, perché altrimenti sui mezzi di comunicazione nessuno ne parla, al contrario di altri eventi di minore importanza che invece dominano l’attenzione, anche per settimane. Quando si tratta dell’Afghanistan non se ne parla. Quindi penso sia sicuramente importante che il Santo Padre abbia fatto ieri mattina questo appello. Anzi, gliene siamo davvero molto grati, proprio per aver fatto crollare questo muro di silenzio. Speriamo che almeno adesso, avendone parlato lui, qualche mezzo di informazione riporti la notizia.
L’Afghanistan è un paese poverissimo. Che effetto hanno queste inondazioni sulla vita quotidiana dalla gente?
L’Afghanistan è un Paese poverissimo, quindi gli afghani hanno ben poco da perdere, purtroppo sono abituati a questi eventi disastrosi e sono abituati anche ad affrontarli così come possono, come hanno sempre fatto, nel corso della storia dell’Afghanistan, stringendo i denti e ricominciando ogni volta daccapo. Certo, si spera ancora in un intervento da parte comunque di chi potrebbe intervenire. Il Papa stesso ieri mattina si è appellato alla comunità internazionale, alle organizzazioni non governative, agli organismi internazionali. Ecco, speriamo che ci siano degli interventi per venire in soccorso di queste popolazioni.
Il Papa ha sollecitato l’aiuto dalla comunità internazionale, perché dopo il ritorno al potere dei talebani a Kabul su questo Paese è calato il silenzio. Cosa si può fare per ridare voce all’Afghanistan?
Non saprei, davvero non saprei, perché questo purtroppo è esattamente quel che è avvenuto dopo il 15 agosto del 2021. Nessuno parla più dell’Afghanistan. Perché non interessa! Non interessa, purtroppo! Il mondo dell’informazione non è oggettivo, non riporta tutte lee notizie, è molto selettivo. Sceglie soltanto certe notizie, quelle che possono interessare il grande pubblico o quelle che magari possono essere importanti per qualche motivo di carattere ideologico o politico. E quindi, in questo caso, l’Afghanistan è stato completamente dimenticato. Io spero però che prima o poi ci si renda conto e che, soprattutto le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative, a prescindere da chi è al potere e dal regime politico, riprendano a darsi da fare, affinché le popolazioni che sono nel bisogno possano ricevere aiuti.
Quali sono i ricordi più vivi dei suoi anni trascorsi da missionario in quel Paese? Lei era l’unico sacerdote presente…
Io purtroppo non ho dei buoni ricordi dell’Afghanistan. Sono stato lì sette anni, dal 2015 al 2021 e sono stati anni molto difficili. Non ho avuto la possibilità di visitare il Paese, era troppo rischioso, anche lo stare soltanto a Kabul, dentro l’ambasciata italiana, dove c’era la sede della missione cattolica, non si poteva neanche circolare per la città perché era pericoloso. Ogni giorno c’erano degli attentati. Era un Paese in stato di guerra, quindi non ho belle esperienze da poter raccontare. Se c’è in un bel ricordo, diciamo, è quello del 13 ottobre 2017 quando, al termine del centenario delle apparizioni di Fatima, abbiamo fatto la consacrazione dell’Afghanistan al Cuore Immacolato di Maria, ed è questo che mi dà tanta fiducia. Perché l’Afghanistan, anche se viene ignorato, dimenticato, abbandonato da tutti, però certamente non può essere abbandonato da Dio e da Maria. E l’Afghanistan è anch’esso nel Cuore Immacolato di Maria, che certamente proteggerà questo Paese, proteggerà il suo popolo e non permetterà che perisca, nonostante tutte le prove a cui è sottoposto. Grazie al Santo Padre che si è ricordato dell’Afghanistan, sperando che questi interventi possono avere una qualche efficacia a favore del popolo afghano.