A Castiglione Cinema 2021 la forza della comunità, sullo schermo e nel piccolo borgo

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Castiglione del Lago (Perugia)

Comunità è quella del piccolo borgo di Castiglione del Lago, sul promontorio che si incunea nel Trasimeno e che una volta era un’isola, che si è ritrovata riaffacciandosi al quotidiano, dopo i mesi più duri della pandemia, intorno al grande schermo della Rocca del Leone e al palco nel salotto di piazza Mazzini. Grazie alla Fondazione Ente dello Spettacolo (Feds), una realtà della Chiesa italiana, che, ricorda il presidente monsignor Davide Milani, ha come missione “il ricomporre le comunità attraverso il linguaggio del cinema, della cultura”.

Milani: mostriamo la via della bellezza che passa per il cinema

I tre giorni nel cuore dell’Umbria, per la quarta edizione di Castiglione Cinema, festival in mezzo alla gente fatti di proiezioni gratuite e incontri con i protagonisti del cinema, della tv e dei media, sottolinea don Milani, “ci hanno permesso di essere Chiesa tramite la cultura, di incontrare le persone e di mostrare quella via alla bellezza che l’antropologia cristiana descrive, la Via Christi, la via alla verità, partendo dalla realtà, dalle condizioni in cui la gente vive”. Non è stato facile organizzare il secondo festival in tempo di pandemia, ma “abbiamo trovato un territorio pronto a scommettere sulla comunità”.

Bruno, un uomo immaturo salvato da quattro donne forti

E comunità è anche quella, piccola e molto speciale, che si raccoglie attorno al letto d’ospedale di Bruno Salvati, il protagonista di “Cosa sarà”, l’ultimo film di Francesco Bruni che ha dato il titolo a Castiglione Cinema 2021. Una storia autobiografica (facile rileggere il nome del regista senza successo interpretato da Kim Rossi Stuart in “Bruni salvato”) scritta da un regista, grande sceneggiatore per 20 anni, al suo quarto film dietro la macchina da presa, proiettata venerdì sera nell’anfiteatro naturale della Rocca del Leone.

“Cosa sarà”: malattia e rinascita molto autobiografiche

Prima della visione, com’è nello stile di questo festival, nato nel 2018 per celebrare i 90 anni della “Rivista del Cinematografo”, il decano dei magazine italiani di Cinema e realizzato dalla Feds, il regista livornese si è raccontato al pubblico dialogando con il critico della rivista Valerio Sammarco. Ricordato che il film che doveva uscire nelle sale a marzo 2020, ma è stato bloccato dal primo lockdown, e rimandato ad ottobre 2020 è rimasto in sala solo un giorno e per una proiezione, prima del secondo stop ai cinema per arginare i nuovi contagi, Bruni ha spiegato come tutto sia nato dalla forma di leucemia che lo ha colpito più di tre anni fa, curata grazie al trapianto di cellule staminali del fratello Alex. “Oggi sono di nuovo qui con voi con i capelli in testa – ha ironizzato – e ho pensato che fosse una storia da raccontare, con una valenza positiva. Volevo allontanarmi da me stesso per avere un racconto proponibile”.

L’ omaggio all’amico Mattia Torre: “Lui non ce l’ha fatta”

Il regista ha raccontato di essersi ispirato anche alla serie tv ‘La Linea verticale’, con Valerio Mastandrea, dell’amico sceneggiatore Mattia Torre, al quale il film è dedicato, che racconta la sua esperienza con il tumore. “Mattia è un maestro di umorismo straordinario – ha spiegato commosso – grazie a lui ho sentito che questa esperienza si poteva raccontare con leggerezza, che è la vera parola chiave del film. Però lui purtroppo non ce l’ha fatta”. “Ho avuto dei maestri che hanno fatto del raccontare il dramma con umorismo un arte – ha proseguito – Il film è un costante contrappunto umoristico e comico calato da momenti drammatici”.

La fragilità maschile scossa dalla forza delle donne

E’ un film, ha sottolineato Bruni, “che racconta la fragilità maschile, la nostra debolezza. Il protagonista è pieno di difetti, non è certo un eroe, e la malattia glieli mette tutti davanti”. La comunità che lo circonda e lo sostiene nella sua immaturità è fatta da quattro donne, “che sembrerebbero solo comprimarie”, come l’ex moglie Anna, la figlia Adele, la dottoressa Bonetti che lo cura e la sorella ritrovata Fiorella, che accetta di donare il midollo per salvarlo dalla leucemia. “C’è un bilanciamento nel film, il protagonista è maschile ma le quattro donne intorno a lui gli sono superiori”. Donne forti perché pazienti, ironiche, generose e soprattutto responsabili.  

