Ai Musei Capitolini una esposizione illustra la stagione dorata del Rinascimento, attraverso le figure di due artisti, padre e figlio. La curatrice Claudia La Malfa: mi piacerebbe che da qui, sul colle capitolino, il visitatore scendesse alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva per ammirare gli affreschi originali
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Se pensiamo alla bellezza perfetta, alla più indescrivibile e allo stesso tempo più pura mai realizzata nell’arte, quasi sicuramente verranno alla mente i dipinti degli artisti del Quattrocento, che rilucono di grazia e armonia. Sono molti gli artisti che si sono misurati nel raffigurare Madonne, angeli o donne di incomparabile splendore e tra questi spiccano un padre e un figlio. “Filippo e Filippino Lippi. Ingegno e bizzarrie nell’arte del Rinascimento” è la mostra visitabile fino al 25 agosto ai Musei Capitolini, nelle sale del quarto piano di Villa Caffarelli. La mostra è promossa da Roma Capitale, dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Associazione MetaMorfosi, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, un’occasione per conoscere da vicino due figure chiave della storia dell’arte universale.
Icone pop
Le opere dei due artisti sono celebri tanto da essere diventate vere icone pop, diffuse nelle case e su oggetti d’arredo o di uso comune, al pari della Gioconda, della Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer o degli autoritratti di Frida Kahlo: moltissime persone hanno sicuramente a capo del loro letto l’immagine familiare della Vergine con il Bambino, nota anche come Lippina, conservata agli Uffizi, tempera su tavola di Filippo Lippi, dipinta tra il 1460 e il 1465.
In mostra ci sono prestiti da importanti musei e istituzioni, tra cui le Gallerie degli Uffizi, l’Accademia di Venezia, la Collezione Cini di Venezia, la Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Torino, l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. L’allestimento, attraverso una successione ragionata e cronologica, che si dipana attraverso i percorso delle sale in penombra, introduce a una conoscenza più profonda dei due artisti e al contempo cala il visitatore nella suggestione di un tempo irripetibile.
Attraverso due figure, un’intera epopea artistica
La curatrice della mostra, Claudia La Malfa, storica dell’arte, docente presso la Loyola University Chicago di Roma e visiting lecturer alla University of Kent, ai media vaticani spiega che l’idea è stata quella di raccontare la stagione dorata del Rinascimento toscano attraverso non soltanto due artisti ma di due artisti padre e figlio, perché ”Il fatto che il figlio erediti il mestiere del padre, essendo Filippino cresciuto nella bottega di Fra Filippo, dove peraltro studia anche Botticelli, e la relazione tra questi artisti riescono a illustrare tutta la pittura del Rinascimento toscano tout court”.
Claudia la Malfa prosegue parlando degli obiettivi e degli aspetti che la mostra ha inteso portare in luce attraverso queste due figure chiave dell’arte: “L’elemento interessante, dirompente, di questa produzione artistica, che viene evidenziata dal percorso espositivo, è la vita stessa di Filippo, nato a Firenze nel 1406, la cui vita personale viene scardinata dal suo innamoramento per una donna, Lucrezia Buti. Filippo cresce come frate carmelitano nel convento di Santa Maria al Carmine a Firenze che è proprio l’incarnazione del luogo dove Masolino e Masaccio avevano dipinto la cappella Brancacci. Filippo poi lavora a Prato, dove si reca con piacere, ben pagato, nel 1452, e vi rimane per molto tempo, perché oltre a dipingere gli affreschi della Badia gli viene commissionata una serie di altre opere come il Ceppo vecchio e il Ceppo nuovo. Lavora per gli Inghirami, committenti privati, e alcune volte deve interrompere il lavoro degli affreschi perché mancano i fondi per andare avanti. In questo periodo pratese, il frate carmelitano intesse una liaison amorosa con una giovane, non si sa se destinata alla vita monacale, comunque mandata dal padre che era della famiglia Buti con la sorella nel monastero di Santa Margherita di Prato”, dice la curatrice.
