Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Dalle silenziose montagne svizzere di Davos al traffico rumoroso della via Casilina a Roma, per toccare con mano l’impegno di una congregazione come i missionari scalabriniani nell’aiutare i migranti a trovare un inserimento lavorativo in Italia. Nel giardino che si apre oltra la piccola porta di Casa Scalabrini 634, come il numero civico della consolare romana, una delegazione dell’alleanza “Global Solidarity fund” (Gsf) ha incontrato i 35 migranti che attualmente sono ospitati nella struttura e ascoltato le storie di chi prima di loro ce l’ha fatta.
Storia di un giornalista iracheno, oggi rider
In Iraq Ahmed faceva il giornalista, e grazie all’Ascs, l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo che gestisce la struttura aperta nel 2014, ora lavora come “rider”. Tre anni fa è riuscito a far arrivare in Italia la moglie e i suoi bambini ancora piccoli. Ma il suo sogno è tornare a dare notizie, e forse ci riuscirà, anche grazie all’aiuto della webradio degli scalabriniani, che registra i suoi programmi in una delle case del “villagio solidale” di Casa Scalabrini 634.
In via Casilina 634, corsi e servizi non solo per i migranti
Un centro di accoglienza e servizi non solo per migranti, ma anche per i cittadini italiani del Casilino, come spiega Marianna Occhiuto di Ascs alla delegazione del Gsf, composta da religiosi e da imprenditori, manager, filantropi e influencer del settore privato, che nel 2019 hanno dato vita a questa “alleanza solidale”. I corsi gratuiti di lingue, sartoria, guida, informatica, web radio, finanza sono infatti aperti a tutti e aiutano gli ospiti, che possono stare al massimo 6 mesi, a diventare autonomi. Tutto questo senza finanziamenti pubblici, ma grazie all’aiuto di benefattori ed enti religiosi e privati.
Già 260 rifugiati aiutati a vivere in autonomia in Italia
In questo momento, a Casa Scalabrini 634, vivono alcuni nuclei familiari, una madre con due figli dall’Ucraina e adulti single da Africa e Medio Oriente. Da quando è nata, la struttura ha accolto 260 persone, che oggi vivono tutte in autonomia in Italia, alle quali, ricorda Marianna, “chiediamo una sorta di restituzione alla comunità, attraverso servizi come la pulizia del verde”. Nella casa e fuori, dal 2014, sono più di 15mila, le persone che hanno partecipato ad eventi di sensibilizzazione e incontri organizzati da Ascs.
Dall’Afghanistan a Roma, col sogno di riaprire una bottega
Anche Shukri, 31 anni, fuggito nel 2015 dall’Afghanistan, ha trovato lavoro come receptionist in un hotel, e dal 2019 vive in un appartamento preso in affitto insieme con due ragazzi pakistani conosciuti in via Casilina 634. Dopo quasi un anno di carcere in Bulgaria, perché fermato senza documenti, è arrivato in Austria, ma lì non riusciva ad ottenere asilo. Alla fine ha fatto domanda in Italia ed è stato accolto. Nel suo Paese aveva un piccolo negozio di frutta e verdura, con 4 dipendenti, e oggi il suo sogno è quello di riaprire un’attività in Italia.
Guglielmetti (Gsf): la vera filantropia è fratellanza, non elemosina
A guidare la delegazione del Global Solidarity fund è il direttore esecutivo Marta Guglielmetti, appena rientrata da Davos, dove a margine del World Economic Forum il Gsf ha organizzato forum di discussione per l’inclusione sociale e lavorativa dei più vulnerabili. Vatican News la incontra alla fine del pomeriggio a Casa Scalabrini 634.
Questa visita a Casa Scalabrini 634, può essere una ideale prosecuzione dell’iniziativa che avete appena concluso a Davos?
Certamente sì, la vedo proprio come una naturale continuazione. A Davos, abbiamo portato la nostra testimonianza, insieme a suore e frati che sono direttamente a contatto con i migranti, nelle zone più emarginate, nel Sud del mondo. Abbiamo parlato con amministratori delegati e con influencer del mondo dell’economia, su come risolvere insieme i problemi per creare lavoro per i migranti e sviluppare un’economia più inclusiva. Quindi cosa poteva esserci di meglio che portare una piccola delegazione di questi imprenditori, ceo, influencer, filantropi qui a Roma, alla Casa Scalabrini, per vedere davvero che cosa viene fatto dalle congregazioni per aiutare e sostenere i migranti in un modo che sia sostenibile. Non è soltanto elemosina! Papa Francesco, ci ricorda sempre che la filantropia non deve essere elemosina, ma va basata sulla fratellanza e non c’è fratellanza se non c’è vicinanza. E vicinanza cos’è, se non toccare con mano, vedere, parlare, dialogare con le persone con cui si vuole lavorare insieme e che si vuole aiutare.
