Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Dati drammatici che non riescono a raccontare le tante storie di fame, disperazione e sofferenza nel Libano che sta per ricordare un anno dall’esplosione al porto di Beirut, che il 4 agosto del 2000 ha causato 204 morti, 6500 feriti e 300 mila sfollati. Li ha sottolineati Caritas Libano nel seminario online organizzato nel pomeriggio da Caritas Internationalis, e dedicato proprio alla difficile situazione che sta vivendo il Paese dei Cedri. Secondo l’Unicef, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia, in oltre il 30 per cento delle famiglie in Libano almeno un bambino ha saltato un pasto nel marzo 2021 e il 77% delle famiglie ha detto di non avere abbastanza cibo.
L’ inflazione in Libano supera il 40 per cento
Come ha ricordato nel suo intervento Rita Rhayem, consulente per la strategia internazionale di Caritas Libano, “la crisi del carburante ha colpito le imprese in tutto il Libano, minacciando la produzione e il trasporto in un Paese che già lotta per ottenere sufficienti materie prime. I sussidi sul carburante sono stati ridotti, facendo aumentare i prezzi di circa l’80 per cento e l’inflazione è alle stelle, con un tasso ora superiore al 40%.
Il Covid-19 e la crisi dell’assistenza sanitaria
La crisi economica non ha risparmiato il settore medico, ha sottolineato Rhayem, spiegando che “un importante ospedale pubblico sta razionando l’elettricità e ha spento l’aria condizionata nonostante l’aumento delle temperature estive”. E anche il numero di positivi al Covid-19 è aumentato in giugno, con un’estrema scarsità di attrezzature mediche vitali e di medicinali. “Molti operatori sanitari si sono dimessi e altri sono emigrati – ha proseguito la consulente di Caritas Libano – alla ricerca di migliori opportunità, e questo ha aggravato ulteriormente la crisi delle strutture sanitarie”.
Scuola cattoliche senza fondi e a rischio chiusura
Infine l’80% delle scuole cattoliche, che forniscono istruzione a circa due terzi degli studenti degli istituti privati libanesi, potrebbero chiudere entro la fine di quest’ l’anno scolastico, a causa della mancanza di aiuti governativi. Le rette non pagate nelle scuole cattoliche, infatti, ammontano a 32 milioni di dollari. E se non bastasse, “sia i rifugiati che le popolazioni locali continuano a sentire gli impatti negativi della prolungata guerra civile in Siria”.
I numeri dell’ impegno di Caritas Libano nell’emergenza
Oltre ai numeri drammatici, ci sono quelli che testimoniano il grande impegno di Caritas Libano, possibile grazie ai tanti aiuti arrivati dall’estero. Nell’emergenza quasi 17 mila kit di cibo freddo e più di 245 mila pasti caldi distribuiti, 510 interventi di primo soccorso, più di 7700 visite mediche, quasi 2000 esami effettuati, oltre 4600 cure infermieristiche e più di 1500 visite di primo sostegno psicologico. Nei mesi successivi, migliaia le case di Beirut ricostruite, più di 2000 i negozi riattivati.
Il grazie all’aiuto dei tanti donatori internazionali
Poi ci sono i tanti, piccoli gesti di solidarietà, “che da soli non risolvono, ma danno speranza”, ha sottolineato il segretario generale di Caritas Internationalis, Aloysius John, intervenuto nel seminario insieme al presidente Caritas Medio Oriente e Nord Africa, Gabriel Hatti e al coordinatore regionale Karam Abi Yazbeck. L’intervento più toccante è stato quello del presidente di Caritas Libano, il carmelitano padre Michel Abboud, che ha ringraziato per i tanti aiuti ricevuto attraverso Caritas Internationalis e da tanti libanesi della diaspora, “tanto che non abbiamo speso il milione di dollari che avevamo stanziato per le enormi necessità”. Ha ringraziato lo sforzo disinteressato dei 1200 giovani volontari di Caritas Lebanon Youth, 29 gruppi in tutto il Libano, che hanno aiutato più di 50 mila persone. Del loro impegno ha parlato il responsabile Peter Mahfouz, anche membro del Consiglio di Rappresentanza di Caritas Internationalis.
Padre Abboud: “Cosa dire a chi ha perso tutto, soprattutto i cari?”