Vite in movimento
La Malfa continua: “Lippi si innamora di questa donna. È un elemento scardinante della sua vita che noi raccontiamo anche attraverso i documenti che contribuiscono a ricreare l’atmosfera e calare i visitatori nel Quattrocento toscano”. Nella prima sezione, dedicata a Fra Lippi, alcuni documenti provenienti dagli archivi di Firenze e di Spoleto testimoniano inoltre la rete di contatti dell’artista con Cosimo de’ Medici e con il re di Napoli.
Tra le opere di Filippo c’è occasione di ammirare la Madonna Trivulzio del Castello Sforzesco di Milano, sua opera fondamentale, datata alla quarta decade del Quattrocento, poi la Madonna con angeli e committente della Collezione Cini di Venezia, opera di devozione privata e per questo meno solenne e più intima, delicata. Due piccole tavole della Galleria degli Uffizi, raramente esposte al pubblico, raffiguranti l’Annunciazione della Vergine e i Santi Antonio Abate e Giovanni Battista e altre due tavole di grandi dimensioni raffiguranti i Santi Agostino e Ambrogio, Gregorio e Girolamo, dalla Pinacoteca dell’Accademia Albertina, di Torino, che originariamente formavano i laterali di un trittico la cui parte centrale si trova ora al Metropolitan Museum di New York.
Un figlio sulle orme del padre
La curatrice passa a parlare del figlio: “Filippino, che nasce a Prato intorno al 1457 dove vive col padre, si trasferisce con lui e forse anche con la madre a Spoleto fino alla morte di Filippo nel 69, quindi si reca a Firenze, entra nella bottega come allievo documentato di Botticelli. Lavora, diventa un pittore autonomo e nel 1480 inizia a eseguire gli affreschi della Cappella Brancacci che lo porta a confrontarsi con quello che era stato il modello del padre. Inizia a ricevere delle committenze sia private che pubbliche, importante per esempio quella dei priori di San Gimignano che gli commissionano la straordinaria Annunciazione, visibile in mostra, e poi altri lavori che riceve da signori fiorentini e di fuori Firenze. A Lucca c’è una delle sue opere molto belle e importanti nella chiesa di San Michele in Foro. A Bologna riceve una serie di commissioni, fino a quando nel 1488 Lorenzo il Magnifico lo segnala al cardinale napoletano Oliviero Carafa, che a Roma vuole avere una bellissima cappella molto grande, decorata nella sua chiesa del suo ordine, quello dei domenicani, a Santa Maria sopra Minerva”.
Nei disegni l’esperimento
La grafia nervosa e questo passaggio stilistico si nota molto bene da alcuni disegni prestati dalla Galleria degli Uffizi e dall’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. L’opera più seducente tra le opere di Filippino in mostra, è l’Annunciazione dei Musei Civici di San Gimignano, composta da due grandi tavole di forma circolare, “dove l’artista conia le geometrie prospettiche e l’intima narrazione degli interni del padre mediandole con il respiro più ampio delle figure sinuose di Botticelli, in un’inedita concezione del contrappunto pittorico tra una nuova profondità prospettico -paesaggistica e un primo piano caratterizzato da preziosi colorismi e trasparenze che determinerà la fortuna di Filippino Lippi nella grande produzione pittorica delle ultime decadi del Quattrocento sia a Firenze che a Roma” osserva La Malfa.
Il fascino di Roma e del suo passato eterno
“Filippino Lippi arriva a Roma nel 1488, e scopre Roma. – prosegue La Malfa – Dipinge una cappella che è monumentale nell’invenzione e nella concezione narrativa, con l’allegoria di san Tommaso. Una visione grandiosa e complessa, soprattutto nell’elaborazione dei modelli dell’antichità che diventano la chiave dirompente della sua arte e che noi abbiamo voluto portare in mostra attraverso delle grandi riproduzioni digitali retroilluminate, sperando che dalla mostra sul colle capitolino i visitatori possano scendere e andare a vedere gli affreschi originali nella magnifica basilica di Santa Maria sopra Minerva”, osserva La Malfa.
