Betlemme, il ritorno dei pellegrini porta speranza e lavoro ai cristiani palestinesi

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Con la riapertura delle frontiere e degli aeroporti di Israele, dopo i gruppi organizzati, anche ai singoli pellegrini che abbiano completato il ciclo vaccinale o siano guariti da non più di sei mesi dal Covid-19, i cristiani di Betlemme tornano a sperare di poter vivere del loro lavoro. Come ricorda il custode francescano di Terra Santa, padre Francesco Patton, intervistato nel programma di Radio Vaticana Strada Facendo, I cristiani delle città dove è nato Gesù, “vivono per lo più lavorando negli hotel che accolgono i pellegrini, facendo le guide dei pellegrini, fabbricando piccoli oggetti artigianali in legno l’oliva, madreperla o ceramica che vengono venduti ai pellegrini e poi anche gestendo piccoli negozi per i pellegrini”.

Terra Santa: un anno e nove mesi senza pellegrini

Questo anno e nove mesi senza i pullman di turisti e pellegrini, per Betlemme è stato quindi un vero dramma, più grave che nel resto della Terra Santa: in Israele la situazione “è stata meno difficile – ricorda ancora padre Patton – perché c’era una forma di cassaintegrazione, di welfare, che mancava nei Territori palestinesi come Betlemme”.

Giacaman: che gioia celebrare il Natale con tanti fratelli 

Tra i pochi che ha potuto salvare la propria attività senza aiuti esterni, c’è Robert Giacaman, 53 anni, che nella Piazza della Natività di Betlemme, a pochi passi dalla Basilica, gestisce con tre fratelli un laboratorio artigianale di oggetti religiosi, con presepi e statuine, “Il Bambino, art and sculpture”. Un’attività iniziata dal nonno Elias nel 1930 e proseguita dal padre Salem. Robert e i suoi fratelli non hanno ancora rialzato la saracinesca del negozio, ma durante la pandemia hanno lavorato abbastanza, in modo da non dover chiudere l’attività, per rifornire negozianti all’estero. Robert parla un buon italiano perché ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, ed ha messo a frutto nel suo laboratorio l’arte appresa nel nostro Paese.

Ascolta l’intervista a Robert Giacaman (Betlemme)

Robert Giacaman, si cominciano già a vedere pellegrini e turisti a Betlemme?

Si, abbiamo cominciato a vedere un po’ di movimento di pellegrini da varie parti del mondo, anche se sono piccoli gruppi, che stanno arrivando a Betlemme per visitare la Basilica della Natività. Dopo tutto questo tempo passato senza pellegrini, con la città deserta, porta nuova speranza vedere questi nostri fratelli che stanno arrivando da tutto il mondo per condividere la loro fede con noi.

Questo anno e 9 mesi senza pellegrini, come è stato per la vita di Betlemme e dei suoi abitanti? La loro presenza è fonte di reddito per più della metà dei cittadini…

Infatti. Noi siamo abituati a vedere la città sempre piena di pullman che arrivano per visitare questa città santa. Questo incubo della pandemia ci ha mostrato la città vuota e ci ha fatto sentire molto tristi. All’inizio della pandemia eravamo tutti a casa, e vedere che nessuno degli operai andava a lavorare, è stato tragico. Betlemme dipende proprio dal turismo, e quando manca, qui non lavora nessuno, neanche quelli che vendono la verdura. Grazie a Dio, dopo poco tempo, noi abbiamo cominciato ad avere commesse dall’estero, tramite alcune associazioni cattoliche e altre, che ci hanno fatto un po’ di richieste per i nostri oggetti cristiani che riguardano il Natale e la Pasqua e questo ci ha aiutato a riprendere l’attività anche durante la pandemia e ci ha anche dato la possibilità di far tornare in laboratorio degli operai che stavano proprio a terra, senza quel lavoro. Fino ad ora siamo riusciti a far lavorare i nostri operai e a mantenere in piedi la nostra ditta. Ma purtroppo a Betlemme sono in tanti ancora senza lavoro, e questo piccolo numero di pellegrini non può far ripartire davvero la città. Aspettiamo che arrivino più pellegrini, come due anni fa e che la città si riprenda. Noi poi non abbiamo sostegno economico da nessuno, quindi dobbiamo basarci solo sulle nostre forze.

Infatti gli anni scorsi, prima della pandemia, in questo periodo già le camere per Natale erano tutte piene. Cosa direbbe oggi a un cristiano italiano che sta pensando di venire a vivere il Natale a Betlemme, ma non riesce a decidersi?

Vorrei dirgli che come cristiani siamo ormai una minoranza, ed è una grande gioia per noi vedere i nostri fratelli cristiani in tutto il mondo, specialmente gli italiani, che sono più vicini a noi, celebrare con noi il Natale. Loro ci danno non solo la forza commerciale, ma anche quella spirituale. Quando si avvicina il tempo natalizio, noi a Betlemme pensiamo solo al Natale, quindi vedere questi fratelli al nostro fianco, che pregano insieme a noi, ci dà una grandissima gioia e ci dà la forza anche di resistere come cristiani in Terra Santa.

E poi ricordiamo che chi adesso andasse a Betlemme, proprio per il fatto che non ci sono ancora molti fedeli e pellegrini, non farebbe certo la fila per entrare nella Basilica della Natività, e potrebbe visitare sicuramente in tranquillità tutti i luoghi santi. Ci può raccontare la magia e l’emozione di celebrare la nascita di Gesù nel luogo dove è avvenuta e dove tutto è cominciato?

L’anno scorso, grazie a Dio, abbiamo potuto vivere, anche se da soli, tutte le iniziative che vengono preparate in città e noi ci stiamo già preparando a celebrare il Natale, come amministrazione comunale e come cristiani con le nostre famiglie e anche con i numerosi gruppi scout cattolici e ortodossi che ci sono a Betlemme. e anche noi abbiamo tanti gruppi scout cristiani cattolici ortodossi. Nei giorni che precedono il Natale, la città diventa molto bella, si sente la gioia del Natale, e si possono vedere le bande musicali degli scout che suonano le varie musiche, con la gioia guardare al futuro con serenità.

A Betlemme, poi, il Natale dura quasi due mesi da dicembre a gennaio…

Io la vedo una cosa molto bella, perché ogni rito, ogni Chiesa celebra il Natale secondo il suo calendario. Io però, anche se sono cattolico, rifaccio il Natale con gli ortodossi e poi con gli Armeni. Quest’anno, l’accensione dell’albero sarà il 4 dicembre: parteciperanno tutte le chiese, cattolica, ortodossa e armena, e parteciperà con noi anche il governo palestinese, perché rispetta il Natale, che a Betlemme è una manifestazione sia religiosa che pubblica, nazionale.

Infine la tradizione del presepe, che è nata in Italia, a Greccio San Francesco ha allestito 800 anni fa il primo presepe. A Betlemme come si vive?

Facciamo il presepe e l’albero nelle nostre case, e nelle associazioni facciamo degli spettacoli di Natale, facciamo vedere ai nostri bambini come è nato Gesù. Lo facciamo solo al chiuso, all’ interno, perché siamo minoranza. Invece all’esterno facciamo delle manifestazioni, tipo carovana, con il Babbo Natale, persone vestite come Santa Maria, San Giuseppe e il Bambino, altre vestite da Re magi, da pastori che vanno in processione. I musulmani vedono così la gioia di Gesù in questi bambini, e anche se non capiscono tanto, ti chiedono informazioni e sono curiosi delle nostre tradizioni. Però le cose più legate alla nostra fede le facciamo sempre all’interno, per conservare la sacralità della nostra tradizione.