Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Sono arrivati ieri pomeriggio a Fiumicino con uno dei tanti voli partiti in giornata da Kabul. Un viaggio lungo, difficile e faticoso al termine di un’attesa altrettanto lunga nella capitale afghana, attesa di trovare il momento migliore per abbandonare il Paese, nel caos generale che contraddistingue l’aeroporto della capitale. Sono partiti e arrivati grazie alle forze militari italiane. Si tratta di padre Giovanni Scalese, barnabita alla guida della Missio sui iuris unica presenza cattolica nel Paese asiatico, e di cinque suore tra cui le missionarie della Carità di Madre Teresa e una suora della Ong Pro Bambini di Kabul ( PBK). Con loro, 14 piccoli disabili anche gravi accuditi in Afghanistan proprio dalle suore della carità.
Ad accoglierli all’aeroporto c’era il padre Matteo Sanavio rogazionista e presidente di PBK, che ha parole di ringraziamento a Dio per il primo abbraccio realizzatosi finalmente, ma ha anche sentimenti di preoccupazione per il futuro della gente afghana che è rimasta come di quella che sta arrivando in Europa. “Presenze giovani, donne, uomini, bambini, che con molta dignità e discrezione stanno affrontando un esodo enorme.Loro fortunati ad andare via, fuggiti con le poche cose cha hanno e specchio di un fallimento di tutto il nostro mondo evidentemente non costruito su basi solide perchè fatte di paura e armi”. “tanno fggendo purtoppo, ci dice, quelli che hanno una cultura del servizio e del dono , semi di carità che i religiosi presenti in Afghanistan hanno seminato e che si spera ora porteranno frutto”.
Padre Sanavio come è andato il vostro primo incontro a Fiumicino?
Siamo riusciti a farli arrivare sani e salvi.. questi giorni sono stati molto intensi e complicati però veramente bisogna ringraziare le forze italine per il lavoro e la dedizione che stanno mettedo, per tutto. Sono riusciti in una impresa che ha dell’epico. Sono riusciti a portare in salvo le suore, questi piccoli semi di carità cristiiana presenti in Afghanistam e soprattutto bisogna ringraziarli per aver portato i nostri bambini, quelli delle suore dellacarità che hanno disabilità più gravi. Sono 14 e sono riusciti ad arrivare nonstante non siano autoomi, con leloro carrozzine o in barella .I militari hanno fatto un’opera meravigliosa. Sono arrivati nel pomeriggio e già in serata sono andati a riposare nelle loro rispettive comunità.
Quali sono state le prime parole che vi siete detti?
Io sono andato a Fiumicino solo a vedere se c’era qualcosa da fare, qualcosa di cui avessero bisogno. E veramente le prime cose che ci siamo scambiati sono stati i sorrisi sotto le mascherine, ci siamo in qualche modo potuti abbracciare, ma proprio le prime parole che ci siamo detti sono state: “Lodiamo il Signore perchè ha fatto cose grandi”. E’ chiaro che adesso la situazione della Chiesa in Afghanistan è tutta da rivedere e ripensare, lo faranno altri, la Santa Sede credo, proprio perchè ufficialmente l’unica presenza della Santa Sede nel Paese era quella nell’ambasciata italiana che è stata chiusa e l’unico sacerdote che era lì la cui presenza risaliva agli anni “20, ora non c’è più. Mi spiegavano i miei confratelli che l’Italia è stato il primo Paese a riconoscere la sovranità dello Stato afghano, per questo ci fu un accordo con il Re negli anni “20 e da allora in poi c’è sempre stato un sacerdote a Kabul. Ora gli eventi drammatici di questi giorni hanno negato questa presenza. Bisogna ricordare anche che lo Stato afghano è sempre stato confessionale, islamico e la presenza dei religiosi e delle religiose cristiane è sempre stata una presenza seminascosta, almeno molto molto discreta, legata a compiti ben precisi come l’infermeria, l’educazione, quella speciale, o la carità. In questi ultimi 15 anni anche con la nostra associazione “Pro Bambini di Kabul – nata nel 2004 da un appello lanciato da San Giovanni Paolo II – si sono visti solo miracoli di carità. Tutti questi semi di carità ad un occhio umano potrebbero sembrare persi oggi o – come mi piace più pensare e dire – se il seme caduto in terra non muore non porta frutto. Ora, quanto seminato dai religiosi in tanti anni è rimasto lì e vogliamo sperare e pregare che dia frutto.
Onu: restiamo in Afghanistan per servire il popolo afghano
In Afghanistan, intanto, la situazione umanitaria resta critica. L’Onu denuncia esecuzioni sommarie e rende noto che sono bambini quasi il 60% degli afghani sfollati quest’anno. Sul versante politico, la discussione di ieri al G7 sull’Afghanistan è stata dedicata ai tempi dell’ evacuazione. Il presidente americano, Joe Biden, ha confermato la data del 31 agosto per il completamento del ritiro delle truppe statunitensi. II premier italiano, Mario Draghi, ha chiesto uno sforzo straordinario per i profughi. I talebani hanno interdetto, ai civili afghani, l’accesso all’aeroporto di Kabul. L’ingresso nello scalo aeroportuale viene invece consentito ai cittadini stranieri. Il segretario dell’Onu, António Guterres, assicura infine il sostegno delle Nazioni Unite al popolo afghano: “Restiamo nel Paese e continueremo a restarci e a fare tutto quanto possiamo per la sicurezza del nostro personale e per servire il popolo afghano, che ha molto sofferto”.
Cina e Russia sulla via del dialogo
La scadenza fa aumentare il ritmo e il caos allo scalo di Kabul. Per chi vuole fuggire queste sono le ultime ore di ponte aereo sotto la minaccia “concreta e imminente”secondo gli 007 Usa, di attentati suicidi della branca asiatica dello Stato islamico, il cosiddetto Isis-Khorasan, nemico dei talebani e pronto a creare il caos nel pieno del ritiro della Nato. Sono finora 82.300 le persone evacuate, a rischio ne sono 300mila tra le fila degli ex collaboratori afghani della missione Nato. In migliaia saranno lasciati indietro. Intanto mentre anche la Turchia ha iniziato il ritiro delle truppe, tra Cina e Russia si tenta la strada del dialogo con il regime.Mosca infatti si è detta disposta a coordinarsi con Pechino per una “transizione graduale della situazione in Afghanistan, per combattere il terrorismo, per porre fine al traffico di droga e prevenire la propagazione dei rischi alla sicurezza”. Il presidente Vladimir Putin, nel resoconto dei media cinesi, ha sostenuto nel colloquio telefonico col presidente Xi Jinping, che le parti “hanno convenuto che l’attuale situazione internazionale e regionale è complessa e in evoluzione”. E che è “molto importante tenere una comunicazione tempestiva sulle principali questioni bilaterali e multilaterali, concordando stretti scambi attraverso vari mezzi”.