di Charles de Pechpeyrou
«Sin dall’inizio la nostra intenzione non era quella di esaminare, in un determinato arco di tempo, alcune questioni di teologia, di esegesi o di storia. Al contrario, il nostro obiettivo era quello di organizzare incontri faccia a faccia come uomini di buona volontà e credenti sinceri, preoccupati dalla crescente indifferenza verso la religione e dalla concezione materialistica della vita che ne deriva. Ci siamo messi all’opera senza sapere né quando né come si sarebbe potuta realizzare questa unione auspicata da Cristo, ma convinti che fosse possibile poiché Lui l’ha voluta, e che dovevamo, quindi, ciascuno di noi, portare il nostro contributo alla sua realizzazione». Così scriveva nell’ottobre 1925, quattro mesi prima della sua morte, l’allora arcivescovo di Malines, il cardinale Désiré-Joseph Mercier, nell’ultima lettera indirizzata all’arcivescovo di Canterbury, Randall Davidson, riassumendo con poche parole lo spirito che aveva guidato i protagonisti delle prime quattro «Conversazioni di Malines», una serie di incontri informali che si svolsero nella città belga nel 1921, nel 1923, nel 1925 e nel 1926. Iniziative ecumeniche nate dalla volontà, da un lato, del cardinale Mercier e del lazzarista francese Fernand Portal, e dall’altro, dell’arcivescovo di York, William Cosmo Gordon Lang, e di lord Halifax, nota figura del movimento anglo-cattolico, nell’intento di riavvicinare le due confessioni cristiane, il cui centenario verrà celebrato ufficialmente a dicembre a Malines. Nel pomeriggio di venerdì 11, a Roma, si terrà un convegno organizzato congiuntamente dalle ambasciate britannica e belga presso la Santa Sede, al fine di analizzare qual è stato l’impatto di quelle conversazioni sul cammino ecumenico, con la partecipazione del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, del cardinale Joseph De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles, di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury dal 2003 al 2013, nonché di altri rappresentanti cattolici e anglicani del mondo intero. Nel corso del convegno, moderato dall’ambasciatrice Sally Axworthy e dall’ambasciatore Patrick Renault, saranno approfondite tre tematiche. Si tratterà innanzitutto di analizzare come si può riscoprire oggi “lo spirito di Malines”. Un’altra sessione sarà dedicata al futuro delle relazioni tra anglicani e cattolici: i partecipanti si concentreranno in particolare sul ruolo delle istituzioni. Infine, l’incontro permetterà di studiare come l’ecumenismo viene percepito dai non addetti ai lavori e in alcune aree del pianeta, come l’Africa.
Le conversazioni di Malines vanno collocate in un duplice contesto, ha spiegato Renault durante un incontro con la stampa. Dal punto di vista storico, siamo all’indomani della Grande Guerra: «Il cardinale Mercier, personaggio centrale di questi incontri, è un vero eroe della resistenza contro l’occupazione tedesca in Belgio ed è anche molto apprezzato dai britannici, che del resto migliorano la loro conoscenza della cultura del piccolo Regno grazie alla presenza dei rifugiati belgi in Inghilterra».
Dal punto di vista religioso, ha proseguito il diplomatico, le conversazioni iniziano soltanto un anno dopo la sesta Conferenza di Lambeth organizzata dalla Comunione anglicana sotto la guida di Davidson, durante la quale viene lanciato un appello a tutto il mondo cristiano perché siano superate le divisioni. Prima ancora vi erano stati contatti tra cattolici e anglicani, «ma niente di così strutturato quanto le conversazioni di Malines», ha sottolineato Renault.
Dopo la scomparsa di Mercier lo slancio ecumenico delle “conversazioni” si affievolisce poco a poco, anche se un’ultima sessione viene organizzata nel 1926, sempre nell’arcivescovado di Malines, dal suo successore Jozef-Ernest Van Roey. Per lord Halifax, tuttavia, si è compiuto un passo in avanti definitivo. Afferma così in una nota del 1928: «Nessuno partecipante a queste conferenze può esimersi dal rendersi conto di quanto profondamente abbiano influito sui rapporti finora esistenti tra i membri della Chiesa d’Inghilterra e la Santa Sede. Mai più rappresentanti di entrambe le parti potranno affrontare il tema della riunione con lo spirito di distacco freddo e critico che prevaleva prima che si svolgessero le conversazioni».