Chiesa Cattolica – Italiana

A Mosca l’ultimo saluto a Mikhail Gorbaciov

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Una lunga fila di circa duemila persone per rendere omaggio a Mikhail Gorbaciov, scomparso martedì scorso all’età di 91 anni dopo una lunga malattia. E’ quanto si è visto stamani nella famosa Sala delle Colonne all’interno della Casa dei sindacati di Mosca. Presente all’ultimo saluto l’ex presidente russo e vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitri Medvedev, mentre il primo ministro russo Mikhail Mishustin e il governo hanno inviato corone di fiori. Tra i leader stranieri solo il premier ungherese Viktor Orban, che era a Mosca per una serie di incontri.

Il rifiuto della violenza

Papa Francesco in un telegramma alla figlia Irina lo ha ricordato per “il lungimirante impegno per la concordia e la fratellanza tra i popoli”, e “per il progresso del proprio Paese in un’epoca di importanti cambiamenti”. Il professor Andrea Graziosi, Ordinario di storia contemporanea, all’università Federico II di Napoli, tratteggia così il padre della perestrojika:

Ascolta l’intervista allo storico Andrea Graziosi

Qual è il merito politico di Gorbaciov?

Gorbaciov è stato un’idealista e moralista nel senso buono del termine. Ha sempre rifiutato l’uso della forza, della violenza sempre e ha sempre pensato che se non si usavano la forza e la violenza le persone avrebbero trovato il modo di costruirsi una vita diversa. Il grande merito è l’aver portato alla fine della guerra fredda in maniera pacifica, e l’aver portato la fine dell’Unione Sovietica in maniera relativamente pacifica. Credo che Gorbaciov, che non voleva l’indipendenza della Russia, ha regalato l’indipendenza anche a quest’ultima, nel senso che ha permesso un processo di liberazione, ha aperto una parentesi di speranza, quindi è un uomo che ha dato speranza e anche una possibilità alla gente, ma non sul suo progetto perché il suo progetto è fallito.

Con la scomparsa di Gorbaciov se ne va uno dei protagonisti della politica internazionale della fine del Novecento. Come possiamo inquadrarlo storicamente a trent’anni dal crollo dell’Urss e quanto è stato consapevole il suo ruolo nella fine della Guerra Fredda?

Da un lato non c’è dubbio che, come politico che voleva riformare l’Unione Sovietica, è stato un fallimento. E non è sbagliato considerarlo tale perché quello che voleva fare non è riuscito a farlo. Dall’altro, già allora, aveva evitato una fine sanguinosa della guerra fredda, perché non era scritto che la guerra potesse concludersi pacificamente -pensiamo a cosa succedeva negli stessi mesi in Jugoslavia. Ma la sua eredità, anche da un punto di vista morale e intellettuale, secondo me è un’eredità positiva perché ha ridato la possibilità ai russi, agli ucraini ma anche alle altre Repubbliche ex-sovietiche di reinventarsi. Poi come ciò è stato usato è dipeso da chi è venuto dopo di lui.

“Perestrojka” e “Glasnost” sono due parole ormai di uso comune anche in Occidente. Quanto era sostenibile il suo programma di riforme dal sistema sovietico e quanto invece è stato ostacolato?

Bisogna pensare che in realtà sono parole d’ordine venute dopo il 1986, il vero programma riformista iniziale che si chiamava “accelerazione” (uskorenie) fallì miseramente nel giro di due anni, quindi perestrojka e glasnost furono già due risposte politiche ad un fallimento di riforme economiche. La verità è che tutto il gruppo dirigente sovietico, non solo Gorbaciov, era convinto l’Unione Sovietica non potesse più andare avanti ma nessuno sapeva come fare anche perché non si conosceva la realtà. Negli anni di Brežnev il gruppo dirigente sovietico non aveva una conoscenza reale del sistema sovietico, quindi si sono messi a fare le riforme basandosi su idee sbagliate e fallendo già nel 1986-87. Faccio un esempio: hanno giustamente risposto all’enorme crisi demografica che si viveva allora, causata dall’alcolismo -la vita media degli uomini era di 61 anni mentre da noi stava superando gli 80. Ma risposero con un proibizionismo che era assolutamente impopolare, affrontando una crisi con uno strumento repressivo e anche questo è fallito. Già nel 87-88 si era capito che la riforma del sistema socio-economico sovietico era fallita e questo ha portato alla crisi politica del sistema.

Il suo avvicinamento agli Stati Uniti di Reagan fu storico, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione degli arsenali nucleari, che gli valsero il premio Nobel per la pace. Da cosa nacque questo impegno nel disarmo e quali sono gli effetti nell’equilibrio nucleare tra potenze ancora oggi?

Bisogna ricordare che anche Reagan si avvicinò a Gorbaciov, era una simpatia reciproca. Reagan era contrastato da molti suoi consiglieri ma pure lui a suo modo non voleva la guerra. Da parte di Gorbaciov c’era anche un calcolo: il peso del sistema industriale e militare in un Paese che si voleva riformare era insostenibile e quindi aveva bisogno di lasciare l’Afghanistan, di diminuire le spese militari, di eliminare il fardello degli aiuti agli stati satelliti esteri. Dietro la politica pacifista c’era anche un interesse che derivava dalla decisione di fare le riforme. L’accordo che lui raggiunse con gli Stati Uniti è straordinario, se lei pensa che gli Stati Uniti tanto furono convinti da Gorbaciov che ancora all’inizio degli anni novanta, dopo la fine dell’URSS, fecero pressioni sull’Ucraina, sul Kazakistan per far loro dare alla Russia le armi nucleari in loro possesso.

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