Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Il cibo è uno strumento di pace: come World Food Programme facciamo mangiare a scuola 17 milioni di bambini, diamo lavoro ai contadini in modo che costruiscano i canali per irrigare i loro campi e le strade per raggiungere il mercato e vendere i loro prodotti. Tutto questo crea percorsi di pace”. Così il videdirettore esecutivo del Wfp-Pam (Programma alimentare mondiale) Manoj Juneja, ricorda perché il Premio Nobel 2020 è andato all’agenzia della Nazioni Unite, che è “la più grande organizzazione umanitaria al mondo”, e sfama più di 100 milioni di persone ogni anno.
Costruire percorsi di pace per chi esce dai conflitti
Nella Giornata mondiale della pace riviviamo con Juneja, 60 anni, di origini indiane e studi a Londra, vicedirettore e responsabile finanziario del Wfp dal 2013, il momento della consegna del Premio Nobel, il 10 dicembre a Roma, e non ad Oslo, come da tradizione, a causa della pandemia. Salutando l’ambito riconoscimento, l’agenzia dell’Onu scriveva che il proprio obiettivo è “costruire un percorso di pace, stabilità e prosperità per quanti si stanno riprendendo da conflitti” e attenuare tensioni, anche interne, che potrebbero trasformarsi in guerre.
Spezzare il circolo vizioso guerra=fame e fame=guerra
Perché il circolo vizioso da spezzare, ricordato dal comitato per il Nobel nelle motivazioni del Premio al Wfp-Pam, è che le guerre possono causare la fame, ma anche “l’insicurezza alimentare può infiammare conflitti latenti”. Per questo, ci dice Juneja, la prima cosa da fare “è fermare le guerre”, in modo che chi vive nei campi possa coltivare il cibo per sfamarsi e l’economia non si blocchi. Per questo il 60 per cento del 690 milioni di persone che oggi soffrono la fame, vive in zone di conflitto.
Fermare le armi e finanziare i programmi di aiuto
E poi bisogna continuare a finanziare i programmi umanitari e di assistenza, che favoriscono stabilità e pace. Il Wfp chiede per il 2021 3,7 miliardi di euro per l’emergenza, per evitare il peggio a milioni di persone, e in totale 12 miliardi, per portare avanti programmi di aiuto in 80 Paesi. “Il Nobel è un’invito all’azione – ci dice – se non agiremo, alla pandemia sanitaria seguirà la pandemia della fame”. La fame acuta colpisce oggi 270 milioni di persone, raddoppiate per le conseguenze del Covid-19, e Paesi come Yemen, Sud Sudan, Nigeria, Burkina Faso, Siria e Repubblica Democratica del Congo non hanno gli stimuli fiscali e gli aiuti di quelli occidentali.
Con il Papa per usare i soldi delle armi contro la fame
Per questo il Wfp-Pam è con Papa Francesco quando dice che “nessuno deve essere lasciato indietro” e chiede di combattere spechi e ineguaglianze, creando un Fondo mondiale per eliminare la fame con i soldi impiegati per le armi. “Una piccola percentuale di spese” come quelle militari, utilizzate “per ridurre la sofferenza dei più vulnerabili” concorda il vicedirettore Juneja “potrebbe portarci all’obiettivo ‘Fame zero’” (fissato dall’Onu per il 2030, n.d.r.).
Juneja: diamo aiuto a più di 100 milioni di persone ogni anno
Ecco come il videdirettore esecutivo e responsabile finanziario del World Food Programme – Programma Alimentare Mondiale, Manoj Juneja, parla a Vatican News del Premio Nobel per la pace e delle emergenze umanitarie di questo 2021 che si apre ancora in piena pandemia.
R. – Il World Food Programme è la più grande organizzazione umanitaria al mondo. Ogni anno forniamo assistenza alimentare a oltre 100 milioni di persone e promuoviamo anche un futuro sostenibile per i Paesi. Dove ci sono conflitti c’è fame: la guerra può eliminare i mezzi per la produzione agricola o i mezzi economici per comprare il cibo. I conflitti costringono le persone a lasciare il loro lavoro, il loro terreno e i loro mezzi di sostentamento. La migrazione poi può creare tensioni nelle comunità, per esempio nella competizione per l’acqua tra contadini e pastori, e la disperazione può essere sfruttata da gruppi armati. Inoltre il cibo è uno strumento di pace: il Wfp, per esempio, fornisce pasti a scuola a 17 milioni di bambini, da’ lavoro ai contadini per la costruzione di canali di irrigazione, che poi migliorano anche la loro produzione agricola. o per realizzare strade che aiutano i piccoli agricoltori a raggiungere i mercati. Tutte queste attività creano un percorso di pace.
