Rapporto Censis: il Covid spazza via i sogni di 6,5 milioni di persone

Vatican News

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

Famiglie con figli, disabili o anziani a carico, che in questo anno e mezzo segnato dalla pandemia di Covid-19, hanno dovuto cambiare i loro progetti, mettere in pausa i sogni, rivedere le proprie scelte di investimento immobiliare e di spesa in generale. E’ quanto emerge dal rapporto AGI-Censis, pubblicato oggi, che fa il punto sulle modifiche comportamentali degli italiani dal marzo 2020. Stando ai dati, il 66,4% delle famiglie – circa 6,5 milioni di persone – nelle quali almeno uno dei componenti aveva in progetto di cambiare lavoro o attività, ha dovuto soprassedere. E se un quarto di esse ha deciso di prendere tempo e rimandare a circostanze migliori, il 15% vi ha categoricamente rinunciato. Nel complesso emerge una pesante situazione di stallo a tal punto che nel Rapporto si parla di “energia compressa”, che di certo non fa bene all’economia e alla “salute” del Paese e che potrà essere forse dispiegata solo con l’uscita dall’incubo di questo virus che continua però a mutare e a diffondersi, nonostante i vaccini, assumendo l’aspetto di pericolose varianti.

Stop a nuovi investimenti e cambi di lavoro

Entrando nel dettaglio, il 65% delle famiglie ha dovuto rivedere le proprie scelte di investimento immobiliare. Si scende al 54,2% per chi aveva in animo di cambiare la propria residenza ed è dovuto tornare sui propri passi. Il 56,3% di chi stava attivamente cercando un lavoro ha smesso di farlo o ha spostato nettamente la direzione delle proprie ricerche pur di avere un’occupazione anche non in linea con il titolo di studio. Particolarmente interessante l’esistenza di un segmento, sia pure minoritario, di famiglie che hanno sviluppato progetti di cambiamento proprio a causa dell’emergenza sanitaria. Il 19% dei nuclei familiari, ha messo in cantiere un trasferimento di residenza, probabilmente dando seguito all’esigenza di disporre di un’abitazione con caratteristiche diverse (un terrazzo, un giardino…) e più adatte alle nuove condizioni di vita determinate dallo smartworking e dalla didattica a distanza. Aspettative deluse e rimodulazioni, dunque, che frenano il ritorno alla normalità e per i più pessimisti azzerano la possibilità di tornare alla vita di prima.

Sanità e misure di prevenzione

Scarsa la fiducia nel sistema sanitario: solo il 26,6% dei cittadini è convinto che entro un anno avremo di nuovo la possibilità di accedere a test diagnostici e ad interventi chirurgici senza doverli rinviare a causa del Covid, la maggioranza delle persone non prevede, invece, cambi di passo in questo senso. Il 36,6% degli italiani conviene che continueremo a lungo ad utilizzare mascherine e distanziamento sociale. Secondo il Rapporto, la maggior parte degli italiani è convinta che in meno di un anno ci si sposterà senza nessuna restrizione, grazie anche all’intensificazione dei controlli e verranno archiviati l’uso delle mascherine e il distanziamento interpersonale (56,3%). A questi si aggiungono però tutti coloro che ritengono che queste precauzioni entreranno a far parte stabilmente della nostra vita (7,1%).

Scuola e smartworking

Per quanto riguarda la scuola e l’università prevale un maggior ottimismo: i due terzi (67,2%) degli intervistati ritengono che ci vorrà meno di un anno per tornare ad organizzare lezioni in presenza per tutti gli studenti. Il 27,2% pensa invece che occorrerà molto più tempo. Valutazioni nel complesso non dissimili, anche se con previsioni leggermente più pessimiste, riguardano il tema degli spostamenti sul territorio e l’acquisto di beni e servizi. Un discorso a parte merita il lavoro da remoto: in questo caso sono una stretta minoranza (18,1%) gli italiani che non si mostrano critici verso le aziende o le organizzazioni che non intendono adottare lo smartworking nei loro schemi operativi. La stragrande maggioranza sostiene e apprezza il lavoro da remoto considerandolo un processo consolidato dall’esperienza e dunque in qualche modo irreversibile. In modo particolare questo vale per la popolazione più istruita, dove la percentuale dei contrari scende al 14,6%. La resistenza maggiore si riscontra con riferimento ai servizi della Pubblica Amministrazione, dove il 35% degli italiani dichiara di non vedere di buon occhio una transizione completa e definitiva verso l’allestimento di “sportelli online” in sostituzione di quelli tradizionali ad accesso fisico, e con operatori in “carne e ossa”. Percentuali simili si registrano con riferimento alla diffidenza verso il voto digitale.

Resistenze alla transizione digitale

La pandemia ha alimentato l’uso della rete internet, ma non mancano dubbi e resistenze sulla transizione digitale. L’uso emergenziale della rete non sembra cioè aver definitivamente traghettato gli italiani verso una reale transizione digitale in tutti i settori di offerta pubblica. Sinteticamente, al voto elettronico, il 32,3% dei cittadini è solo parzialmente d’accordo e il 34,2% non ne vuole sentir parlare. Maggiori aperture si registrano verso una sanità che utilizza a pieno le nuove tecnologie (fascicolo sanitario elettronico, telemedicina, ricette online, teleconsulti, ecc.). Anche le previsioni sul futuro incorporano molte le posizioni “conservative”. Con buona pace delle tematiche ambientali, il 41,3% degli intervistati è convinto che l’editoria online non soppianterà affatto la carta stampata e il 43,8% pensa che continueremo a muoverci in auto per fare la spesa settimanale piuttosto che ricorrere a sistemi di acquisto online con trasporto della merce a domicilio. E’ certamente noto a tutti che la digitalizzazione dei processi è il vero driver del cambiamento, ma forse è proprio per questo che ci sono delle resistenze. In parte ciò si lega alla debolezza delle competenze digitali di quote importanti di cittadini. Ci sono sicuramente delle resistenze per ciò che riguarda i dati, la privacy, la tracciabilità dei comportamenti, ecc. Ma è anche probabile che il rapporto con i servizi pubblici nel nostro Paese non si sia ancora strutturato intorno ad un “circuito virtuoso di dare-avere”. Infine, qualsiasi buona ragione basata sulla sensibilità ambientale, o semplicemente sulla comodità o la razionalizzazione del tempo a disposizione si scontra con abitudini consolidate che solo una minoranza sembra ben contenta di modificare grazie alle tecnologie digitali.