Antonella Palermo – Città del Vaticano
Scendere nel ventre della basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio per scoprirne l’impronta paleocristiana che nel giro qualche settimana anche il pubblico potrà ammirare. I lavori di restauro, cominciati all’inizio di quest’anno, sono stati completati a luglio scorso. Per Vatican News le porte si aprono in anteprima e in esclusiva; la nostra guida è il parroco, monsignor Renzo Giuliano, esperto di arte antica. È lui che ci conduce in quella che non esita a definire “la prima parrocchia della storia”.
Nel luogo della memoria della predicazione di Marco
La basilica quale oggi ci si presenta è ancora sostanzialmente l’edificio attribuibile all’intervento di Gregorio IV (827-844), quindi del nono secolo, nonostante le superfetazioni sei e settecentesche e le precedenti modifiche attuate al tempo di Paolo II (1464-1470) quando si costruì il palazzo Venezia nel quale la chiesa fu inglobata. Doveva al tempo essere ridotta in pessime condizioni, tanto che il Papa volle ricostruirla dalle fondamenta, farla decorare a mosaico e dotarla di un ricco corredo. Un intervento che annullò totalmente le tracce monumentali preesistenti.
Il rione dove siamo si chiama apud palacina, luogo dove è verificabile esattamente la memoria di San Marco. La sua vita come evangelista nacque proprio qui. Vicino ci sono infatti i resti di una domus romana: qui i primi cristiani si riunivano e ascoltavano nelle case la predicazione di Pietro e Marco, che con lui era giunto in questa grande metropoli. Sarà poi inviato ad Alessandria d’Egitto, una civiltà in fermento, allora. Qui sarà catturato morendo il 24 aprile del 68; i cristiani ne avrebbero raccolto i resti conservati in un santuario. Poi due mercanti veneziani, per salvarlo dalla invasione degli infedeli, in una maniera ingegnosa lo avrebbero portato a Venezia. “Papa Marco, l’antico parroco dell’oratorio di San Marco, fece costruire, sotto Costantino (nel 336), questa basilica, la prima – precisa don Giuliano – pensata come parrocchia. Infatti qui è stato scoperto il fonte battesimale”: si ha traccia del perimetro della vasca, che presenta una inconsueta forma a croce, con i suoi canali di deflusso e le impronte della pavimentazione a lastre di marmo bianco. “Realmente la chiesa voluta da Papa Marco fu espressione dell’attenzione alla vita pastorale della zona di fedeli che abitava ai margini del centro città, costituito dai Fori imperiali: una zona densamente popolata da pagani e fratelli ebrei che contava allora 45mila abitanti”.
L’esito di tre campagne di scavi per comporre una storia nuova della basilica
Furono i lavori di bonifica dall’umidità fatti eseguire dal Genio Civile tra gli anni I947-I949 ed anche agli inizi dei ’50 a far affiorare la titolare paleocristiana sottostante. Venne rimosso il pavimento della navata centrale della chiesa gregoriana e tornò alla luce gran parte del corpo longitudinale così come furono viste le fondazioni altomedievali. Purtroppo, in quella occasione così propizia non furono eseguiti scavi attenti ed adeguati. Ci vollero tre campagne di scavi, condotte tra il 1988 e il 1990, a far delineare una nuova storia delle fasi della basilica marciana. Prima di tutto, nell’area del sottoportico rinascimentale è venuta in luce la struttura dell’abside primitiva e un percorso stradale fino ad oggi sconosciuto sul quale l’abside aggetta, che ha andamento normale alla via Lata. Di notevole importanza ha questa strada per il contributo alla conoscenza del sistema viario di quella che era la zona delle Pallacinae. Il pavimento di marmo si estende per una lunghezza notevole, segno di prestigio. Quanto alla facciata, non si può dire nulla poiché non è stata ancora trovata. “L’abside nelle due antiche chiese era opposta a quella che si vede oggi”, continua don Renzo. “Papa Gregorio IV infatti ne cambiò la prospettiva per impedire al Tevere, come era accaduto altre volte, di poter invadere la chiesa e renderla inutilizzabile”.
Padre Piccolo: uno scrigno d’arte che diventa comunità di pietre vive
Come far incontrare la contemporaneità con una tradizione millenaria, con la radice dei primi evangelizzatori scolpita nelle pietre antiche? Dall’idea della professoressa Rosalba Manes, docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università Gregoriana, si è resa fattibile una celebrazione eucaristica domenicale a mezzogiorno destinata, in particolare, a coloro che per varie ragioni non riescono a frequentare la propria parrocchia di appartenenza. A presiederla è il gesuita padre Gaetano Piccolo S.I., decano di Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana:
Si è pensato di creare le condizioni perché questo non fosse solo un luogo di passaggio turistico, con spettatori stupefatti ma isolati. “È una messa che valorizza peraltro tutti gli spazi liturgici della chiesa. L’altare, posto molto in alto, resta preposto alla liturgia eucaristica, mentre il sacerdote scende a livello dell’assemblea nel momento dell’omelia. Le intenzioni di preghiera universale sono libere e ciascuno può esprimerle dal suo posto. Perché la connotazione che si è voluto dare a questa Messa è proprio la libertà – spiega padre Gaetano – aldilà di ogni ‘etichetta’ e formalità”. Un’ulteriore peculiarità sta nel modo con cui si vuole agevolare il fare comunione: dopo la celebrazione ciascuno è benvenuto in sacrestia dove si offre e condivide un aperitivo.