È morto all’età di 84 il giornalista che per quasi mezzo secolo ha scritto di Vaticano per l’agenzia France Presse
ANDREA TORNIELLI
Indossava in ogni stagione sgargianti camicie a fiori. Sorridente, sempre con la battuta pronta, stemperava in romanesco qualsiasi tensione. Aveva il vaticanismo nel DNA, nel vero senso della parola, essendo figlio di un grande pioniere dell’informazione sul Papa e la Santa Sede, mestiere che lui ha abbracciato con passione diventandone un protagonista. È morto oggi all’età di 84 anni Bruno Bartoloni, per 45 anni redattore vaticanista della France Presse e dal 1975 collaboratore del Corriere della Sera.
Ha scritto per numerose agenzie, ha pubblicato articoli su diversi quotidiani e periodici italiani e internazionali: da Epoca a Panorama, dalla Reuters a Paris Match fino al brasiliano Veja. Ha annunciato l’elezione dei Pontefici da Giovanni XXIII a Benedetto XVI. Oltre che giornalista è stato anche romanziere. Al suo romanzo “Il Rigogolo del Vaticano”, edito da Polistampa nel 2008, è seguito “Le roman du Vatican secret”, pubblicato in Francia da Rocher nel 2009. Sono poi usciti “Le orecchie del Vaticano” (Pagliai, 2012), “Le ali di Leonardo sul vento del Bosforo” (LogartPress, 2013), “Zucchetti e kippah” (Pagliai, 2023). Ha sempre portato al collo una piccola stella di David d’oro perché era figlio di un’ebrea berlinese, Marianne Dorn-Warschauer, nipote del grande compositore Felix Mendelssohn-Bartholdy. Il padre Giulio, giornalista italo-argentino, è stato un pioniere dell’informazione vaticana fin dai tempi di Papa Benedetto XV.
Proprio collaborando con il padre Giulio, quando giovanissimo, fu coinvolto nella vicenda legata all’annuncio anticipato della morte di Pio XII. Ecco il suo racconto, che fece a chi scrive: «Avevo diciotto anni. Mio padre lavorava per un pool di giornali e di agenzie, tra cui la “Reuters”, la “France Presse” e l’“Agenzia Italia”, che era nata da poco. All’epoca le informazioni filtravano col contagocce: ricordo che mio padre passava a determinati orari in una certa edicola vicino a San Pietro a ritirare una busta sigillata e anonima, che conteneva la lista delle udienze papali del giorno successivo. Questo gruppo di agenzie stipendiava regolarmente una “talpa” all’interno dei palazzi pontifici». Quella “talpa” era l’archiatra pontificio Riccardo Galeazzi-Lisi. In previsione della morte di Pio XII, il pool di giornalisti aveva affittato un appartamento a Castelgandolfo, con tanto di telefono – caso abbastanza eccezionale a quei tempi – per le notizie “soffiate” dal medico. «La notte tra il 5 e il 6 ottobre 1958 ricevemmo a Roma una telefonata di “Giovanni” (il nome in codice, ndr.) che ci diceva che le cose si mettevano male. Mio padre mi mandò a Castelgandolfo con l’ordine di rimanere lì. Disse che dovevo attendere un segnale da una finestra del palazzo papale, e che non dovevo farmi vedere dagli altri giornalisti. Qualcuno avrebbe agitato un fazzoletto subito dopo la morte di Pacelli. Ricordo che io ero sorvegliatissimo dagli altri cronisti e la cosa mi divertiva e mi lusingava un po’. L’atmosfera era quasi felliniana, con i colleghi che mangiavano i cartocci di porchetta bivaccando sotto le finestre del papa morente. Ogni volta che mi spostavo da una parte all’altra, ero seguito e provocavo degli ondeggiamenti di folla».
A un certo punto qualcosa si muove dietro a un vetro. «Vidi qualcosa – raccontò Bartoloni – e avvertii immediatamente mio padre, che si trovava nella sala stampa vaticana, a Roma. Il segnale doveva essere molto discreto, da dietro la finestra. Non si pensava che ce ne sarebbero stati tanti di movimenti, come invece accadde». Giulio Bartoloni, dalle cui labbra pendevano giornalisti e agenzie di stampa, disse ai colleghi del pool che a Castelgandolfo c’è stato un segnale. «Ma nessuno pensò di utilizzarlo come notizia certa. Né la “France Presse” né la “Reuters”» raccontava il giornalista «inviarono i loro dispacci annunciando la morte del Pontefice. Mancavano le verifiche, che andavano assolutamente fatte, soprattutto in un caso del genere».
Ma qualcuno pensò di uscire senza verificare. «Purtroppo il cronista dell’“Agenzia Italia”, proprio mentre mio padre avvertiva del segnale ricevuto, sentì suonare la sigla iniziale dei programmi di Radio Vaticana e non si contenne, pensando che stessero per dare l’annuncio ufficiale del decesso. Inviò il dispaccio. “Il Tempo”, che aveva già nel cassetto un’edizione speciale, andò in stampa e prima di mezzogiorno la notizia della morte del Papa era stampata e distribuita nelle edicole del centro». Di lì a pochi minuti sarebbero seguite le edizioni di altri quotidiani: “il Messaggero”, “il Giornale d’Italia”, e quindi “Momento Sera”. Su alcuni edifici romani comparvero le prime bandiere a mezz’asta. «Pio XII» si leggeva in quelle cronache «è morto alle 10.40. Egli è trapassato senza coscienza dal sonno alla morte». In realtà, esattamente a quell’ora, si era soltanto mossa una tenda dietro a una finestra. Il falso annuncio, attraverso la redazione di un giornale veneziano, arrivò fino a Udine: in tutto il Friuli si suonano le campane a morto in memoria di Pacelli. Finalmente, alle 12.45 il professor Antonio Gasbarrini emetteva un bollettino informando che «il Santo Padre respira ancora, anche se con molta fatica». Nel frattempo il Sostituto alla Segreteria di Stato, Angelo Dell’Acqua, che si trovava al capezzale del Pontefice, rientrava precipitosamente a Roma per smentire la notizia e protestare presso il governo italiano. Le copie dei giornali vennero frettolosamente ritirate per ordine della Questura. «Nessuno accusò Galeazzi-Lisi di questa attività informativa che rimase sconosciuta» concluse Bartoloni, «anche se sono convinto che non fosse il solo stipendiato dalla stampa, perché quell’8 ottobre 1958 di segnali dalle finestre se ne videro diversi».
La carriera giornalistica di Bruno Bartoloni, che ebbe questi inizi epici, è stata costellata di tanti episodi che era solito raccontare ai colleghi, alcuni dei quali mitici, come l’essere stato dirottato da un pirata in Tunisia, l’essersi introdotto come clandestino in un volo papale tra Firenze e Roma, l’essersi impossessato di un paio di sci offerti a Giovanni Paolo II.