Formazione contro la tratta, una schiavitù diffusa e spietata

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Otto incontri online sulla piattaforma Zoom, con cadenza bimensile, tappe di un percorso formativo sul tema dello sfruttamento sessuale e della tratta di esseri umani. Organizzato dalla diocesi di Roma, il corso prende il via oggi, lunedì 11 gennaio, avvalendosi del contributo di diverse realtà che da anni operano a Roma in favore delle vittime di tratta e che da quasi un anno si sono riunite in un coordinamento diocesano: Caritas, Usmi, Comunità di Sant’Egidio, Associazione Slave No More, Associazione Papa Giovanni XXIII, Casa del Magnificat, Fondazione Arché. Con loro le quattro unità di volontari che tutte le settimane incontrano in strada le ragazze coinvolte in questo drammatico fenomeno. “La volontà comune, si legge nel comunicato stampa della diocesi, è quella di ‘fare rete’ per condividere esperienze, competenze e linee di pensiero e per metterle al servizio di tutti”.

Il corso per capire meglio la realtà della prostituzione

Gli incontri online sono rivolti sicuramente agli “addetti ai lavori” come gli operatori e i volontari di unità di strada e delle strutture di accoglienza, ma anche, si sottolinea nel testo, a chiunque voglia capire meglio questo fenomeno. “La partecipazione, si spiega, può essere utile in particolare a chi opera in gruppi parrocchiali giovanili e agli insegnanti di religione, per affrontare il tema dell’educazione alla sessualità; agli operatori dei centri d’ascolto parrocchiali, per avere nuovi strumenti di comprensione di chi, vittima di tratta in tempi di Covid, si rivolge con maggior frequenza alle parrocchie per avere aiuti di vario genere”. Per partecipare agli incontri online è necessario iscriversi compilando il modulo disponibile sul sito della diocesi.

La tratta: una piaga nella carne di Cristo

Il percorso, che si completerà il 26 aprile 2021, parte dalle parole pronunciate da Papa Francesco alla Conferenza Internazionale sulla Tratta delle Persone Umane il 10 aprile 2014: “La tratta di esseri umani è una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo. È un delitto contro l’umanità”. A ricordarlo è il coordinatore del tavolo diocesano sulla tratta e vicegerente della diocesi, l’arcivescovo Gianpiero Palmieri. Nel corso degli otto incontri ci sarà spazio per la condivisione delle esperienze già avviate e per le domande. In qualità di docenti parteciperanno, tra gli altri, il sociologo Francesco Carchedi; Elvira D’Amato, già vicequestore aggiunto della Polizia Postale; suor Eugenia Bonetti, presidente dell’Associazione Slaves No More; Francesca De Masi di Be Free. Ai nostri microfoni, monsignor Palmieri spiega in che senso questa iniziativa da lui voluta, intende essere “formativa” per quanti vi aderiranno.

R. – Questi incontri formativi puntano a creare una sensibilizzazione sul tema della tratta e sono quindi a disposizione di tutti coloro che vogliono conoscere il fenomeno. Noi siamo abituati a vedere il triste mercenario della prostituzione, specie di strada nelle nostre città, ma spesso non sappiamo o abbiamo forse rimosso, che dietro tanta prostituzione femminile, maschile e anche di minori, c’è il fenomeno della tratta di esseri umani. Allora, essere informati su tutto questo, diventa decisivo per capire con che cosa abbiamo a che fare: con organizzazioni criminali potentissime che assicurano i loro introiti non solo attraverso la droga, il gioco d’azzardo, il traffico d’armi, ma anche attraverso la prostituzione coatta. Si fa qualcosa anche per quello che riguarda la domanda perché quando parliamo di sfruttamento sessuale la domanda è altissima. Allora per un potenziale cliente sapere che davanti ha una schiava è fondamentale, almeno è un appello alla sua coscienza.

Lei pensa che questa consapevolezza non sia ancora abbastanza diffusa o che non si voglia pensare a questa cosa?

R. – Io credo che in realtà sia diffusa la mentalità che la tratta riguardi poche persone, anche perché le ragazze che si prostituiscono – lo dico perchè lo riferiscono gli operatori delle unità di strada e anch’io ho fatto parte di una per 7 anni – tutte le ragazze dicono che loro non sono schiave, che possono lasciare il lavoro quando vogliono, che nessuno le costringe, che hanno fatto questa scelta volontariamente. Ma questo è il discorso che loro fanno ai clienti, ovviamente, ma quando l’unità di strada riesce ad attivare una confidenza, viene fuori la verità. Nessuna di loro ha fatto questo lavoro volentieri, lo hanno fatto per povertà, lo hanno fatto perché convinte di riuscire a fare più soldi rispetto ad altri tipi di lavoro, ma poi si trovano dentro un giro pericolosissimo da cui non possono più uscire. Poi quando si tratta di ragazze africane lì, invece ci sono proprio dei riti di consegna a queste persone, come sappiamo, e allora nonostante tutta l’informazione televisiva che è stata fatta, è come se si credesse poco che dietro questo fenomeno c’è la tratta.

Ma quali sono le reali dimensioni di questo fenomeno? E’ una realtà molto diffusa nel territorio della diocesi di Roma?

