Da oggi 20 aprile fino a domenica 23, circa 300 esponenti delle Chiese cattoliche mediorientali riuniti a Nicosia per un convegno a dieci anni dall’esortazione “Ecclesia in Medio Oriente”. Il nunzio: il tema è la speranza, necessaria per rinnovare la fede e lo slancio missionario dei cristiani che non sono ospiti in queste terre ma da secoli offrono un contributo fondamentale
Debora Donnini – Città del Vaticano
In una terra che è “mosaico di storia e culture millenarie” come Cipro, prende il via oggi nella capitale Nicosia il simposio “Radicati nella speranza” dedicato al presente e futuro delle Chiese cattoliche mediorientali. Un appuntamento che si svolge nel decennale dell’esortazione post sinodale di Benedetto XVI Ecclesia in Medio Oriente, pubblicata dopo il Sinodo del 2010. Da oggi pomeriggio, 20 aprile, fino a domenica 23, circa 300 esponenti delle Chiese cattoliche mediorientali – patriarchi, vescovi, responsabili di comunità, religiosi, membri di associazioni e movimenti – prenderanno parte a liturgie e tavole rotonde del convegno presieduto dall’arcivescovo Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. Proprio Gugerotti terrà l’intervento introduttivo, insieme a lui l’arcivescovo Giampietro Dal Toso, nunzio apostolico a Cipro e in Giordania, che a Radio Vaticana – Vatican News definisce l’appuntamento come occasione preziosa per far luce sulla situazione dei cristiani in queste terre.
In una terra dove oltre ai fedeli i cattolici di rito latino, vi sono diverse Chiese orientali cattoliche sui iuris e dove si intreccia la vita di persone delle Chiese cristiane ortodosse di diverse religioni, quali sono oggi le sfide che la chiesa si trova davanti?
Le sfide sono notevoli, anche perché in questi dieci anni dalla pubblicazione della esortazione apostolica sono cambiate moltissime cose nel Medio Oriente. Penso, per esempio, alla guerra in Siria, a quello che è successo con Daesh, alla situazione attuale in Iraq, alle tensioni in Israele e Cisgiordania. Questi dieci anni sono stati anni importanti per Paesi che hanno visto cambiare per molti versi il loro volto. Rispetto a quei tempi, certamente le prospettive sono un po’ cambiate. Direi che la grande sfida, allora come oggi, resta è l’assottigliamento della presenza cristiana che non è solamente il fatto che ci sono molti cristiani che tendono ad emigrare, ma anche il fatto che il personale religioso non è più così numeroso come una volta. Tutto questo pone un problema fondamentale. Il Simposio vuole dunque porre una domanda: qual è il senso della presenza dei cristiani in questa terra? Qual è la vocazione dei cristiani su questa terra? È questa la sfida maggiore alla luce della quale poi possiamo interpretare anche le altre sfide che dobbiamo incontrare.
Si è compiuto in questi dieci anni un cammino anche a livello ecclesiale, a partire proprio da Ecclesia in Medio Oriente che affrontava moltissime questioni: dall’ecumenismo al dialogo interreligioso, dalla piena cittadinanza dei cristiani alla vita pubblica e il problema dell’esodo… Centrale anche il poter ricucire e portare la pace da parte dei cristiani.
I temi sono molteplici, ma vorrei soffermarmi sul tema chiave che è quello della cittadinanza che vuol dire riconoscere ai cristiani in queste terre che sono pienamente cittadini dei loro Paesi. Questo può sembrare una cosa scontata, magari anche agli orecchi accidentali, in realtà non è così perché ci sono una serie di situazioni in cui i cristiani vorrebbero poter dare il loro apporto alla vita dello Stato. Cittadini di uno Stato significa riconoscere che il concetto della cittadinanza vale per tutti i cittadini a prescindere dalla religione, e significherebbe anche riconoscere formalmente il fatto storico che i cristiani fanno parte di questa popolazione da sempre. I cristiani, non sono ospiti nel Medio Oriente, ci sono da sempre e hanno dato il loro rapporto considerevole alla crescita di queste società e quindi meritano il pieno riconoscimento dei loro diritti.
Comunione e testimonianza sono due pilastri anche della Ecclesia in Medio Oriente con cui Benedetto XVI ribadiva anche il ruolo delle nuove comunità ed esortava a rinnovare lo slancio missionario. Sta avvenendo questo?
Lo slancio missionario appartiene a tutta la Chiesa e Papa Francesco ha dato una forte impulso in questo senso a tutta la Chiesa. Anche queste chiese, quindi, sono chiamate a rinnovare lo slancio missionario. Spero che anche questo incontro possa servire a questo obiettivo. E cosa vuol dire missione qui? Vuol dire appunto comunione e testimonianza, la missione si esprime nella testimonianza e non dobbiamo dimenticare che abbiamo una testimonianza secolare qui dei cristiani, se penso per esempio a tutto il sistema scolastico che i cristiani offrono indistintamente dalla appartenenza religiosa. O pure ai tanti servizi sociali sanitari che in questi anni sono stati offerti. Quindi abbiamo una testimonianza reale di come la comunità cristiana si presenta alla società. Credo che in un contesto come questo tutto ciò sia fondamentale. E la testimonianza non può essere disgiunta dalla comunione, cioè dal fatto che possiamo in quanto Chiese con diversi riti e diverse tradizioni, però nonostante questo dare una testimonianza di unità.
Tra i passi i compiuti c’è ad esempio il documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, ma anche la realizzazione della cattedrale di Nostra Signora d’Arabia in Bahrein…
Sì, la situazione è molto diversificata da Paese a Paese. La chiesa nel nei Paesi del Golfo è una Chiesa fatta da molti immigrati, molto numerosa che dà segni di grande vivacità, poi ci sono altre situazioni invece di grande sofferenza, penso alla Siria, alla guerra e ora pure il terremoto, ma anche il Libano con le divisioni interne e la gravissima crisi economica. I segni sono positivi e sono negativi, perché come sempre la storia non va solo in una direzione unica ma è piena anche di altre componenti. Però quello che mi sembra veramente importante è che c’è una vera consapevolezza dell’importanza della fede e di rinnovare la fede nelle nostre popolazioni cristiane. Per questo il tema dell’incontro è la speranza. Quindi rinnovare la fede anche in questa generazione per poter dare una speranza ai cristiani che sono qui. È un processo che richiede tempo e diverse energie, ma mi sembra che la consapevolezza in questo senso è molto forte. Un esempio è il fatto che c’è una sempre maggiore richiesta di coinvolgere i laici nel lavoro di evangelizzazione.