di Andrea Monda
In questi giorni stiamo celebrando i 160 anni de «L’Osservatore Romano» e, riprendendo in mano questa lunga storia, è tornata alla nostra attenzione il dettaglio relativo al fatto che inizialmente il nome del quotidiano doveva essere un altro: L’amico della verità. Questo nome, poi scartato, è pur sempre valido e oggi viene in mente rispetto alle notizie che arrivano dalla Chiesa in Germania.
A tal proposito pubblichiamo la lettera del cardinale Juliàn Herranz che riflette sulla situazione attuale della Chiesa che è scossa, non solo in Germania, dalle vicende legate agli abusi commessi da alcuni dei suoi membri. Vorremo farlo anche noi, con calma ma anche con passione, appunto con amore per la verità, riprendendo l’immagine usata dal cardinale spagnolo che ha ricordato che la Chiesa è innanzitutto «Corpo di Cristo (1 Cor 12, 27)», un corpo «ridotto dai peccati dei suoi membri, dai nostri peccati, come un nuovo “Ecce Homo” dinanzi al mondo». Il volto della Chiesa può diventare quello dell’Ecce Homo, proprio perché composta da uomini, accade quindi a volte che i cristiani smettano di essere luce del mondo per entrare nel cono d’ombra del peccato, ma anche per questi casi vale l’esortazione del Discorso della Montagna: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16). Non solo la luce ma anche l’ombra deve essere mostrata agli occhi del mondo. Lo ha detto ai giovani Papa Francesco durante il Sinodo a loro dedicato, come ricorda il cardinale Herranz nella lettera «la Chiesa “non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri, che talvolta alcuni di loro cercano di nascondere”» (Esortazione apostolica, Christus vivit, n. 101).
Ci vuole molto coraggio per questo. E molta fede. Quella grande rete che è la Chiesa, può essere soggetta a strappi e lacerazioni, come ha ricordato Papa Benedetto xvi durante la sua prima omelia del 24 aprile 2005, ma «…il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione: “Sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò” (Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no — non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità, che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!».
Coraggio e fede dunque, e umiltà. Questa virtù piccola, segreta, che si può raggiungere a prezzo di molte fatiche e di umiliazioni. È anzi forse l’unica via per l’umiltà, quella dell’umiliazione. È ciò che sta accadendo in Germania. «Umiltà significa verità» diceva Paolo vi, e la verità è che noi uomini siamo fragili. Una parola, fragilità, su cui Papa Francesco ha voluto soffermarsi domenica scorsa durante la preghiera dell’Angelus. «Noi ritroviamo oggi la grandezza di Dio in un pezzetto di Pane, in una fragilità che trabocca amore e, trabocca condivisione. Fragilità è proprio la parola che vorrei sottolineare» ha detto il Papa: «Gesù si fa fragile come il pane che si spezza e si sbriciola. Ma proprio lì sta la sua forza, nella sua fragilità. Nell’Eucaristia la fragilità è forza: forza dell’amore che si fa piccolo per poter essere accolto e non temuto; forza dell’amore che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta per riunire tutti noi in unità».
La dimensione paradossale del cristianesimo, per cui con san Paolo ogni cristiano può dire che: «Quando sono debole è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10). Di un “cristianesimo in frantumi” parlava con lungimiranza, negli anni ’70, il gesuita Michel De Certeau. È questo il destino del cristianesimo: essere frantumato, spezzato, ma per generare, germogliare, morire per dare frutto.
Ma il Papa nelle sue parole domenica è andato anche oltre: «E c’è un’altra forza che risalta nella fragilità dell’Eucaristia: la forza di amare chi sbaglia. È nella notte in cui viene tradito che Gesù ci dà il Pane della vita. Ci regala il dono più grande mentre prova nel cuore l’abisso più profondo: il discepolo che mangia con Lui, che intinge il boccone nello stesso piatto, lo sta tradendo. E il tradimento è il dolore più grande per chi ama. E che cosa fa Gesù? Reagisce al male con un bene più grande. Al “no” di Giuda risponde con il “sì” della misericordia. Non punisce il peccatore, ma dà la vita per lui, paga per lui. Quando riceviamo l’Eucaristia, Gesù fa lo stesso con noi: ci conosce, sa che siamo peccatori, e sa che sbagliamo tanto, ma non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Sa che ne abbiamo bisogno, perché l’Eucaristia non è il premio dei santi, no, ma è il Pane dei peccatori. Per questo ci esorta: “Non abbiate paura! Prendete e mangiate”».
La stessa cosa fa oggi il Papa con i cattolici, non solo in Germania: ci esorta a non aver paura ma a rimanere uniti tra noi e attaccati a Gesù e quindi all’Eucaristia, corpo di Cristo esposto come Ecce Homo e donato per amore. Solo così le nostre fragilità potranno essere riscattate: «Ogni volta che riceviamo il Pane di vita, Gesù viene a dare un senso nuovo alle nostre fragilità. Ci ricorda che ai suoi occhi siamo più preziosi di quanto pensiamo. Ci dice che è contento se condividiamo con Lui le nostre fragilità. Ci ripete che la sua misericordia non ha paura delle nostre miserie. La misericordia di Gesù non ha paura delle nostre miserie. E soprattutto ci guarisce con amore da quelle fragilità che da soli non possiamo risanare […] L’Eucaristia guarisce perché unisce a Gesù: ci fa assimilare il suo modo di vivere, la sua capacità di spezzarsi e donarsi ai fratelli, di rispondere al male con il bene. Ci dona il coraggio di uscire da noi stessi e di chinarci con amore verso le fragilità altrui. Come fa Dio con noi. Questa è la logica dell’Eucaristia: riceviamo Gesù che ci ama e sana le nostre fragilità per amare gli altri e aiutarli nelle loro fragilità».