Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Abbiamo ereditato un giardino: non dobbiamo lasciare un deserto ai nostri figli”. L’immagine è simbolica, ma l’impegno è concreto. E scienziati e leader religiosi di diverse culture e Paesi l’hanno sottoscritto questa mattina firmando un Appello congiunto insieme al Papa nella Sala della Benedizione, per sugellare l’incontro “Fede e Scienza” convocato dal Pontefice in vista della Cop26 di Glasgow. “La conoscenza delle scienze e la saggezza delle religioni” si uniscono quindi per chiedere alla comunità internazionale, che dal 31 ottobre al 12 novembre sarà rappresentata in Scozia all’evento Onu, di “intraprendere un’azione rapida, responsabile e condivisa per salvaguardare, ripristinare e guarire la nostra umanità ferita e la casa affidata alla nostra custodia”. Che nel concreto si traduce nel “raggiungere al più presto emissioni nette di carbonio pari a zero, assumendo l’iniziativa di ridurre le proprie emissioni e di finanziare la riduzione delle emissioni delle nazioni più povere”.
Tutti i governi devono adottare una traiettoria che limiti l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C sopra i livelli preindustriali.
Un’azione trasformativa
Lo sguardo è al futuro – alle nuove generazioni che “non ci perdoneranno mai se perdiamo l’opportunità di proteggere la nostra casa comune” – ma bisogna agire nel presente: “Ora è il momento di intraprendere un’azione trasformativa come risposta comune”, si legge nel documento. Troppo urgenti, infatti, le “sfide senza precedenti che minacciano la nostra bella casa comune”, tutte legate “a una crisi di valori, etica e spirituale”.
Le nostre fedi e spiritualità insegnano il dovere di prendersi cura della famiglia umana e dell’ambiente in cui vive. Siamo profondamente interdipendenti tra di noi e con il mondo naturale. Non siamo padroni illimitati del nostro pianeta e delle sue risorse
Il cambiamento climatico è una grave minaccia
È dunque un “obbligo morale” cooperare alla guarigione del pianeta e farsi “custodi dell’ambiente naturale con la vocazione di curarlo”. Bisogna farlo lavorando “a lungo termine” e in “un quadro di speranza e di coraggio”, e al contempo cambiando “la narrazione dello sviluppo”. “Il cambiamento climatico è una grave minaccia”, affermano i firmatari dell’Appello, e implorano le nazioni con maggiori responsabilità e capacità a “fornire un sostegno finanziario sostanziale ai Paesi vulnerabili e concordare nuovi obiettivi che permettano loro di diventare resistenti al clima e di adattarsi al cambiamento climatico e di affrontarlo”.
I diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali devono ricevere un’attenzione speciale.
Stili di vita e modelli di consumo e produzione sostenibili
Sempre ai governi va l’appello affinché adottino “pratiche di utilizzo della terra sostenibili e rispettose delle culture locali per promuovere stili di vita e modelli di consumo e produzione sostenibili”. “Deve essere data piena considerazione agli effetti sulla forza lavoro di questa transizione”, si legge nel documento, che chiede a istituzioni finanziarie, banche e investitori di “adottare un finanziamento responsabile” e alle organizzazioni della società civile di “affrontare queste sfide in uno spirito di collaborazione”.
Un cambiamento di cuore
Da qui, la promessa di un impegno congiunto da parte delle diverse religioni ad “approfondire i nostri sforzi per portare un cambiamento di cuore tra i membri delle nostre tradizioni nel modo in cui ci relazioniamo con la Terra e con le altre persone”, come pure a “incoraggiare le nostre istituzioni educative e culturali a rafforzare e dare priorità all’educazione ecologica integrale”, partecipando “attivamente” al discorso pubblico sulle questioni ambientali e impegnando congregazioni e istituzioni a “costruire comunità sostenibili, resilienti e giuste”.