Lo sport motore solidale di ripartenza

Vatican News

A dire “Sport e Chiesa” probabilmente si sbaglia: sì, perché a metterla così — con quella “e” nel mezzo — potrebbero sembrare due realtà diverse — lo sport e l’esperienza comunitaria di fede — o persino due mondi a confronto che si deve trovare il modo di far “alleare” per un obiettivo comune.

In realtà, come ha suggerito Papa Francesco ricevendo, lo scorso 29 maggio, Athletica Vaticana — la “sua” squadra — i cristiani sono, del tutto naturalmente, veri protagonisti perché vivono dal di dentro lo sport — «sacramentale della bellezza» — come esperienza spirituale di vita, sia interiormente sia accanto agli altri. E sempre con la concretezza popolare, alla portata di tutti. Insomma, con lo stile della pelota de trapo — il pallone di stracci “da strada” — indicato dal Papa: del resto, ha spiegato Francesco, la Chiesa vive con passione tutto ciò che riguarda l’uomo.

Proprio per provare a fare il punto sull’esperienza sportiva anche come motore di ripartenza nel dopo-Covid il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, ha incontrato per confrontarsi in un costruttivo dibattito — giovedì mattina, 8 luglio, nella sede della Lumsa — i massimi rappresentanti dello sport italiano quasi alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo: Valentina Vezzali, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo sport; Giovanni Malagò, presidente del Comitato olimpico nazionale italiano; Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico; Vito Cozzoli, presidente di Sport e Salute; e Andrea Abodi, presidente dell’Istituto per il credito sportivo.

Si è parlato anzitutto del ruolo decisivo della scuola: in Italia è urgente partire dai bambini con un vero gioco di squadra per costruire una società migliore. Con un’attenzione del tutto particolare alle persone più fragili e con disabilità, che hanno pagato più di altri, per l’interruzione dei servizi essenziali, la tragedia della pandemia. Non è retorica affermare che non esiste differenze tra il “top player” e la cosiddetta “base” e che lo sport non è solo quello che passa in tv, anzi. Solidarietà e inclusione sono parole chiave per lo sport che è sempre più una “medicina sociale” e può davvero cambiare la prospettiva di vita delle persone. Per non parlare della missione straordinaria degli oratori, delle parrocchie che costituisce — e costituirà — un punto centrale nella vita di generazioni di italiani.

Hanno moderato l’incontro monsignor Melchor Sánchez de Toca, sotto-segretario del dicastero della cultura, nel cui ambito è responsabile del settore dello sport, e Giulia Tosana per il “Cortile dei Gentili”.

Hanno partecipato, tra gli altri, anche rappresentanti delle federazioni sportive italiane, degli enti di promozione, delle discipline associate e di altre realtà sportive, universitarie — a cominciare da rettore della Lumsa, Francesco Bonini — ed ecclesiali, e tra queste Scholas Occurrentes. A rappresentare il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita — che sta organizzando un incontro sulla fragilità e lo sport — era presente Santiago Pérez de Camino. Mentre per Athletica Vaticana — ricordando la recente partecipazioni ai campionati di atletica dei piccoli Stati d’Europa a San Marino — c’era Paul Gabriele Weston.

«Lo sport ha sofferto e sta soffrendo molto le restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia e la Chiesa intende esprimere la propria vicinanza a tutti gli sportivi» ha affermato il cardinale Ravasi, che — è stato annunciato ieri nella conferenza stampa di presentazione — sabato 18 settembre celebrerà la “Messa del Maratoneta” nella chiesa degli Artisti, a piazza del Popolo, alla vigilia della Maratona di Roma, con la speranza che questa manifestazione popolare segni concretamente un momento comunitario e reale di ripartenza per uscire migliori dalla crisi. Perché, ha aggiunto il cardinale, «la ripartenza dello sport dovrà avere una spiccata dimensione comunitaria: non possiamo chiedere allo sport di farcela da solo. È con questa visione comunitaria che vogliamo offrire il nostro contributo alla sua ripartenza».

L’incontro — promosso dal Pontificio consiglio della cultura, dall’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport e dalla Fondazione Giovanni Paolo ii per lo sport — ha inteso, anzitutto, confermare che «lo sport è di casa nella Chiesa italiana, nelle parrocchie e negli oratori, così come la Chiesa è di casa nel mondo dello sport, riconoscendone il valore educativo e la sua importante funzione sociale».

«La pandemia ha colpito duramente anche il mondo dello sport e la ripartenza non sarà né facile né scontata: sarà fondamentale un forte spirito di squadra» spiegano i promotori dell’incontro che hanno presentato una “road map” di progetti per i prossimi mesi. Il primo appuntamento sarà il simposio «Epos, Ethos, Paideia, Polis» ad Olimpia, in Grecia, dal 1° al 5 settembre, promosso dall’Ufficio della Conferenza episcopale italiana.

Proprio nella “culla olimpica”, la proposta è «riflettere insieme per costruire una visione condivisa per lo sport di domani». In quella occasione sarà redatto e presentato un “manifesto-azione” per delineare «alcuni orientamenti di sviluppo dello sport per i prossimi anni». E perché i principi non restino solo belle parole, seguirà in autunno una campagna di iniziative per dare concretezza al “manifesto di Olimpia”, hanno spiegato Daniele Pasquini, presidente della fondazione Giovanni Paolo ii per lo sport, e il sacerdote novarese don Franco Finocchio.

E proprio partendo da Olimpia, il cardinale Ravasi ha fatto presente come, fin dall’antichità, sport e cultura, con un particolare accento sulla bellezza  e sull’arte — citando Pindaro —  s’intrecciavano tra loro. Non si deve ora cedere alla tentazione di guardare al passato cercando di ricostruire semplicemente ciò che era prima. Si deve invece far “resilienza”, un atteggiamento che «guarda al futuro» ed è concreta “utopia”. E così la crisi è un trampolino per fare un balzo in avanti.

Il cardinale, facendo riferimento in particolare ai numerosi interventi di Papa Francesco, ha rilanciato la dimensione della “gratuità” nello sport, la dimensione del gioco come «attività libera», «struttura fondamentale dell’esistere» e «rappresentazione della libertà interiore».

E, in conclusione,  ha ricordato la proposta che il Comitato olimpico internazionale sta esaminando per aggiungere una quarta espressione — «communiter» — al noto motto olimpico «citius – altius – fortius», oltretutto pensato dal domenicano francese Henri Didon, amico di Pierre de Coubertin. «È significativo che si voglia aggiungere questa dimensione perché communiter significa, etimologicamente, darsi reciprocamente un dono». Ed è quello che avviene in ogni  associazione e comunità, piccola o grande «quando si fa sport autentico, non quello commerciale».

Per il cardinale, in realtà, la parola latina ideale sarebbe stata «simul», ha concluso, perché «ci spiega molto bene che cosa dovrebbe essere lo sport: deriva da similis e ci dice che tutti siamo coinvolti, simili appunto». Ma il suono richiama l’espressione “simulazione”, l’antisport per eccellenza.