Francesca Sabatinelli e Marine Henriot – Città del Vaticano
Un minuto di silenzio per tutte le vittime del Covid nel mondo ha aperto, ieri a Glasgow, la Cop26, che oggi entra nel vivo con le riunioni dei circa 200 leader mondiali ai quali si chiede un cambiamento di passo importante, significativo, concreto, come mai prima di adesso. Grandi assenti Xi Jinping per la Cina, da dove arriva il 30% di inquinamento del pianeta, Vladimir Putin per la Russia e Recep Tayyip Erdogan per la Turchia. “Se fallisce Glasgow fallisce tutto”: aveva avvertito il padrone di casa, Boris Johnson, esprimendo così un drammatico sentimento, condiviso, che rende Cop26 un percorso ad ostacoli. In due settimane i leader politici, tra loro anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, per la Santa Sede il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, assieme a scienziati, Ong, rappresentanti religiosi e attivisti, affronteranno le grandi linee della politica climatica globale.
I risultati dopo l’accordo di Parigi
Alla COP21 di Parigi i Paesi partecipanti si erano impegnati a mettere in atto misure per contenere l’aumento della temperatura media del pianeta nettamente inferiore ai 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e per continuare l’azione intrapresa per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C, necessario a ridurre i rischi e gli effetti del cambiamento climatico. Tuttavia, osservano gli studiosi, nonostante le ambiziose promesse, i progressi sono del tutto insufficienti, inoltre, nonostante gli sforzi diplomatici compiuti negli ultimi anni, le emissioni di gas serra, che causano il riscaldamento globale, continuano ad aumentare. Il 2020, secondo le Nazioni Unite, è stato addirittura un anno record, dopo una diminuzione dovuta al momentaneo rallentamento economico legato alla pandemia.
Diminuzione delle emissioni globali di gas serra
Per restare all’interno di un aumento della temperatura media globale che non supererebbe 1,5°C rispetto all’era preindustriale (tra il 1850 e il 1900), le emissioni globali di gas serra devono diminuire del 7% annuo all’anno rispetto al livello attuale, e questo fino al 2030, spiegano ancora gli esperti. Questo decennio è quindi cruciale per il clima: occorreranno vere politiche di azione sul campo e i Paesi dovranno essere all’altezza degli impegni.
Sostegno ai Paesi vulnerabili
Il sostegno ai Paesi vulnerabili era uno degli aspetti dell’Accordo di Parigi e il tema sarà cruciale a Glasgow: l’aiuto dei Paesi ricchi a quelli più poveri in modo da sviluppare le loro energie rinnovabili e combattere il cambiamento climatico. Un principio, peraltro, difeso dalla Santa Sede. I Paesi poveri, o in via di sviluppo, sono quelli che emettono meno gas serra ma che risentono per primi dei cambiamenti climatici, sono quelli che più di tutti hanno subìto perdite materiali e immateriali a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici: terre sommerse, popolazioni sfollate, distruzione di terreni agricoli e, naturalmente, perdita di vite umane. Secondo i calcoli degli specialisti si dovranno sbloccare diverse centinaia di miliardi di dollari per compensare questi costi, oltre agli aiuti di 100 miliardi già promessi ai Paesi più vulnerabili. Le aspettative e la posta in gioco di questa Cop26 sono strettamente vitali, rappresentano una sfida globale, ma il fatto stesso che l’appuntamento si tenga, per molti studiosi, è già da ritenersi un traguardo.