Ma nel concludere il suo intervento, padre Abboud si è chiesto: “Cosa possiamo dire a quelle persone che hanno perso tutto a causa dell’esplosione, che hanno perso le loro case, i loro cari, le loro cose? Cosa dire ai genitori che si rimproverano di aver fatto morire la propria figlia o il proprio figlio perché non hanno permesso loro di lasciare questo Paese quando ne avevano la possibilità? Rimarremo in silenzio di fronte a coloro che stanno ancora soffrendo per le conseguenze di questa esplosione? Cosa diciamo ai bambini che rifiutano che i loro genitori escano di casa per paura di perderli? Cosa diciamo alle persone che rifiutano di ristrutturare le loro case perché non si fidano più di questo Paese e cercano di lasciare il Libano e di non tornare più?”. La Caritas, ha concluso, “rimane il sostegno, rimane la luce alla fine del tunnel. Questa è la nostra missione, e non potremmo mai farlo, se non fosse per la vostra generosità”.
La preghiera che ha aperto il webinar
Una triste storia di sofferenza, padre Michel la racconta anche in questa intervista a Vatican News, subito dopo la fine del webinar, che il presidente di Caritas Libano aveva introdotto pdregando così il Signore: “Abbiamo perso le nostre case, abbiamo perso le nostre famiglie, abbiamo perso molto, ma non vogliamo perdere il nostro amore per te, e la nostra fede in te, vogliamo perseverare nel tuo amore per sempre”.
Padre Michel, nel corso del seminario avete ricordato come Caritas Libano si sia attivata immediatamente dopo l’esplosione. Ma oggi, nella gravissima situazione economica del Paese, quali sono le vostre priorità d’intervento, in base ai bisogni dei libanesi?
Nel momento dell’emergenza, dopo l’esplosione a Beirut, siamo arrivati a dare almeno un milione di servizi in cibo, medicine, restauro delle case. Ma adesso abbiamo una grande emergenza, la crisi economica causata da questo cambiamento del valore del dollaro che portato la gente a perdere molto del valore del loro salario. Dunque abbiamo questa grande difficoltà e adesso la priorità è non morire. Per questo stiamo lavorando per assicurare il cibo, le medicine, il latte per i bambini e anche aiutare la gente a pagare l’ospedalizzazione, perché abbiamo le assicurazioni del governo ma c’è una differenza di somma finale che il deve pagare e c’è tanta gente diventata povera che non può pagare, e noi siamo pronti a farlo per loro.
Lei raccontava anche che in questo momento molti quelli che vi donavano in Libano sono quelli che vi chiedono aiuto, quindi l’aiuto può arrivare soprattutto dall’esterno?
Abbiamo avuto brutte esperienze: prima quando una persona arrivava da me mi diceva: “Padre questi 100 dollari sono per i poveri”. Da poco abbiamo avuto quattro casi nella stessa settimana: nel mio ufficio. sono venuti da me dei donatori con le lacrime agli occhi: “Padre, il mondo è cambiato, la nostra vita è cambiata, per quello siamo qui per chiedere aiuto a voi”. Veramente è stato terribile da ascoltare. E adesso ci sono tante persone fuori dal Libano che stanno mandando aiuti, libanesi ma anche, e sono la maggioranza, non libanesi dall’Europa, dell’Italia e dagli Stati Uniti. Tanti a livello personale o a livello delle comunità o delle associazioni.
Nella sua conclusione, ho sentito anche sconforto e la difficoltà di sostenere famiglie ancora sconvolte da quello che è successo e dalle sue conseguenze oggi.
E’ la sofferenza psicologica di tante famiglie in Libano. Tante vengono da noi e ci chiedono un aiuto psicologico per uscire da questa crisi, “per la mia bambina, per il mio ragazzo”. Anche i nostri dipendenti che stanno lavorando, ci hanno detto che il 4 agosto non vogliono lavorare, perché soffrono nel ricordare che quel giorno erano nella loro casa quando è arrivata l’esplosione. Quando cominciano i giorni del ricordo, ad un anno da questa esplosione, si comincia a riaprire questa ferita nello spirito. E’ una cosa che veramente non si può esprimere, la sofferenza che stiamo ascoltando ogni giorno, a causa dell’esplosione.