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Sale il numero delle chiese cattoliche incendiate negli ultimi giorni in Canada, all’interno dei territori delle comunità native nella provincia di British Columbia. Sono quattro. Sabato scorso sono andate distrutte le chiese di St. Ann e di Chopaka, mentre all’inizio della scorsa settimana, lunedì 21 giugno, in concomitanza con la Giornata nazionale dei popoli indigeni, ne erano state date alle fiamme due, a Penticton e Oliver. Non ci sono notizie di feriti o di arresti, fanno sapere le forze di polizia canadesi, ma le inchieste sono in corso.
Da chiarire il rapporto tra quanto sta accadendo e il ritrovamento, iniziato già nel maggio scorso, di centinaia di tombe anonime con resti di bambini autoctoni nei pressi delle scuole residenziali istituite dal governo canadese a partire dall’Ottocento per assimilare bambini e adolescenti indigeni alla cultura dominante. Questi collegi erano poi affidati alle Chiese cristiane locali, tra cui quella cattolica. Giovedì scorso, era accaduto con 715 tombe anonime trovate nei pressi della Marieval Indian Residential School; a fine maggio invece i primi ritrovamenti di resti di 215 alunni dove sorgeva la Kamloops Indian Residential School, attiva da fine ‘800 fino alla fine degli anni ’60. Entrambi gli istituti appartenevano alla Chiesa cattolica.
Oggi, all’esterno di quella che un tempo fu la Marieval School, i membri della comunità Cowesses hanno eretto una tenda conica tradizionale, con pelli e corteccia di betulla, destinata alla preghiera, e hanno posizionato centinaia di luci per illuminare le tombe anonime dei bambini mai tornati a casa.
I vescovi canadesi hanno garantito l’impegno alla completa trasparenza, con l’apertura di archivi e registri relativi a tutte le scuole residenziali cattoliche, sollecitando anche le altre istituzioni, governative e non, a fare lo stesso.
Il cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, ha affermato: “Dobbiamo riconoscere che noi cattolici siamo stati complici del progetto del governo del Canada di assimilare i popoli indigeni privandoli delle loro lingue, della loro cultura e delle loro tradizioni. È certamente rischioso giudicare il passato con gli occhi di oggi. Quello che è certo, tuttavia, è che riconosciamo che è stato un enorme errore essere associati a questo sforzo che ha prodotto tanta sofferenza”.
Il vescovo di Montreal, monsignor Christian Lépine, in una lettera aperta ha parlato di “un lato oscuro della storia rispetto al quale nessun uomo, donna, credente o no, può giustamente rimanere indifferente”. I nativi americani chiedono al più presto di rendere pubblici tutti gli archivi delle scuole residenziali.
Parlando alla televisione canadese, l’arcivescovo di Regina, Donald Bolen ha parlato di un “lungo viaggio” da compiere. “Abbiamo a che fare – ha detto – con una storia complicata. Dobbiamo camminare a fianco degli indigeni nella loro ricerca di giustizia” con azioni concrete per la riconciliazione. Il vescovo di Montreal, monsignor Christian Lépine, in una lettera aperta ha parlato di “un lato oscuro della storia rispetto al quale nessun uomo, donna, credente o no, può rimanere indifferente”.
Le autorità politiche e religiose del Canada – aveva detto Papa Francesco all’Angelus del 6 giugno dopo la “scioccante notizia”- continuino a collaborare con determinazione per fare luce sulla triste vicenda e impegnarsi umilmente in un cammino di riconciliazione e di guarigione.” Nelle sue parole anche il forte richiamo per tutti ad allontanarsi “dal modello colonizzatore e camminare fianco a fianco, nel dialogo, nel rispetto reciproco e nel riconoscimento dei diritti e dei valori culturali di tutte le figlie e i figli del Canada”.
Si parla di più di 150.000 giovanissimi, perlopiù Inuit o Metis, separati dalle famiglie dalla politica governativa di assimilazione e trasferiti negli istituti gestiti da religiosi, mal finanziati e dalle pessime condizioni igieniche. Nel 2015, dopo sette anni di ricerche, la Commissione per la verità e la riconciliazione del Canada aveva reso noto un rapporto sulle scuole residenziali da cui emergevano nel dettaglio il maltrattamento e le cattive condizioni dei nativi nelle scuole residenziali, dove nell’arco di un secolo, tra il 1890 e il 1996, dai 3000 ai 4000 bambini hanno trovato la morte a causa di malattie, fame, freddo e altri motivi da definire.