Francesco ai vescovi d’Ungheria: costruite ponti e diffondete la gioia del Vangelo

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Adriana Masotti – Città del Vaticano

Quello rivolto ai vescovi ungheresi è il primo discorso di Papa Francesco a Budapest.

L’incontro con loro, nella Sala Rinascimentale del Museo delle Belle Arti, segue quello privato con il presidente della Repubblica e con il primo ministro nella Sala Romanica dello stesso Museo. 

Papa Francesco è in Ungheria per la conclusione del 52mo Congresso Eucaristico Internazionale e Francesco parte proprio dall’offerta di Cristo del suo Corpo e del suo Sangue per parlare ai vescovi locali ricordando quanto la Chiesa ungherese, per la sua storia fatta di martirio e di sangue, sia associata al sacrificio di Cristo.

Tanti fratelli e sorelle, tanti vescovi e presbiteri hanno vissuto ciò che celebravano sull’altare: sono stati macinati come chicchi di grano, perché tutti potessero essere sfamati dall’amore di Dio; sono stati torchiati come l’uva, perché il sangue di Cristo diventasse linfa di vita nuova; sono stati spezzati, ma la loro offerta d’amore è stata un seme evangelico di rinascita piantato nella storia di questo popolo.

Custodire le radici e guardare avanti

E’ necessario quindi, afferma Francesco, “custodire il passato” e insieme “guardare al futuro”. Custodire le radici religiose e la storia ma, dice, “trovare nuove vie per annunciare il Vangelo”. E cita l’esempio delle suore ungheresi che, costrette a lasciare la loro patria, si trasferirono in Argentina dove proseguirono con coraggio e pazienza la loro missione fondando il Collegio “Maria Ward”. Non bisogna mai dimenticare, dice, le parole di Benedetto XVI: la tradizione cristiana ‘non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte’, ma è ‘il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità’. E Francesco prosegue:

La Chiesa proviene dalla sorgente che è Cristo ed è inviata perché il Vangelo, come un fiume d’acqua viva, infinitamente più largo e accogliente del vostro grande Danubio, raggiunga l’aridità del mondo e del cuore dell’uomo, purificandolo e dissetandolo. Il ministero episcopale, allora, non serve a ripetere una notizia del passato, ma è voce profetica della perenne attualità del Vangelo, nella vita del Popolo santo di Dio e nella storia di oggi.

Tre i suggerimenti che il Papa offre ai vescovi per questa loro missione: essere annunciatori del Vangelo, testimoni della fraternità e costruttori di speranza.

Annunciare il Vangelo

Quando la società in cui viviamo non sembra ben disposta ad accogliere la proposta cristiana, afferma il Papa, può venire la tentazione di chiudersi “nella difesa delle istituzioni e delle strutture”, ma va tenuto sempre presente che “al centro della vita della Chiesa c’è l’incontro con Cristo”. E’ lui la sorgente d’acqua viva che disseta il cuore dell’uomo, sottolinea, la presenza della Chiesa nella società serve “a risvegliare nelle persone la sete di Dio e a portare loro l’acqua viva del Vangelo”.

Perciò, a voi Vescovi è richiesto anzitutto questo: non la burocratica amministrazione delle strutture: questo lo facciano altri; non la ricerca di privilegi e vantaggi: per favore, siate servi, servitori, non principi, eh? no no. Ma cosa vi chiedo? La passione ardente per il Vangelo, così com’è il Vangelo: così. Fedeltà e passione al Vangelo. Essere testimoni e annunciatori della Buona Notizia, diffusori di gioia, vicini ai sacerdoti – vicini ai sacerdoti – e ai religiosi con cuore paterno, esercitando l’arte dell’ascolto. 

Siate vicini a Dio, tra voi, ai sacerdoti e al popolo

Fin qui la lettura del testo preparato, Francesco desidera però precisare a braccio il suo pensiero sulla figura del vescovo, ricordando ai presuli le quattro vicinanze a cui ogni pastore è tenuto: vicinanza a Dio, prima di tutto, e quindi dare tempo alla preghiera; vicinanza tra i vescovi, la fratellanza episcopale: discutere sì, ma da fratelli, chiedere la grazia dell’unità della Conferenza episcopale. Poi, la vicinanza ai sacerdoti: “il prossimo più prossimo del vescovo è il prete”. Papa Francesco quindi prosegue:

Io vi dico una cosa che mi ha addolorato tanto. Ho trovato, in alcune diocesi, sia nella mia patria, quando ero lì, nell’anteriore diocesi, o adesso, che sono a Roma, preti che si lamentano, preti difficili, eh?, ma che si lamentano, perché hanno voglia, hanno necessità di parlare con il vescovo – così dicono, tante volte ho sentito questo: “Ma, ho chiamato e la segretaria ha detto che è troppo indaffarato, che ha guardato e mi ha detto: ‘entro tre settimane, può darsi, vi darà un appuntamento di un quarto d’ora’”. E il prete dice: “no, grazie, così non voglio”, oppure: “sì”. Ma non va. Il prete sente lontano il vescovo, non lo sente padre. Vi do un consiglio, da fratello: quando voi tornerete dopo una missione, dopo una visita a una parrocchia, stanchi, in vescovado, e vedete la chiamata di un prete, chiamalo; lo stesso giorno o al massimo il giorno seguente: non di più. La vicinanza. E quel prete, se è chiamato subito, saprà che ha un padre.