Il libro “La vita viene prima” sul cinema di Bruni

“Ho messo al centro quella che nell’opinione comune è una figura di successo, come il regista – ha raccontato ancora Bruni – ma Bruno è il campione dei colleghi che fanno fatica ad affermarsi perché non scendono a compromessi. In lui ho voluto rendere omaggio a tutti i colleghi che fanno fatica. Anche per me è stato difficile, dopo vent’anni passati a scrivere per altri, passare dietro la macchina da presa. Il primo giorno ero terrorizzato”. Nell’occasione è stato anche presentato il libro “La vita viene prima. Il cinema di Francesco Bruni” di Claudia Munarin, edito dalla Feds titolo che rievoca “il consiglio del mio professore di sceneggiatura: Il cinema viene dopo, prima vivete. Perché l’ispirazione non si sa da dove viene e non la si può riprodurre a tavolino, ma il metodo per trovarla è stare in ascolto, stare dentro il mondo”.

La motivazione del Premio Castiglione Cinema 2021

Al termine la vicesindaca di Castiglione del Lago Andrea Sacco ha consegnato al regista di “Scialla” e prima sceneggiatore di molti Montalbano in tv, il Premio Castiglione Cinema 2021 – RdC incontra”, sottolineando, nelle motivazioni “l’affetto di Bruni verso i suoi personaggi”. Il regista “vuole bene ai protagonisti di quella grande commedia umana che da oltre trent’anni racconta allegrie e dolori del nostro Paese. La provincia e la città, il romanzo di formazione dei ragazzi e quello degli adulti, il lessico familiare e le avventure della crescita, l’amore e la malattia: con uno sguardo di compassione verso la fragilità, Francesco Bruni ha ereditato e aggiornato un’idea di cinema tutta italiana”.

Bruni: la malattia insegna ad alzare gli occhi da se stessi

Ecco Francesco Bruni nell’intervista a Vatican News, nella quale parla della sua malattia e del suo rapporto con questo film e col pubblico che apprezza i suoi lavori:

“Cosa sarà” è un film autobiografico. Cosa ti ha insegnato la malattia?

La malattia mi ha insegnato quello che insegna al protagonista del film: ad alzare gli occhi da sè stessi e dalle proprie piccole, anche meschine, frustrazioni e insoddisfazioni e rendersi conto che c’è un mondo di persone intorno a te, che ti possono soccorrere con amore, competenza, pazienza, senso dell’umorismo. Quindi fondamentalmente uno sguardo altruista.

E’ vero secondo te che la malattia ci rende più empatici, più attenti, più coinvolti anche nelle sofferenze degli altri?

Assolutamente. Io, dopo questa esperienza, ho un occhio di riguardo per le persone che hanno qualsiasi problema di salute Me le sento in qualche modo affini. Quindi è stata un’esperienza molto formativa, devo dire.

Tu nel film, anche attraverso il protagonista, ringrazi anche la classe dei medici. Quindi che lavoro è quello del medico che vocazione bisogna avere per farlo bene?

E’ assolutamente un lavoro di grandissimo rilievo: io sono molto contrario alla retorica del guerriero che combatte contro la malattia. Non è proprio così. A parte il fatto che credo che tutti quanti vogliano vivere, nessuno si lascia andare alla malattia. L’importante è avere intorno delle persone competenti, pazienti, capaci di comunicarti quello che devi sapere, e di non comunicarti quello che non devi sapere. E io ho trovato in questo senso sia nel personale medico, che nel personale infermieristico delle persone straordinarie. Voglio dirlo: è il Gemelli di Roma e il professor Bacigalupo e la sua equipe.

Tu per vent’anni hai solo scritto per il cinema, prima di fare il regista, però hai sempre cercato di fare del cinema un luogo di dialogo e scambio. Uno spazio di incontro col pubblico che diventa anche con te stesso, che ti aiuta a riflettere anche su te stesso?

Sì, ho intrapreso questo percorso che parte quasi sempre dall’autobiografia per trasformarla in qualche modo in forma romanzesca. Anche questo film non è del tutto autobiografico. “Scialla” lo è stato, “Tutto quello che vuoi” anche, perché riguardava la malattia di mio padre. Quindi questa, bene o male, è la mia è la mia forma di lavoro. Certo, spero di non dover raccontare altri eventi drammatici come questo, però credo che comunque continuerò a farmi ispirare da quello che mi vedo intorno.

Tu hai scritto anche commedie più leggere, quindi anche in queste ti sei ispirato a fatti della tua vita?

Ho sempre cercato di mischiare le due cose, dramma e umorismo, come lo chiamo, più che comicità. Anche in questo film si ride parecchio,  inaspettatamente. Le due cose secondo me si alimentano e si nobilitano a vicenda: ho sempre lavorato in questa maniera e continuerò a lavorare in questa maniera. Anche se non è commercialmente quello che l’industria richiede, perché di solito quando si parla di commedia ci i riferisce a film spensierati. I miei non lo sono, o non sono mai del tutto, però io sono orgoglioso di lavorare in questa maniera.

