Per la Campagna Internazionale per il Bando delle Mine antiuomo (ICBL) le vittime sono state 4710 persone lo scorso anno, l’85% dei quali civili. Drammaticamente in aumento il numero dei morti in Ucraina. Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo: “Questi ordigni continuano e continueranno a mietere vittime per decenni”
Leone Spallino – Città del Vaticano
Sono numeri in aumento quelli che riguardano le vittime delle mine antiuomo secondo il report, presentato a Ginevra, dalla “Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo” (ICBL), coalizione di organizzazioni non governative che si battono per l’abolizione e contro la vendita di tali ordigni. I numeri sono in crescita anche a causa dell’aumento delle vittime in Ucraina, 608, mentre lo scorso anno erano state 58. Il numero più alto di vittime in assoluto si registra invece in Siria (834) seguita proprio da Ucraina, Yemen e Myanmar, con 500 vittime circa ciascuno. Il problema maggiore verso il disarmo totale è rappresentato dall’utilizzo estensivo delle mine fatto da Paesi che non hanno sottoscritto il trattato sulla messa al bando delle mine antiuomo, come Russia e Myanmar. Mosca ha utilizzato ed utilizza le mine in modo massiccio nell’invasione dell’Ucraina. Anche Kyiv, nonostante sia un membro firmatario del trattato, ne ha fatto uso. “Purtroppo sono tanti i Paesi che non hanno aderito al trattato sulle mine e a quello relativo alle munizioni a grappolo, soprattutto i principali Paesi come Stati Uniti, Russia e Cina – dice Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo – finchè questi potenti Paesi non cambieranno approccio, saremo costretti a leggere ogni anno questi tipi di report”.
Le vittime
Le vittime sono principalmente civili, circa l’85%. Elevatissima anche la quantità dei bambini uccisi o feriti, circa la metà dei civili. “Le mine e i proiettili inesplosi colpiscono prevalentemente i civili, che spesso sono ignari che alcune aree siano minate – spiega Simoncelli – in particolare bambini e minori che magari rimangono incuriositi dalle munizioni inesplose e ci interagiscono, rimanendo poi feriti o mutilati, quando non perdono proprio la vita”. Anche i servizi medici di trattamento e riabilitazione rimangono non adeguatamente finanziati, mentre il costo sulla società civile cresce sempre di più. Per l’editore del report, Loris Persi, l’elevato numero di vittime dimostra la necessità di eseguire maggiori investimenti per garantire che i diritti di tutti i feriti siano assicurati. È necessario, prosegue, perseguire una maggiore assistenza per salvare vite, facilitare la riacquisizione della mobilità e garantire una reintroduzione di queste persone nella forza lavoro.
Gli sforzi per il disarmo
Se dal rapporto emerge una buona notizia, è che si è evidenziato un incremento nei fondi per l’azione globale contro le mine antiuomo, +52% rispetto allo scorso anno. Sono 60 le aree geografiche del mondo infestate dalla presenza delle mine. Queste includono 33 Paesi che hanno sottoscritto il trattato per la messa al bando, che sono obbligate, dall’articolo 5 del trattato, a eseguire azioni di sminamento. Il 60% delle bonifiche sono dovute a due Stati, Croazia e Cambogia, che stanno facendo grandi passi avanti verso la bonifica totale. Sono stati distrutti globalmente quasi 170.000 dispostivi esplosivi, per un territorio bonificato di 219.31km². I Paesi più contaminati sono la Cambogia, che risulta il Paese del mondo dove sono presenti più mine in assoluto, l’Afghanistan, la Bosnia, la Croazia, la Turchia e l’Iraq, con più di 100 km quadrati di territorio invasi dalle mine. Il rapporto presume che nella stessa condizione si trovino anche Ucraina e Etiopia, ma mancano ancora dati definitivi. “La comunità internazionale un poco si impegna nei finanziamenti per gli sminamenti- conclude Simoncelli – ma è evidente che quando si parla di decine di milioni di mine inesplose sul terreno si parla di uno sforzo gigantesco ”.