Michele Raviart – Città del Vaticano
Nel rivolgere la propria preghiera all’Africa, durante la benedizione Urbi et Orbi di Natale, Papa Francesco ha ricordato la sofferenza delle popolazioni del Sahel, “colpite da una grave crisi umanitaria, alla cui base vi sono estremismi e conflitti e armati, ma anche la pandemia e altri disastri naturali”, le violenze in Etiopia e in Mozambico, gli sforzi di riconciliazione in Sud Sudan, in Nigeria e in Camerun. Un anno, il 2020, in cui accanto a queste situazioni particolarmente critiche è stato possibile registrare anche qualche segnale di speranza per il futuro. “Nonostante alcuni problemi”, spiega l’africanista Enrico Casale, “l’Africa è un continente che ha registrato alcuni elementi positivi sia dal punto di vista politico, con delle chiare aperture al sistema democratico sia del punto di vista sociale e sanitario. L’Africa è il continente che attualmente è stato meno colpito dalla pandemia di Covid-19”.
Democrazia e alternanza
Quest’anno si è votato per le presidenziali in Burundi e in Ghana e tensioni si sono registrate in modo particolare in Guinea e in Costa d’Avorio, dove il presidente in carica avevano modificato le costituzioni in vigore per potersi presentare per un terzo mandato. Tuttavia in generale, spiega ancora Casale “il quadro è positivo, nel senso che l’Africa è un continente che viaggia verso la democrazia, a dispetto di quanto si dice comunemente”. “La democrazia non è solo elezioni”, ribadisce, “ma è soprattutto alternanza. Ci sono stati esempi come quello del Malawi – Paese dell’anno secondo l’Economist – nel quale la vittoria del presidente è stata contestata dalle opposizioni, la Corte suprema ha annullato le elezioni, si è ritornati a votare e ha vinto l’opposizione. Questo è un chiaro elemento di democratizzazione del Paese in particolare e del continente in generale”.
La minaccia jihadista e conflitti
Sul piano della sicurezza e della pace, invece, in alcune zone “è stato fatto un piccolo passo indietro”. L’area più instabile è quella della fascia subsahariana del Sahel, e in particolare quella di Paesi come il Burkina Faso, il Mali e il Niger. ”Il Sahel”, spiega ancora Casale, “è una regione nella quale difficilmente si risolverà la crisi che si è aperta da alcuni anni e che vede contrapposti questi Paesi, che sono fragili sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista economico, a più milizie di carattere jihadista che minacciano la stabilità dell’intera regione”. I jihadisti di Boko Haram continuano ad imperversare nel nord della Nigeria e nel Camerun, mentre un altro gruppo ispirato al sedicente Stato Islamico ha occupato la provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico. Crisi che colpiscono le popolazioni e generano migrazioni interne – in Mozambico gli sfollati sono circa 500 mila – e pressioni verso l’esterno, come nel caso del conflitto del Tigray in Etiopia, l’ultimo in ordine di tempo quest’anno.
La risposta al Covid-19
Con la parziale eccezione del Sudafrica, che con 27 mila decessi è il paese africano più colpito dal Covid-19, il resto del continente è stato il meno colpito dal coronavirus. “Anche se adesso ci sono un milione di contagi complessivi, il numero di morti è inferiore a quello della sola Italia”, conclude Casale. In generale “la risposta è stata positiva, nel senso che oltre al lockdown che ha danneggiato molto alcune economie, soprattutto quelle più fragili c’è stata una risposta decisa da parte delle ong e da parte delle strutture che sono già nel territorio, Non possiamo pensare ad una rete sanitaria diffusa come in Europa o in Nord america ma di certo c’è stata una reazione. Questo, anche a causa dell’età media estremamente bassa della popolazione e che quindi è meno soggetta alle conseguenze più gravi della malattia,”ha permesso di contenere almeno al momento la diffusione della pandemia”.