Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Sono passati 81 anni da quando la bicicletta di Roger Schutz, un 25enne svizzero di madre francese, in piena Seconda Guerra Mondiale, è arrivata a Taizé, un piccolo e sperduto villaggio della Borgogna, posto su una collina vicino a Cluny. Dopo aver provato a diventare scrittore, Roger si era iscritto a Teologia, ma da anni, durante una lunga malattia, aveva maturato il desiderio di creare una comunità, dove vivere concretamente, nella preghiera, la riconciliazione tra i cristiani proposta nel Vangelo, accogliendo i più bisognosi.
20 agosto 1940: l’arrivo di Roger a Taizé
E quel 20 agosto del 1940, era da un po’ alla ricerca di una casa dove iniziare a realizzare questo suo sogno. A convincerlo che Taizé era il luogo giusto fu l’invito a pranzo di una donna del posto, Henriette Ponceblanc, che durante il pasto gli disse: “Resti qui, siamo così soli”. Al giovane Schutz sembrò che fosse Cristo a parlare attraverso quella donna, e decise di sistemarsi in quel paese, acquistando, grazie ad un piccolo prestito, la casa abbandonata di una signora che viveva a Lione.
Una casa per accogliere ebrei e profughi di guerra
Allo scoppio della guerra, Roger aveva capito che, come aveva fatto la sua amata nonna materna Marie-Louise durante il primo conflitto mondiale, doveva aiutare le persone che “stavano attraversando la prova”. E Taizé era vicinissimo alla linea di demarcazione che divideva in due la Francia, quindi ben collocato per accogliere chi fuggiva dalla guerra. Cominciò così ad ospitare e nascondere fuggiaschi, in particolare ebrei, e propose alla sorella Geneviève di aiutarlo ad accogliere. Avvisati che la Gestapo li aveva scoperti, mentre nel novembre 1942 Roger accompagnava dei profughi senza documenti al confine svizzero, decisero di restare a Ginevra.
I primi fratelli: Roger, Pierre e Max
Lì furono raggiunti da due studenti di Lione, Pierre Souvarain e Max Thurian, che avevano letto il libretto scritto dal giovane svizzero “Note explicative”, nel quale chiariva il suo ideale di vita. Era il primo nucleo della futura Comunità ecumenica di Taizé: i tre tornarono in Francia nel 1944 e ottennero il permesso di muoversi liberamente nel Paese in aiuto ai più bisognosi. Aiutarono così i prigionieri tedeschi di due campi vicini e alcuni bambini orfani, dei quali si occupava Geneviève.
La Pasqua del 1949 e l’impegno di sette per la vita
Un poco alla volta altri giovani si unirono ai primi fratelli e il giorno di Pasqua 1949, nella chiesa di Taizé, messa a disposizione per la preghiera della comunità, grazie all’autorizzazione del nunzio Angelo Giuseppe Roncalli (il futuro Papa Giovanni XXIII) , sette uomini si impegnarono insieme per tutta l’esistenza nel celibato, la vita comune e una gran semplicità di vita.
Inserire una vita spirituale dove sono le fratture del mondo
Tante cose sono cambiate da allora, ha ricordato lo scorso anno, in occasione dell’ 80.mo anniversario dell’arrivo di frérè Roger a Taizé, il suo successore alla guida della comunità, frérè Alois Löser, 67 anni, di origini tedesche. Ma la prima intuizione di Roger, ha detto in un’intervista a L’Osservatore Romano, “rimane profondamente attuale: inserire una vita spirituale, una ricerca di Dio, laddove si trovano le fratture del mondo”.
Una Comunità che si è aperta ai giovani
Ancora oggi i cento frères di Taizé accolgono profughi sulla collina “e alcuni fratelli – ricordava il priore – vivono in piccole fraternità in luoghi particolarmente indifesi nel mondo odierno”. Ma soprattutto aprono le porte della Comunità, ogni anno, a migliaia di giovani da tutti i continenti, e questa “è un’altra grande evoluzione che ancora oggi stupisce noi stessi”. Giovani che non vengono per entrare a far parte di un nuovo movimento ecumenico, ma, come voleva Roger, morto il 16 agosto 2005 all’età di 90 anni, per mano di una squilibrata, passano “per attingere insieme alle fonti della fede”.
Alla fine della preghiera, i frères ascoltano i giovani
Le tre preghiere comuni della Comunità, nella Chiesa della Riconciliazione, restano sempre al centro degli incontri giovanili, accompagnate dai canoni conosciuti e cantati nelle chiese di ogni continente. I giovani di tutto il mondo raggiungono la collina di Taizé per vivere una settimana speciale: incontro, canto, preghiera, silenzio, che portano quasi spontaneamente a riscoprire il senso della vita. Alla fine della preghiera nella grande chiesa o nelle fiere degli incontri europei di fine anno, frérè Roger incontrava spesso i giovani. Come spiegava in un’intervista al Centro Televisivo Vaticano nel gennaio 1998, di cui riportiamo un estratto nel video.
Frérè Roger (1998): non padri spirituali, ma uomini di ascolto
“A Taizè noi ascoltiamo – diceva il fondatore della Comunità – Io e i miei fratelli non siamo dei padri spirituali, ma siamo degli uomini che ascoltano, qualche volta possiamo dire qualche parola, diciamo a giovani di interrogarsi su se stessi, e cercare dentro di sé. Cercare e ascoltare è già l’inizio di una guarigione. Dopo i giovani ripartono, vanno in ambienti e luoghi talmente diversi. Alcuni tornano in famiglia dove si prega e si cerca la fede, altri dove non c’è niente, dove non si può parlare né essere ascoltati”. Molti confidano ai fréres di vivere “la grande inquietudine dell’avvenire. Che futuro avrò, che lavoro, come trovarlo e guadagnare la nostra vita. E’ una grande inquietudine dell’Europa. A loro direi di cercare di adattarsi e di trovare una libertà interiore, assolutamente necessaria. La semplicità della vita è la nostra risposta. Una vita fatta di poco, quasi niente, e poi camminare, costruire una famiglia, costruire una comunione”.
Un “invitato speciale” ai Sinodo dei giovani
Di ascolto parlava anche frérè Alois, nello stralcio dell’intervista concessa a Vatican News durante il Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani dell’ottobre 2018, nel quale era l’unico “invitato speciale”. Da quando, ventenne, è entrato nella comunità sulla collina della Borgogna, ha sempre incontrato i giovani che salgono con le loro tende, cantano i canoni composti dai frères e chiedono di parlare con loro alla fine delle preghiere.
Un “ministero di ascolto” nella Chiesa, per consacrati e laici
“I giovani cercano una casa nella Chiesa, vogliono essere a casa, vogliono essere accolti come sono – ci diceva – E quando c’è una fiducia, i giovani ascoltano anche loro il messaggio del Vangelo. Però la prima cosa è di cercare questa fiducia con i giovani, e anche di accoglierli nella preghiera comune. Di ascoltare insieme la Parola di Dio, di fare silenzio insieme e di ascoltare i giovani che vogliono parlare personalmente con qualcuno. Cercano nella Chiesa un orecchio, un cuore, che accoglie con umanità. Io penso che possiamo avere forse nella Chiesa con più forza ancora un ministero di ascolto, che non è soltanto esercitato dai sacerdoti, religiosi o religiose, ma anche dai laici, donne, uomini che sono nella Chiesa per accogliere, ascoltare, e poi accompagnare i giovani”.