Anche questa formula che ha inaugurato qui a Castiglione 4 anni fa la Fondazione Ente dello Spettacolo di portare i protagonisti del cinema al confronto col pubblico e mi dicevano di aver notato in molti ospiti che oltre a essere un momento di dialogo con gli altri diventa quasi una seduta di autocoscienza in pubblico…

A maggior ragione dopo un periodo che ci ha visto tutti quanti isolati e chiusi in casa, e personalmente dopo un film che ha faticato a trovare il pubblico, vero, fisico, per me tutte queste occasioni sono preziose, perché questo è un film, come tutti i miei, che ha bisogno della presenza del pubblico in sala, che perde molto nella visione casalinga, perché è un film emotivo e umoristico, come dicevo. Quindi è un’occasione importante come tante altre, che sto cercando di usare in questo periodo, per ridare vita un film che ha faticato a trovare il pubblico fisico.

Perché dopo un giorno in sala è arrivato il secondo lockdown…

E’ stato un giorno e una proiezione in sala adesso ci torna, come nelle arene estive e nei festival e io dove posso lo accompagno.

In piazza Mazzini, il piccolo show di Izzo-Tognazzi

Lo stesso venerdì, dopo il “per sempre” di Nino e Caterina, i commuoventi protagonisti dell’ultimo film di Pupi Avati, “Lei mi parla ancora” che ha aperto il festival la sera prima a Perugia, ha strappato sorrisi e applausi in Piazza Mazzini, nel cuore di Castiglione del Lago, la coppia nella vita e nel lavoro formata da Simona Izzo e Ricky Tognazzi.

“Stasera si recita in famiglia”, con la commedia di Simona

Insieme, pungolati dalle domande di Paolo Baldini, critico cinematografico del Corriere della Sera, hanno danno vita ad una godibilissima seduta di autocoscienza familiare, davanti al pubblico divertito. Compagni in casa e nel cinema da più di 35 anni, si sono confrontati sui loro ruoli partendo dall’ultima commedia scritta da Simona, una delle figlie di Renato, maestro del doppiaggio, e affermata sceneggiatrice, dal titolo “Figli, mariti, amanti. Il maschio superfluo”. Hanno scherzato sul disordine che lei tiene in casa, che “crea dialogo” secondo la Izzo, convinta però che le donne abbiamo bisogno di avere un uomo accanto, “che porta le valigie e fa i lavori pesanti” ha ribattuto Ricky. Alla fine però Simona si è lanciata in una dichiarazione d’amore, perché “le persone fortunate amano il marito o la moglie come la prima volta”.

Ricky Tognazzi: presto un film su mio padre Ugo

Ricky ha confermato che sta per iniziare un film dedicato al padre Ugo Tognazzi, eclettico attore e regista scomparso da più di 30 anni, nemmeno 70 enne, protagonista di film cult della commedia all’italiana come “Amici miei”. “Comincio lunedì incontrando gli amici con cui ha lavorato – ha raccontato Tognazzi, regista e attore sulle orme del padre – e partendo proprio da Pupi Avati. Papà è stato l’artefice del primo film importante di Pupi e lui ha chiamato mio padre per ‘Ultimo minuto’, profetico titolo per l’ultimo film nel quale ha recitato prima di morire”. Ugo Tognazzi viene a mancare durante la post-produzione di “Ultrà”, il film sul tifo calcistico di Ricky, che lo dedica al “padre, maestro e amico”. “Era una persona estremamente generosa emotivamente parlando – ha ricordato commosso – Si regalava a quelli che aveva di fronte”.

“Proseguiamo il lavoro delle botteghe delle nostre famiglie”

“Ugo era come un sarto che portava la sua stoffa a casa e la tagliava e rifiniva assieme ai figli – gli ha fatto eco la Izzo – Entrambi abbiamo avuto una formazione in famiglia fatta di pane e teatro e pane e cinema. Una formazione importantissima come quella di chi ha bottega. Non è un caso che la bottega degli artisti si chiami così perché è un lavoro che si tramanda”. Anche quello che scrive Simona “resta in famiglia”: “La scrittura è la mia gioia – ha confidato – ma poi il film lo devono fare o Ricky o mia sorella Rossella”.

Un legame prezioso, in un mondo di rapporti fragili

Nella motivazione del premio Castiglione Cinema 2021 – RdC incontra, consegnato alla coppia dalla vicesindaca di Castiglione del Lago Andrea Sacco, si ricorda una frase della protagonista di uno dei loro film più emozionanti, “Canone inverso”: “Non si può che seguire una persona che si accorda con il tuo cuore”. Una frase che esprime bene il legame tra i due, “così unico e prezioso in un mondo, come quello dello spettacolo, in cui i rapporti tra le persone si rivelano spesso fragili o precari”. Con sensibilità ed eclettismo, “Simona Izzo e Ricky Tognazzi hanno esplorato con testi profondamente diversi tra loro: storie di impegno civile e commedie familiari, emozionanti biografie e melodrammi popolari. Senza dimenticare quello che forse è il loro film più bello: ‘La costruzione di un amore’”.