Antonella Palermo – Città del Vaticano
Il Sinodo sull’Amazzonia come scintilla per entrare in punta di piedi nel fascino e nei problemi di una geografia umana e spirituale, fatta di terra e lacrime, aggrappamento e distruzione. E’ in sintesi la genesi del lavoro realizzato da Alessandro Galassi, nel suo documentario Anamei, i guardiani della foresta, che viene proiettato in prima nazionale lunedì 27 settembre presso l’auditorium San Fedele a Milano. La visione è inserita nell’ambito della tavola rotonda a cui partecipano, oltre all’autore, Don Virginio Colmegna, presidente Casa della carità “Angelo Abriani”, Padre Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti sociali e Padre Joshtrom Kureethadam, coordinatore del Settore Ecologia e Creato del Dicastero Vaticano per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale. Ci sarà anche la scrittrice Daniela Padoan, dell’associazione Laudato si’. L’incontro fa parte del calendario ufficiale di All4Climate-Italy 2021, iniziativa del Ministero per la Transizione ecologica e del Programma di comunicazione sui cambiamenti climatici Connect4Climate della Banca Mondiale, in vista della 26ma Conferenza delle Parti (COP26) della Convenzione ONU sul Cambiamento Climatico che si terrà a Glasgow a novembre.
Hummes: appello alle nazioni per contrastare i danni ambientali
“La crisi climatica ed ecologica persiste e i suoi effetti devastanti non vengono combattuti a sufficienza dagli attuali leader che governano il mondo”, ha ribadito dal Brasile il Cardinale Hummes, che il 24 settembre ha aperto l’Assemblea ordinaria della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (Ceama), mettendo in luce come la speranza nel futuro si sia ormai indebolita. Di qui, l’appello alle nazioni ad “unirsi” per contrastare la crisi attuale. Una questione che riguarda anche la Chiesa perché, ha spiegato il presidente della Ceama, essa sa quanto “la conservazione dell’Amazzonia, della sua foresta e dei suoi fiumi, così come la vita e i diritti fondamentali dei suoi popoli, specialmente dei popoli nativi, abbiano bisogno di essere preservati e promossi”.
La profezia dell’ecologia integrale di Papa Francesco
E mentre giunge questo ennesimo accorato grido di aiuto, ci fermiamo a conoscere meglio una realtà ancora per molti aspetti misteriosa quanto sfidante. Uno sguardo delicato da una sponda all’altra dell’Atlantico è quello usato dal regista Alessandro Galassi che in poco più di un’ora di immagini racconta la bellezza ferita dell’Amazzonia e il suo spirito indomabile:
“La mia idea iniziale era raccontare l’Amazzonia attraverso le radio locali della regione”, spiega a Vatican News. “Poi tutto è stato stravolto grazie al Sinodo sull’Amazzonia che ho seguito in Vaticano e nel corso del quale ho intuito la potenza del messaggio di ascolto che il Papa aveva nei riguardi dei rappresentanti locali di questa terra. Ho avuto il desiderio di andare in Amazzonia, incoraggiato anche dalle persone delle comunità indigene presenti a Roma. Mi sono messo in ascolto là e mi sono umilmente fatto strumento della loro voce”.
Anamei: I guardiani della foresta mette in dialogo la resistenza degli indigeni Harakbut di Madre de Dios, nell’Amazzonia peruviana, con la profezia dell’ecologia integrale di Papa Francesco. Un messaggio quanto mai potente alla vigilia del vertice di Glasgow in cui i leader mondiali sono chiamati a dare concretezza politica al codice rosso sul cambiamento climatico lanciato dagli scienziati dell’International panel on Climate Change. La guarigione è possibile. Per la foresta e i suoi popoli come per il pianeta e l’umanità tutta.
Yésica, leader della comunità nativa
Galassi racconta come l’incontro con Yésica, professoressa biligue, leader della comunità nativa, sia stato provvidenziale per accedere in un territorio carico di storia, culture, risorse. Lei, che sarebbe poi diventata la protagonista del documentario, “all’inizio era scettica, riluttante. Poi a un certo punto ha accettato di raccontarsi e raccontare la sua terra, la sua famiglia e questo per me è stato molto bello”, dice Alessandro, il quale più volte ribadisce il cuore di questo lavoro: “aver potuto fare esperienza del fatto che davvero tutto è connesso, dell’ecologia integrale. Se non rispettiamo la madre terra, non rispettiamo la vita, le persone, i diritti dei lavoratori delle miniere dove estraggono l’oro illegalmente. Non c’è in ballo solo la distruzione della natura – scandisce – ma dell’essere umano. L’ho visto nelle ragazzine che si prostituivano nei villaggi, nei ragazzi che guadagnano pochi soldi nelle miniere”.
Il dramma delle miniere clandestine
Prima era il caucciù, ora sono le miniere clandestine – hanno ingoiato oltre 50mila ettari di foresta – a mutilare la selva e i suoi popoli. Gran parte della riserva della Tampobata è stata trasformata in una landa di terra screpolata. Insieme agli alberi, il metallo prezioso divora le vite di centinaia di migliaia di donne e uomini, ostaggio del lavoro schiavo e della prostituzione forzata. Madre de Dios è la metafora concreta di quanto crisi ambientale e crisi sociale siano intimamente collegate. Non tutto, però, è perduto: questo emerge dalla poesia di cui il documentario si nutre e che sapientemente restituisce, con uno stile sobrio, senza sensazionalismi.
Un albero ci salverà
Vari nuclei si susseguono nel documentario: dalla febbre dell’oro con il suo impatto devastante su ambiente e popolazioni native, al viaggio di Papa Francesco a Puerto Maldonado, capitale di Madre de Dios, quando gli occhi del mondo si sono aperti sul dramma dell’area. Poi c’è il focus sulla portata storica del Sinodo panazzonico, sulla saggezza profonda degli indigeni e sulla possibilità di un dialogo alla pari fra culture. E ancora, la pandemia e quell’orlo sull’abisso. Ma “un albero ci salverà. E sarà l’albero di Anamei”. A condire i racconti dei nativi, i versi della poetessa Ana Varela Tafur, citati in Querida Amazonia, e i disegni realizzati da bambini Harakbut.
Il cambiamento del nostro paradigma è inevitabile
“C’è ora una tendenza a diventare green, vedi per esempio il fenomeno del green washing praticato da diverse multinazionali”, riprende Galassi. “Io spero solo che ciascuno potrà fare esperienza, come ho fatto io, di questa profonda interconnessione tra ambiente e popoli, tra territorio e dignità di uomini e donne”. A taluni detrattori pare quasi una moda sfilare per le cause ‘ecologiche’: eppure meglio apparire seguaci di ‘una moda’ che continuare a negare che il sistema in cui viviamo è sostenibile, conclude il regista. “Il cambiamento del nostro paradigma è inevitabile”.