Il bizzarro e le bizzarrie
Giorgio Vasari, nelle sue Vite dei più celebri pittori, scultori e architetti, “usa il termine bizzarro per il padre”, dice La Malfa, “per il suo comportamento durante la sua vita, e bizzarria per il figlio, per il suo stile, soprattutto per ciò che deriva dall’impatto con le antichità romane, in cui il pittore introduce una serie di novità, ovvero traduce il modello classico in una grafia più accelerata, più emotiva, che prima non aveva. Era stato un pittore più posato e monumentale nelle linee e poi introduce una serie di elementi come frammenti di marmi architettonici o teste di cavallo che vengono inseriti negli affreschi, ispirati ai fregi antichi, e poi anche le grottesche. Queste sono le bizzarrie del figlio, che Vasari ricorda essere stato uomo gradevolissimo, amatissimo a Firenze tanto che in via dei Servi, dove aveva bottega, quando muore, tutti i bottegai, scrive Vasari, chiusero i loro negozi in segno di lutto”, conclude la curatrice. Tutto questo è dimostrato dai disegni esposti nella mostra, proprio perché attraverso questa tecnica si vede molto bene questo tratto molto nervoso che lui assume soprattutto dopo la venuta a Roma. Prima era un pittore più vicino alle cose del padre e alla monumentalità appresa dai grandi maestri del primo 400. Dopo diventa un pittore di grafia, che cerca nel movimento e nell’azione di esprimere il pensiero e le intenzioni dei personaggi che sta rappresentando: se un angelo vola sulle nubi, svolazzano il velo, i capelli, il crine con un’enfasi che prima non aveva”, conclude la curatrice.
Un cambio stilistico, quasi un affrancamento dal passato
La grafia nervosa e questo passaggio stilistico si notano molto bene in alcuni disegni prestati dalla Galleria degli Uffizi e dall’Istituto Centrale per la Grafica di Roma. L’opera più seducente tra le opere di Filippino in mostra, è l’Annunciazione dei Musei Civici di San Gimignano, composta da due grandi tavole di forma circolare, “dove l’artista conia le geometrie prospettiche e l’intima narrazione degli interni del padre mediandole con il respiro più ampio delle figure sinuose di Botticelli, in un’inedita concezione del contrappunto pittorico tra una nuova profondità prospettico -paesaggistica e un primo piano caratterizzato da preziosi colorismi e trasparenze che determinerà la fortuna di Filippino Lippi nella grande produzione pittorica delle ultime decadi del Quattrocento sia a Firenze che a Roma” osserva La Malfa.
L’impronta indelebile dell’antico
In mostra vi è anche un disegno di Filippino proveniente dall’Accademia di Venezia che preannuncia l’ingegnosa invenzione realizzata nell’impresa ad affresco nella cappella Carafa della chiesa di Santa Maria sopra Minerva: “Una vera e propria scatola cinese di immagini dentro le immagini, un meccanismo ingegnoso e complesso che si possono apprezzare nella parete della cappella dove sono raffigurate l’Annunciazione e l’Assunzione della Vergine”, nota Claudia La Malfa, che continua: “Apice della produzione pittorica di Filippino Lippi, la Cappella Carafa è un condensato di citazioni dall’antico, dalle grottesche, alla statua equestre del Marco Aurelio, che all’epoca si trovava ancora di fronte alla basilica di San Giovanni, e il fregio antico che si trovava dentro la chiesa, e ancora la statua del re barbaro prigioniero, attualmente nel cortile dei Musei Capitolini, la piccola statua di putto che gioca con l’oca”.