Infine la quarta vicinanza, quella al “santo popolo fedele di Dio”. Il Papa raccomanda ai vescovi di non dimenticarsi del loro popolo, del gregge da cui sono stati tolti. Il cuore, dice, sia “vicino al popolo” e “non abbiate paura di coinvolgere i laici: saranno i canali attraverso i quali il fiume irrigherà nuovamente l’Ungheria”.

Testimoniare la fraternità  

L’Ungheria è terra di convivenza, osserva Papa Francesco riprendendo la lettura del testo: popoli diversi, varie etnie, minoranze, confessioni religiose e migranti l’hanno trasformata in un ambiente multiculturale. Una realtà nuova, riconosce, che all’inizio può spaventare perchè scardina le sicurezze acquisite, ma rappresenta un’opportunità per aprire il cuore: 

Davanti alle diversità culturali, etniche, politiche e religiose, possiamo avere due atteggiamenti: chiuderci in una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’incontro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna. Mi piace qui ricordare che proprio in questa capitale europea, nel 2017, vi siete incontrati con i rappresentanti di altre Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale e avete ribadito che l’appartenenza alla propria identità non deve mai diventare motivo di ostilità e di disprezzo degli altri, bensì un aiuto per dialogare con culture diverse. Senza negoziare la propria appartenenza: no, il dialogo.

Costruire ponti e promuovere il dialogo

La Chiesa, sottolinea il Papa, è chiamata, dunque, a costruire “nuovi ponti di dialogo”, solo così il fiume del Vangelo può raggiungere le persone, “facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale”:

Come Vescovi, vi chiedo di mostrare sempre, insieme ai sacerdoti e ai collaboratori pastorali, il volto vero della Chiesa: è madre. E’ madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo. Siate Pastori che hanno a cuore la fraternità. Non padroni del gregge, ma padri e fratelli. Lo stile della fraternità, che vi chiedo di coltivare con i sacerdoti e con tutto il Popolo di Dio, diventi un segno luminoso per l’Ungheria.

Diffondere la speranza 

Il terzo suggerimento di Francesco ai vescovi è quello di far sì che la Chiesa in Ungheria sia dispensatrice della certezza della misericordia di Dio per tutti. Mettendo al centro il Vangelo e testimoniando la fraternità, osserva Francesco, “possiamo guardare al futuro con speranza”, anche in mezzo alle “piccole o grandi tempeste” di oggi. E avverte: “la tentazione di abbatterci e scoraggiarci non viene mai da Dio”. Elenca poi le sfide attuali:

La Chiesa in Ungheria ha avuto recentemente modo di riflettere su come il passaggio dall’epoca della dittatura a quello di una ritrovata libertà sia una transizione segnata da contraddizioni: il degrado della vita morale, l’aumento della malavita, il commercio della droga, fino alla piaga del traffico di organi e tanti fatti sui bambini assassinati per questo. Ci sono problemi sociali: le difficoltà delle famiglie, la povertà, le ferite che colpiscono il mondo giovanile, in un contesto nel quale la democrazia ha ancora bisogno di consolidarsi. La Chiesa non può che essere protagonista di vicinanza, dispensatrice di attenzione e consolazione per le persone, affinché non si lascino mai rubare la luce della speranza.

Avere sempre parole di incoraggiamento

Dio ci accompagna sempre: Papa Francesco ricorda a questo proposito le parole del venerabile cardinale ungherese József Mindszenty, molto amato dal popolo, che alla fine di una vita piena di sofferenze a causa della persecuzione comunista, ha lasciato queste parole: “Dio è giovane. Il futuro è suo. È Lui che evoca ciò che è nuovo, giovane e il domani negli individui e nei popoli. Perciò non possiamo abbandonarci alla disperazione”. E ai vescovi raccomanda:

Non si trovino sulle vostre labbra espressioni che segnano distanze e impongono giudizi, ma che aiutino il Popolo di Dio a guardare con fiducia al futuro, aiutino le persone a diventare protagoniste libere e responsabili della vita, che è un dono di grazia da accogliere, non un rompicapo da risolvere. 

Concludendo il suo discorso, Francesco ricorda ancora ai pastori ungheresi che anche il loro Paese ha bisogno “di un rinnovato annuncio del Vangelo, di una nuova fraternità sociale e religiosa, di una speranza da costruire giorno per giorno per guardare al futuro con gioia”. E li benedice affidando la loro missione alla protezione della Madonna e di San Giuseppe.