Il Papa: un movimento globale contro l’indifferenza per una civiltà dell’amore

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Adriana Masotti – Città del Vaticano

Il messaggio di Papa Francesco ai partecipanti alla riunione, oggi e domani, promossa dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali alla Casina Pio IV, in Vaticano, apre i lavori che avranno lo scopo di approfondire la prima delle otto beatitudini proclamate da Gesù, quella che dice: “Beati i poveri in spirito perchè di essi è il regno dei cieli”. Titolo dell’incontro è: “Caritas, Social Friendship, and the End of Poverty. Science and Ethics of Happiness”, cioè “Caritas, amicizia sociale e fine della povertà. Scienza ed etica della felicità”.

In che cosa consiste la felicità?

La felicità è il desiderio più profondo di ogni uomo e donna e il Signore la promette a coloro che vivono secondo il suo stile, quello indicato nelle Beatitudini che per sant’Agostino rappresentano “tutta la perfezione della nostra vita”. Papa Francesco parte da qui rivolgendosi ai partecipanti all’incontro della Pontificia Accademia. Tutti tendono alla felicità, ma non tutti hanno lo stesso concetto di felicità, osserva il Papa, esprimendo una prima considerazione:

Oggi ci troviamo di fronte a un paradigma prevalente, ampiamente diffuso dal “pensiero unico”, che confonde l’utilità con la felicità, il divertirsi con il vivere bene, e pretende di essere l’unico criterio di discernimento valido. Questa è una forma sottile di colonialismo ideologico. Si tratta di imporre l’ideologia secondo la quale la felicità consiste solo in ciò che è utile, nelle cose e nei beni, nell’abbondanza di cose, fama e denaro.

L’invisibilità dei poveri e dei più deboli

Questa ricerca della soddisfazione egoistica produce il timore di non possedere abbastanza e porta all’avidità e alla cupidigia nei singoli individui e nei Paesi, ricchi e poveri, oltre che “a un materialismo soffocante e a uno stato generale di conflitto”. Così si lede la dignità delle persone e del pianeta stesso e crescono povertà e diseguaglianza. Papa Francesco scrive:

In questi tempi di opulenza, in cui dovrebbe essere possibile porre fine alla povertà, i poteri del pensiero unico non dicono nulla dei poveri, degli anziani, degli immigrati, dei non nati, dei malati gravi. Invisibili alla maggioranza, sono trattati come usa e getta. E quando sono resi visibili, sono spesso presentati come un peso indegno per le casse pubbliche. È un crimine contro l’umanità che, come risultato di questo paradigma avido ed egoista imperante, i nostri giovani siano sfruttati dalla nuova e crescente schiavitù del traffico di esseri umani, specialmente nel lavoro forzato, nella prostituzione e nella vendita di organi.

Per uscire da questa situazione mondiale, ciò di cui abbiamo bisogno, afferma Francesco, non è disporre di maggiori beni, ma “di attuare il paradigma sempre nuovo e rivoluzionario delle beatitudini di Gesù, a cominciare dalla prima”. Essere poveri di spirito o, come scrive il Papa, “lo spirito di povertà” è allora “quel punto di svolta che apre la strada alla felicità attraverso un completo cambio di paradigma”. E’ “una via sicura per raggiungere la pienezza a cui siamo chiamati” tutti.

La miseria frutto dell’ingiustizia è un inferno

Papa Francesco a questo punto sottolinea la distinzione tra povertà di spirito, di cui parla Gesù, e povertà materiale, cioè la privazione del necessario per vivere, che descrive con parole dure. Si legge nel messaggio:

La povertà come privazione del necessario – cioè la miseria – è socialmente, come hanno visto chiaramente L. Bloy e Péguy, una specie di inferno, perché indebolisce la libertà umana e mette coloro che ne soffrono in condizione di diventare vittime delle nuove forme di schiavitù (lavoro forzato, prostituzione, traffico di organi e così via) per sopravvivere. Si tratta di condizioni criminali che in stretta giustizia devono essere denunciate e combattute senza tregua. Tutti, secondo la propria responsabilità, e in particolare i governi, le imprese multinazionali e nazionali, la società civile e le comunità religiose, devono farlo. Sono le peggiori degradazioni della dignità umana e per un cristiano, le ferite aperte del corpo di Cristo che dalla sua croce grida: ho sete.

E’ un dovere, dunque, l’aiuto verso i poveri, per Gesù, scrive il Papa, tutti saranno misurati secondo quanto hanno fatto per aiutare “i loro fratelli bisognosi”. E cita due modelli esemplari: san Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta, ma fa notare anche che molti uomini e donne “hanno ricevuto grazie dai poveri, perché in ogni fratello e sorella in difficoltà abbracciamo la carne del Cristo sofferente”.

