di Luigi Maria Epicoco
La Bibbia ci riporta due versioni opposte della vecchiaia facendoci scontrare con la possibilità del bene e del male anche nell’ultimo tempo della nostra vita. La prima versione la troviamo nella storia del re Saul: il progressivo allontanamento dal Signore diventa per lui una maledizione fino al punto in cui il Signore stesso ritirerà la sua benedizione dal regno (1Sam 16, 1). Questa distanza che si viene a creare con Dio fa scoppiare uno dei più feroci scontri generazionali raccontati dalla Bibbia. La vecchiaia di Saul è piena di invidia, di rancore verso la giovinezza di Davide. Si scatena in lui un desiderio persecutorio che a più riprese mette in atto. È Davide che mostra in questo caso una maturità più grande non rispondendo al male con il male. La sindrome di Saul è una malattia spirituale che non risparmia nemmeno i nostri ambienti ecclesiali. Sovente assistiamo a un’incapacità a vivere la vecchiaia come un tempo di benedizione. Nutrire rancore e inconfessata invidia per un giovane è il chiaro segno che qualcosa si è incrinato nel nostro rapporto con Dio e nel nostro rapporto con la finitudine. Poco importa se Saul ricopre un ruolo di potere, e quindi in realtà non ha nulla da temere da un povero pastore armato solo di cetra e fionda. Dentro di lui c’è spazio solo per il desiderio di eliminazione di ogni possibile rivale al suo trono. Egli non si concepisce in rapporto a Dio ma in rapporto al proprio posto nel mondo che sembra essere diventato la ragion d’essere della vita.
Alla versione negativa di Saul, però, si contrappone la vecchiaia di Simeone e Anna. La figura di questi anziani, che ritroviamo nei racconti dell’infanzia di Gesù, ci mostrano una versione inedita della vecchiaia tutta piena di attesa, attenzione, profezia. Ciò che colpisce in loro non è solo la capacità di saper fare discernimento rispetto al loro presente, ma la capacità di sapersi congedare davanti all’esperienza dell’incontro con Gesù: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola» (Lc 2, 29). L’incontro con il “bambino” non è l’incontro con una minaccia, così come accade per Erode, ma è l’incontro con una pasqua, cioè con un passaggio decisivo della vita. Papa Francesco ci ha ricordato nell’Angelus di domenica scorsa che il dialogo generazionale è una necessità, non una semplice opzione: «Senza il dialogo tra i giovani e i nonni, la storia non va avanti, la vita non va avanti: c’è bisogno di riprendere questo, è una sfida per la nostra cultura. I nonni hanno diritto a sognare guardando i giovani, e i giovani hanno diritto al coraggio della profezia prendendo la linfa dai nonni». Importa poco se quel nonno sia un padre o una madre, un cardinale, un vescovo, un superiore o una superiora. Importa che al di là del posto che occupiamo nel mondo e nella Chiesa ci ricordiamo che il tempo della vecchiaia è il tempo in cui possiamo perseguitare Davide o salvargli la vita. Ma è anche il tempo in cui Davide può camminare da solo, o riconoscere preziosa l’esperienza di chi lo ha preceduto.