Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Un solo corpo a rappresentare tutti i caduti della Prima guerra mondiale l'”inutile strage” per usare le parole di Benedetto XV. Questo è il Milite Ignoto: nel suo viaggio di 100 anni fa da Aquileia, in Friuli, a Roma dove venne tumulato all’Altare della Patria, quale “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà”, c’è il percorso di dolore e lutto che accomuna uomini, donne, giovani, anziani di allora come di oggi, perchè l’umanità continuerà a piangere finchè ci sarà la guerra.
“Che il Signore non disperda quelle lacrime e le lacrime che hanno accompagnato ogni guerra, ma le trasformi con la sua Pasqua nel sorriso della risurrezione. È la nostra speranza, è la nostra preghiera”. Con queste parole – tornando col pensiero al passato ma tenendo gli occhi rivolti alla realtà odierna – l’arcivescovo di Gorizia monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, chiude la sua riflessione sulle celebrazioni di questi giorni.
La scelta di una mamma
Era infatti il 28 ottobre del 1921 quando ad Aquileia, per onorare i sacrifici e gli eroismi di quanti avevano partecipato al conflitto mondiale, fu scelta una salma per ognuna delle zone del fronte in cui l’Italia aveva combattuto. Tra le undici, una sola sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, destinata a rappresentare il sacrificio di seicentomila italiani. La scelta fu fatta da una donna, tra le tante mamme rimaste, dopo la guerra, senza i loro figli. Quella mamma fu Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, il cui figlio Antonio si era arruolato nelle file italiane sotto falso nome essendo suddito austro-ungarico, caduto in combattimento nel 1916. La salma del giovane fu deposta in un carro ferroviario appositamente disegnato e da Aquileia la salma percorse simbolicamente l’Italia fino a Roma, dove giunse il 4 novembre, muovendo in ogni tappa e poi nella capitale l’omaggio e il saluto di un popolo e del suo re. Culto e insieme memoria a cui, cento anni dopo nella sua rilettura, l’arcivescovo di Gorizia conferisce una duplice valenza: la celebrazione degli “eroi” tutti, non solo italiani, senza nome; e l’elaborazione corale di un lutto che l’evento porta con sè e che si trasforma, nelle parole del presule, in un appello per porre fine alla “follia” che la guerra rappresenta.
Eroi e lutto
I cento anni da quel viaggio di dolore, riportano innanzitutto alla mente – osserva il presule – il contesto storico di allora. Un Paese distrutto nella significativa parte del nord est, con una forte crisi economica, moltissimi disoccupati, in preda agli scioperi, segnato da “velleità rivoluzionarie”, da attentati e violenze, “anni, quindi, di tensioni e di crescita delle ideologie che avrebbero segnato tragicamente il destino dell’Europa e, con le due guerre, decretato il suo declino di cui ancora oggi siamo spettatori”. Questo fece sì che la traslazione del Milite Ignoto da Aquileia a Roma diventasse una grande “elaborazione del lutto” che ogni guerra porta con sè e che incide nelle famiglie, nelle comunità e nei paesi. “Impressiona – sottolinea in particolare monsignor Redaelli – il fatto che in ogni comune d’Italia, anche quello più remoto rispetto al fronte orientale in cui erano chiamati a combattere o, meglio, mandati a morire giovani che mai avevano sentito parlare di Isonzo, di Gorizia, di Carso, ci sia sempre un monumento ai caduti della Prima guerra mondiale con una lunga teoria di nomi”. Ovunque c’è guerra c’è un “un milite ignoto” e nessuna terra ne è priva. Ma più che chiamarli “ignoti”, il presule preferisce chiamarli “caduti conosciuti solo da Dio, perché per Lui non ci sono persone ignote, ma solo figli (e figlie) da avvolgere comunque con il mantello della sua misericordia: per loro ha mandato suo Figlio a morire sulla croce”.
Finchè c’è guerra c’è pianto
“L’occasione di questo anniversario – conclude monsignor Redaelli – lungi dall’essere un’anacronistica celebrazione di carattere nazionalistico, dovrebbe pertanto essere un rivivere un grande lutto della nostra nazione, ma anche di tutte le nazioni sorelle (anche se allora viste come avversarie: nei loro eserciti, per altro, hanno militato anche i nostri giovani), un lutto purtroppo sempre attuale finché ci sarà la guerra”. Poi la citazione – che il presule fa propria – delle parole di Papa Francesco durante la visita nel 2014 a Redipuglia:
Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.
“Finché ci sarà quella follia – fa eco monsignor Redaelli – ci saranno uomini e donne, bambini e anziani che invece di lavorare, giocare e sognare potranno solo piangere. Come avevano fatto 100 anni fa quelle folle di uomini, donne, bambini e anziani che avevano accompagnato da Aquileia a Roma la salma del Milite Ignoto”. La preghiera al Signore è dunque che ogni lacrima non sia perduta e che dal dolore della Croce possa nascere un messaggio di risurrezione.