In questo senso Casa Scalabrini 634, può essere un modello? Voi avete più imparato o più proposto, in questa giornata?
Di sicuro imparato, non si finisce mai di imparare, è sempre importante, stare all’ascolto, essere umili e imparare soprattutto dal migrante, qual è l’obiettivo del loro spostarsi, cosa li spinge e che cosa gli serve. Certamente in un vero dialogo ci vuole comunicazione, quindi anche portare la propria curiosità e le proprie esperienze. Proprio quello che noi al Global Solidarity fund cerchiamo di fare, di connettere diverse realtà. Connettere la realtà della filantropia, la realtà del settore privato con la realtà delle congregazioni e poi anche del migrante stesso. Quindi un dialogo nel quale anche noi possiamo portare qualcosa e anche i rappresentanti del settore privato e della filantropia.
Qui avete ascoltato due migranti che esprimono due necessità: quelle di poter sfruttare le proprie competenze, anche in una terra straniera, un ex giornalista e chi vuole qui in Italia aprire un’attività. Come Global solidarity fund come potete aiutarli?
Noi ad oggi non lavoriamo in Italia, però applichiamo questo stesso metodo anche nei Paesi del Sud del mondo. Il particolare operiamo in Etiopia, in Colombia, e stiamo per aprire anche in Brasile e in Nigeria. E l’idea è sempre quella non di essere operativi direttamente, ma di sostenere, lavorare insieme alle congregazioni religiose che sono sul territorio. Ma queste due esempi che abbiamo visto oggi sono esattamente gli esempi anche dei migranti che sono nei programmi che sosteniamo. Il migrante, già di per sé, è una persona che cerca di cambiare, di modificare la propria vita. Cerca una soluzione migliore a quella da cui scappa e l’inserimento nel mondo del lavoro è fondamentale. Il migrante non vuole elemosina, ma vuole riuscire ad essere integrato nella società e partecipare, portare anche un valore aggiunto nella società. Questa integrazione nel mondo del lavoro, può essere fatta, per esempio, con una partnership, come stiamo già facendo, con un gruppo di aziende che sono interessate ad avere una apertura più inclusiva, quindi anche ad assumere persone più ai margini.
Oppure anche aiutando il migrante a crearsi una propria impresa. Molti migranti vogliono fare una propria startup e noi li aiutiamo a concretizzare questo sogno in diversi modi. Per esempio, abbiamo anche lanciato, proprio a Davos, una partnership con Unilever per un programma, Transform, che proprio supporta le startup nel loro processo di crescita, portando anche degli esperti che possono aiutarli per fare business plan, piuttosto che dare di quelli che chiamiamo “sit capitals”, piccoli finanziamenti per poter crescere, comprare le attrezzature e il materiale che serve. L’unica condizione che mettiamo è che queste startup estate abbiano poi, a loro volta, una ripercussione positiva nella loro comunità. E quindi abbiano un impatto sociale ed economico nella società. Si devono quindi impegnare ad assumere altre persone marginalizzate o migranti che sono intorno a loro. Aiutare loro, quindi, perché poi possono aiutare anche a altri in maniera più sostenibile.
Mercoledì mattina avete incontrato Papa Francesco. Cosa riportate indietro da questo incontro?
Incontrare Papa Francesco è sempre un’emozione e una grande ispirazione. Abbiamo avuto l’onore di presentare proprio questi progetti, soprattutto questa proposta che abbiamo per supportare il migrante in un modo sostenibile per la creazione di lavoro, sviluppando queste partnership tra settore privato e congregazioni religiose, integrando già dall’inizio il migrante nel processo. E Papa Francesco ci ha spronato a proseguire in questa direzione. Ci ha detto che è quella giusta, che dobbiamo sporcarci le mani, lavorare insieme ai migranti, fare anche un po’ di rumore, ci ha detto, e di non avere paura. Rischiate e continuate nella vicinanza, lavorate insieme al migrante, non so per il migrante.
E poi vi ha chiesto anche un’attenzione anche all’altro lato, visto che voi siete in contatto anche con chi invece sta bene: i benestanti che però a volte hanno un’anima strappata, distrutta da vari problemi della vita. Possono uscire da questa spirale negativa coinvolgendosi nel Global Solidarity Fund?