R. – Assolutamente sì, ma direi un po’ dappertutto. Allora c’è il primo incontro quello di stasera con Francesco Carchedi che è uno studioso del fenomeno a livello laziale e che ha anche una pubblicazione di recente su questo argomento. Ma le proporzioni sono altissime. Io vorrei fare un piccolo riferimento alla storia, quando negli anni ’60 la senatrice Merlin fece una battaglia in Italia per chiudere le ‘case chiuse’, non era una questione di decoro, di perbenismo. Noi vivevamo da secoli in cui in ogni piccolo centro c’era un bordello dove finivano le ragazze italiane orfane e povere, quindi si trattava di mettere fine a questa prassi secolare, più o meno socialmente accettata, perché serviva per l’iniziazione sessuale dei maschi. Adesso noi ci troviamo in un fenomeno diverso e simile, e dobbiamo impedire che a una ragazza che ha problemi economici venga prospettata, come possibilità, l’idea di vendersi, perchè entra in un circolo gestito da organizzazioni criminali, per cui non è vero che può uscire quando vuole, anche se ai clienti lei dice che non è schiava di nessuno, che fa quello che vuole o peggio ancora che le piace. Quando si parla con una ragazza, dopo un bel po’, quando  finalmente si genera una confidenza, succede che lei confidi che tutte hanno ricevuto minacce, tutte hanno rischiato di essere accoltellate, tutte sono state ripetutamente violentate. E che questo lavoro sia come un altro, lo può dire soltanto chi non conosce il fenomeno.

Eppure ancora, qualche volta, emerge questa proposta, di riaprire le ‘case chiuse’…

R. – Chi lo fa è perchè pensa all’igiene, agli aspetti sanitari, al contenimento del fenomeno perché non finisca sulle strade. Ma chi gestisce queste case e quando una ragazza in condizioni di povertà decide di finire in questi luoghi? Una società dovrebbe preoccuparsi di impedire che questa possibilità semplicemente ci sia, perché sfido qualsiasi donna a dire che si prostituisce volentieri. Poi, ad un certo punto, si convive con questa situazione, ma certamente non ci si convive bene. Allora noi dovremmo davvero impedire che alle donne venga prospettata questa possibilità, anche se fosse una forma protetta, gestita dallo Stato, e posso aggiungere anche che le organizzazioni criminali non accetterebbero mai una proposta del genere, perché per loro è un introito enorme e quindi gestirebbero  comunque dei fenomeni paralleli di tipo clandestino, come già avviene in altri Paesi europei che hanno una legislazione a favore delle ‘case chiuse’. 

Immagino che obiettivo di questi incontri formativi online sia anche un impegno ancora maggiore, concreto, a favore delle vittime di tratta. Ma la diocesi di Roma è già attiva in questo senso….

R. – Sì, esiste un coordinamento a cui partecipano tante realtà come Sant’Egidio, Caritas, Giovanni XXIII, prima di tutto Usmi, perchè è enorme il lavoro fatto dalle religiose, l’Associazione Slave No More e altre ancora, oltre alle 4 unità di strada che sono attive a Roma di cui alcune fanno servizio di contatto in strada con le ragazze da più di vent’anni. Quindi esiste già una rete ecclesiale, che soprattutto in passato era sempre in contatto con le istituzioni civili, che cerca di intervenire sul fenomeno. Quindi questo corso è anche a sostegno di quanti o a livello di volontariato o come operatori sono attivi e presenti su questo fronte.

Monsignor Palmieri, che cosa un’opera portata avanti dalla diocesi, dalla Chiesa, in questo campo può avere in più o di diverso rispetto l’impegno di altre realtà che in città si occupano delle vittime della tratta?

R. – Dal punto di vista ecclesiale sicuramente di diverso ci sono le motivazioni che in questo caso sono anche spirituali, sono di fede. Lo dico anche in riferimento al fatto che questo servizio è molto paziente. Contattare le ragazze tutte le settimane in strada, credere nelle possibilità di un incontro, di un dialogo è talvolta un po’ faticoso, ci vogliono delle motivazioni solide, anche di fede, che fanno vedere l’altro sempre e comunque un figlio di Dio a cui è sempre possibile una via d’uscita specie nelle situazioni difficili. Queste motivazioni sostengono questo tipo di volontariato che è piuttosto complesso per cui ad un certo punto si è tentati di abbandonare il campo perchè al di là dell’amicizia non vedi risultati. Poi magari succede che quella ragazza che incontri, dopo tanto tempo, dopo anni, decide di farsi aiutare a uscire dalla strada. Credo che sentire invece che quando avviciniamo una ragazza è il Signore anche attraverso di noi che si avvicina a lei, quindi per lei è un segno di speranza, è molto importante. Mi ricordo anni fa un’esperienza: andando in strada incontravamo sempre un gruppetto di tre ragazze slave, e dopo un pò ci siamo accorti che l’unica che parlava con noi, era quella che controllava le altre due. Una volta le abbiamo incontrate per strada quando quella che controllava le altre non c’era. Allora una delle due è stata un fiume di lacrime e di parole, ed erano già due  anni che le conoscevamo, quindi quello era il momento opportuno per ricevere la sua confidenza.