Isabella Piro – Città del Vaticano
Non “un mero processo decisionale”, bensì “un tratto fondamentale dell’identità ecclesiale”: questa è la sinodalità, definita dal cardinale Michael Czerny, Sottosegretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, in un articolo pubblicato oggi, 31 dicembre, sulla rivista “La Civiltà Cattolica”. La sinodalità, scrive il porporato, è il modo con cui “la Chiesa dispone alla corresponsabilità tutti i suoi membri, ne valorizza i carismi e i ministeri, ne intensifica i legami di amore fraterno”. In questo senso, essa trova il suo presupposto nella “Lumen Gentium”: in questa Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, infatti, “viene ricompresa l’importanza dei laici nella vita della Chiesa”, poiché essi vengono chiamati a partecipare al suo governo “secondo i compiti, i ruoli e i modi loro propri”. Ma non solo: mentre la collegialità rimanda, nello specifico, “all’esercizio del ministero dei vescovi”, la sinodalità – sottolinea il cardinale Czerny – è un concetto “più ampio”, in quanto “implica la partecipazione e il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa”. Questo è il senso che Papa Francesco dà alla parola “sinodo”, ovvero non solo quello di “struttura ecclesiale”, ma anche di “forma visibile della comunione”, di “cammino della fraternità ecclesiale a cui tutti i battezzati partecipano e contribuiscono personalmente”.
“La sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del Terzo millennio” scrive ancora il porporato citando Francesco, una Chiesa che, “come una piramide rovesciata”, “armonizza tutti i soggetti in essa coinvolti: popolo di Dio, Collegio episcopale, Successore di Pietro”. Una chiara esplicitazione di questo concetto – ricorda il Sottosegretario vaticano – si trova nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, in cui la sinodalità è definita come “un presupposto indispensabile per dare alla Chiesa un rinnovato slancio missionario”. Dai laici, in particolare, la Chiesa “ha molto da imparare”, ad esempio negli ambiti della “pietà popolare, dell’impegno nella pastorale ordinaria, nelle competenze culturali e nella convivenza sociale”. Tanto che – come disse San John Henry Newman – “la Chiesa sembrerebbe sciocca senza di loro”. Certo, gli ostacoli non mancano, afferma il cardinale Czerny, evidenziando la mancanza di una formazione adeguata e la mentalità clericale che relega i fedeli laici “in un ruolo subalterno”.
Tuttavia, sono ostacoli che bisogna superare, perché “la corresponsabilità dell’intero popolo di Dio alla missione della Chiesa” richiede una partecipazione più attiva del laicato. In tal senso, il porporato inquadra anche la Costituzione apostolica “Episcopalis Communio”, promulgata da Papa Francesco nel 2018: un documento che “segna un progresso rispetto al Concilio Vaticano II” perché “traduce in prassi ecclesiale le argomentazioni teoriche”. Centrale diventa l’ascolto: del popolo di Dio, dei pastori e del vescovo di Roma. Solo così la prassi sinodale può avere inizio e solo così “la collegialità è al servizio della sinodalità”.
Altro strumento essenziale per l’attuazione della sinodalità – afferma ancora il cardinale Czerny – è “l’opzione preferenziale per i poveri” che è “una preferenza non di carattere sociologico, bensì propriamente teologico in quanto riconduce all’agire salvifico di Dio”. Lontana da ogni espressione di “ingenuo buonismo”, tale opzione “va riconosciuta come parte integrante dei Vangeli e del processo di trasformazione avviata dal Concilio”: all’epoca, infatti, si sostenne che la Chiesa dovesse passare da “una prassi caritativa di tipo assistenzialista”, in cui il povero è un mero “oggetto” di cure, al suo “riconoscimento quale membro del popolo di Dio e soggetto della propria liberazione”. Allora come ora: non a caso, Papa Francesco ha richiamato più volte all’integrazione “fattiva e concreta” di poveri, migranti, rifugiati e sfollati interni, esortando a non “calare dall’alto programmi assistenziali”, bensì a riconoscere tali persone come “agenti attivi di evangelizzazione”. “L’incontro con il povero – sottolinea il Sottosegretario vaticano – è un’occasione favorevole per lasciarsi evangelizzare da Cristo”.
Di qui scaturisce anche la salvaguardia del Creato, “nostra casa comune”: cura dell’ambiente e attenzione ai poveri sono strettamente connessi, ricorda il cardinale Czerny, anzi “Tutto è connesso”, come afferma la seconda Enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’ sulla cura della casa comune”. Ma come fare perché la sinodalità cresca nella Chiesa? Il porporato suggerisce di “avviare processi di conversione”, puntando alla “comunione inclusiva”, quella che coinvolge tutte le componenti del popolo di Dio, soprattutto i poveri. Senza “l’accoglienza reciproca”, infatti, le strutture ecclesiali, strumenti della comunione, “potrebbero rivelarsi insufficienti per raggiungere il fine per cui sono state create”.
L’ultima parte dell’articolo di padre Czerny si sofferma sul modus operandi di Papa Francesco: il Pontefice “non ha idee preconfezionate da applicare al reale, né un piano ideologico di riforme prêt-à-porter”, tantomeno “strategie pensate a tavolino” per “ottenere risultati statistici migliori”. Piuttosto, il Papa avanza “sulla base di un’esperienza spirituale e di preghiera”, che condivide “nel dialogo, nella consultazione, nella risposta concreta alle situazioni di vulnerabilità, sofferenza e ingiustizia”. Da ciò ne consegue che “l’impegno prioritario e il criterio di ogni azione sociale del popolo di Dio è l’ascolto del grido dei poveri e della terra e il richiamo ai principî fondamentali della dottrina sociale della Chiesa”, tra cui “l’inalienabile dignità umana, la destinazione universale dei beni, il primato della solidarietà, il dialogo volto alla pace e la cura della casa comune”.