Il concetto di solidarietà è aperto a tutti ed è bello che abbia ricordato come non siamo noi ad aiutare il migrante, ma è anche migrante che aiuta noi. E’ proprio un concetto di solidarietà in cui tutti dobbiamo partecipare per creare un mondo migliore. Ognuno porta il proprio il proprio contributo e magari chi appunto è benestante, ma ha il cuore straziato, può trovare delle risposte lavorando e dialogando insieme al migrante.
Padre Chiarello: nel Gsf noi religiosi collaboriamo con privati volenterosi
A fare gli onori di casa in via Casilina 634, il brasiliano padre Leonir Chiarello, superiore generale dei missionari di San Carlo Borromeo, gli Scalabriniani, che è anche consulente del Gsf per la vita religiosa.
Collaborare con il Global Solidarity fund può essere un modo, e loro infatti se lo propongono come obiettivo, per stimolare le congregazioni religiose che si occupano di migrazioni, di solidarietà e di diritti umani, a lavorare di più insieme?
Le congregazioni religiose, in molti Paesi, già lavorano insieme. Io ho avuto ad esempio l’esperienza in America Latina, di lavorare con varie congregazioni nell’accoglienza degli immigrati e con altre, come i Mercedari che si prendevano cura degli immigrati che sono in carcere, con i Camilliani per quelli malati, con i Salesiani nell’educazione, i gesuiti e noi scalabriniani nella promozione del lavoro. La novità del Global Solidarity fund è quella di collegare noi congregazioni con il settore privato, con le grandi imprese, con il mondo della filantropia e con i governi per lavorare assieme in questa prospettiva sistemica. Dove le congregazioni, oltre alla collaborazione inter congregazionale, sviluppano la collaborazione interistituzionale, con il mondo privato e i governi.
Qual è stata la novità portata dal vostro fondatore, il beato vescovo Giovanni Battista Scalabrini, che presto sarà santo, nella Chiesa e nel mondo di fine ottocento?
Le novità portate dal nostro fondatore è che lui, vedendo il dramma dell’emigrazione in quel tempo alla stazione di Milano, oltre a dire cosa posso fare per rispondere a questo dramma, ha proposto da una parte una visione olistica delle migrazioni. E questa ha degli elementi sociali, politici ed economici. Dall’altra, il modo in cui lui ha impostato la risposta a quel fenomeno, coinvolgendosi in prima persona, ma anche la Chiesa a livello diocesano e la Chiesa in Italia. Lui è andato a fare delle conferenze in tutta Italia, per creare la coscienza che è responsabilità anche della Chiesa prendersi cura di queste persone, Poi ha coinvolto i governi, quello italiano e i governi locali, ed ha coinvolto anche la società civile. Ad esempio, quando è andato a New York, ha visitato i migranti, i suoi missionari, il vescovo. E poi è andato a Washington ad incontrare il presidente Roosevelt per proporre delle risposte a livello politico. Quindi la novità di Scalabrini è quella di proporre un modello di intervento che è da una parte legato ad una visione olistica e dall’altra coinvolge tutti gli attori sociali e politici nel rispondere a questo fenomeno. In questa prospettiva, ha creato un modello di risposta anche della Chiesa, proponendo risposte della Chiesa locale e proponendo anche risposte della Chiesa a livello universale. Quando lui propone la creazione di una commissione in Vaticano, già aveva visto questa prospettiva di un fenomeno globale che ha bisogno di risposte globali e sistematiche”.
In questi anni avete notato che nella Chiesa mondiale, non sono italiana, sta crescendo la sensibilità delle comunità cattoliche verso il tema della migrazione, anche grazie al Pontificato di Papa Francesco?
Senz’altro! La leadership di Papa Francesco è innegabile a livello, non solo della Chiesa Cattolica, ma a livello delle istituzioni mondiali nel coinvolgere, come ha fatto Scalabrini ai suoi tempi, tutte le persone. Quando propone i famosi 4 verbi per i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare, spesso ripete che dobbiamo coniugare questi quattro verbi in prima persona singolare ma anche plurale. Cosa possiamo fare noi? E questo noi sempre più grande, com’è il messaggio nella Fratelli tutti, coinvolge la fratellanza universale ma anche il creato, la casa comune, con la prospettiva di vedere gli immigrati, i rifugiati, come parte di questa casa comune e di questa fratellanza universale. Quindi con la leadership di Papa Francesco, abbiamo una nuova coscienza della società a livello sociale e politico. Ma abbiamo anche anche un maggiore coinvolgimento per rispondere a questo fenomeno.