Sono forse il guardiano di mio fratello? 

Il Papa prende poi in considerazione il crescente divario tra ricchi e poveri causa di disordini sociali, di conflitti e di messa in pericolo della democrazia. E scrive:

Questo è dovuto alla progressiva erosione dei rapporti di fraternità, amicizia sociale, armonia, fiducia, affidabilità e rispetto che sono alla base di ogni convivenza civile. Naturalmente, l’avidità che guida il sistema ha da tempo messo da parte la principale conseguenza economica, sociale e politica dello “spirito della povertà”, quella che esige giustizia sociale e corresponsabilità nella gestione dei beni e dei frutti del lavoro umano. “Sono forse il guardiano di mio fratello?

Papa Francesco vuol chiarire una possibile obiezione e per far questo cita il Catechismo della Chiesa Cattolica che sul tema della proprietà privata afferma: “La destinazione universale dei beni rimane prioritaria, anche se la promozione del bene comune richiede il rispetto della proprietà privata, del suo diritto e del suo esercizio”. Il Papa quindi afferma nel suo messaggio: “i possessori di beni devono usarli in spirito di povertà, riservando la parte migliore per l’ospite, il malato, il povero, il vecchio, l’indifeso, l’escluso; che sono il volto, così spesso dimenticato, di Gesù”.

“Scrive san’Ambrogio: quello che dai ai poveri non fa parte dei tuoi beni; quello che dai al povero appartiene a lui. (…) La terra è stata data per tutto il mondo e non solo per i ricchi”

Educare i giovani alla “globalizzazione della solidarietà”

Accanto alla diffusa globalizzazione dell’indifferenza, più volte denunciata, il Papa fa notare che, benchè essa sia prevalente, “durante tutto questo tempo di pandemia abbiamo visto come la globalizzazione della solidarietà ha saputo imporsi con la sua caratteristica discrezione nei diversi angoli delle nostre città”. E’ bene che essa si diffonda e soprattutto, osserva il Papa, è essenziale che essa si incarni nella vita dei giovani. Occorre dunque impegnarsi per questo. Infine ricorda gli ammonimenti dell’apostolo Paolo che mette in guardia il discepolo Timoteo sui pericoli legati alla ricchezza e all’avidità. In riferimento alla prima Lettera a Timoteo, Francesco scrive:

A molti questo testo sembrerà avere un valore religioso o ascetico, ma non economico. In effetti, sembrerà loro di essere distruttivi per l’economia. Tuttavia, è un testo eminentemente socio-economico e politico, come lo sono le beatitudini di Cristo e specialmente quella dello spirito di povertà a cui si ispira. Perché Paolo individua con estrema lucidità: “innumerevoli sofferenze sono state portate su di loro”, cioè l’avidità non ha portato loro il benessere economico e sociale che cercavano, né la libertà e la felicità che desideravano. Al contrario, l’avidità rende schiavo il potere del giorno senza pietà e senza giustizia nella lotta spietata per il vitello d’oro e il dominio, come dimostra l’economia moderna”.

Cercare insieme la civiltà dell’amore

Lo spirito di povertà, dunque, il limite posto al profitto, è la sola via che può garantire “il benessere stesso dell’individuo, dell’economia e della società locale e globale”. Da qui l’indicazione di un impegno a cui tutti oggi siamo chiamati: “realizzare un movimento globale contro l’indifferenza che – scrive il Papa a conclusione del suo messaggio – crei o ricrei istituzioni sociali ispirate alle beatitudini e ci spinga a cercare la civiltà dell’amore”.

La riflessione di questi due giorni d’incontro

Sul sito della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali si spiega che l’iniziativa che oggi ha preso il via “mira a forgiare una nuova etica globale per il XXI secolo, basata sulla saggezza millenaria dell’Oriente e dell’Occidente, sulle beatitudini e sulla scienza moderna e le aspirazioni del nostro pianeta”. L’incontro prenderà, dunque, in considerazione le sfide etiche, istituzionali ed economiche dello sradicamento della povertà, per raggiungere la felicità a livello universale. Tra le domande chiave a cui i partecipanti cercheranno di rispondere: Chi sono i poveri in spirito? Quali sono le cause della povertà e le sue conseguenze? Quali i diritti economici dei poveri? Quali sono i nostri obblighi etici e/o religiosi verso i poveri? Quali possibilità esistono per la ridistribuzione del reddito e la protezione sociale?