Il direttore Beasley, nel ricevere il premio, il 10 dicembre, sottolineava l’assurdità di certe cifre: nel mondo ci sono 400 mila miliardi di dollari di ricchezza, e ne basterebbero 5 per salvare 30 milioni di vite dalla fame. Condividete la proposta fatta da Papa Francesco nell’ultima Giornata mondiale dell’alimentazione: “Costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi un ‘Fondo mondiale’ per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri”?
R. – Siamo d’accordo con Papa Francesco che eliminare la fame e aiutare i Paesi più poveri a svilupparsi sono obiettivi fondamentali a cui tutta l’umanità deve contribuire. Proprio come il Santo Padre anche il WFP ha a cuore il prossimo, i più vulnerabili, perchè crediamo che nessuno debba essere lasciato indietro. Infatti sulla medaglia del Nobel c’è inciso “pace e fratellanza”, ed è questo quello che ci ispira e ci guida nel nostro lavoro. Sia il Papa che noi del Wfp parliamo spesso di sprechi e ineguaglianze, e mettiamo a confronto gli investimenti necessari per eliminare la fame e la povertà con altre spese. Questi confronti ci ricordano che ridurre la sofferenza dei più vulnerabili è fattibile: una piccola percentuale di queste spese potrebbe portarci all’obiettivo “Fame zero”. Prendiamo per esempio anche la concentrazione della ricchezza: abbiamo circa 2200 miliardari nel mondo, che hanno un patrimonio di oltre 8 mila miliardi di euro. E ci basterebbero 5 miliardi per salvare 30 milioni di vite dalla fame.
ll Nobel vi è stato assegnato in un momento, scrivete nei vostri comunicati, in cui la carestia minaccia di nuovo milioni di persone, specialmente in quattro Paesi colpiti da confitti – Yemen, Sud Sudan, nord-est della Nigeria e Burkina Faso – in una allarmante convergenza di conflitto, fame e pandemia di Covid-19. Sono queste le emergenze che vi attendono anche nel 2021 o potrebbero arrivarne altre?
R, – Il 2021 sarà un anno decisive, e il Premio Nobel è un invito all’azione: se non agiremo, alla pandemia sanitaria seguirà una pandemia della fame. Abbiamo visto l’impatto della pandemia nei Paesi occidentali, e tutto ciò malgrado gli stimoli fiscali di oltre 15 mila miliardi di euro. Ma pensiamo ai Paesi che non hanno questi mezzi finanziari, che non hanno reti di protezione sociale, e che oltre che dal Covid-19 sono colpiti da conflitti o dai cambiamenti climatici. Nel 2021 dobbiamo evitare la carestia nei quattro Paesi che lei ha citato, ma 270 milioni di persone soffrono di fame acuta: un numero che è raddoppiato durante la pandemia. La lista delle nostre emergenze è dunque molto più lunga. Il Wfp ha programmi in oltre 80 paesi e tutti hanno bisogno di assistenza alimentare. Per esempio, la Repubblica Democratica del Congo, che ha 22 milioni di malnutriti acuti, o la Siria, che è al decimo anno di crisi e dove un terzo della popolazione è sfollata.
Come spezzare il circolo vizioso descritto nelle motivazioni del premio dal comitato per il Nobel, per il quale “guerre e conflitti possono causare insicurezza alimentare e fame, così come fame e insicurezza alimentare possono infiammare conflitti latenti e scatenare violenze?”
R. – La prima cosa è fermare le guerre. Infatti il 60 per cento dei 690 milioni di persone che soffrono di fame vive in mezzo ai conflitti: dobbiamo fermare i combattimenti in modo che le persone possano coltivare cibo, sostenersi a vicenda, costruire vite e mezzi di sussistenza. Tutto questo richiede molta volontà politica da parte di coloro che sono coinvolti nel conflitto. La seconda cosa è finanziare i programmi umanitari e di assistenza che possono diventare trampolino di lancio verso la sicurezza alimentare, la stabilità e la pace duratura. Al World Food Programme servono finanziamenti urgenti e tutte le nostre contribuzioni, sono contribuzioni volontarie, da governi e individui. Il 2021 ci dirà se il nostro appello per un totale di circa 12 miliardi di euro sarà stato ascoltato. Il cibo è pace e non possiamo abbandonare le persone più vulnerabili adesso.