Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Secondo i dati delle autorità locali e il conteggio dell’università americana Johns Hopkins, sono oltre 300 mila i decessi da Covid-19 registrati in India da inizio pandemia. Il Paese asiatico, come dato assoluto, è terzo al mondo per numero di morti dietro agli Stati Uniti e al Brasile. Mentre continua questa drammatica seconda ondata, la minoranza cristiana, rappresentata da diocesi, comunità religiose e organizzazioni laicali, è impegnata con le sue strutture sanitarie ad aiutare tutta la popolazione, a prescindere da fede, casta o etnia. Soprattutto nelle zone rurali mancano però i mezzi per combattere il virus e scarseggiano i vaccini. Inoltre gli aiuti finanziari provenienti dall’estero sono bloccati dalle leggi governative anti-corruzione. Nelle comunità cristiane spesso è solo la fede a sostenere la speranza della gente. Lo conferma in questa intervista a Radio Vaticana, monsignor Felix Anthony Machado, arcivescovo di Vasai e segretario della Conferenza Episcopale Indiana.
Qual è la situazione attuale della sua diocesi, durante questa nuova ondata della pandemia?
R.- La situazione è grave, molto grave, perché il Coronavirus, come sappiamo tutti, è un virus in molti casi mortale. È da marzo 2020 che siamo in questa pandemia, abbiamo avuto il lock down, con le chiusure generalizzate, e abbiamo vissuto dei mesi molto duri, in tutti i sensi. Nella prima fase ci sono stati parecchi contagi, molte persone erano morte, ma comunque abbiamo resistito. Poi, dopo due mesi di respiro, è arrivata questa seconda fase che non eravamo pronti ad affrontare. Tutti pensavano che il peggio fosse passato, il virus fosse stato vinto e non ci fosse più nulla di cui preoccuparsi. Poi la gente ha cominciato di nuovo ad ammalarsi di Covid-19, ma non c’era la possibilità di ricoverare le persone in ospedale. Se qualcuno riusciva ad arrivare in ospedale non trovava posto e, quando trovava posto, non c’era le medicine, non c’era l’ossigeno. Poi, quando le persone morivano, spesso non c’era modo di portare via i corpi per dare loro un funerale dignitoso. Assistere a questa situazione, vi assicuro, fa davvero molto male e, in più, in questo momento drammatico è arrivato il ciclone Tauktae, qui sulla costa Ovest della penisola, con pioggia e vento forte, che ha distrutto le case delle persone. Non c’è più elettricità, non c’è cibo, i negozi sono chiusi, e la gente vive sempre di più nella paura. Inoltre, da tempo, le Chiese sono chiuse e la gente si vede tolta anche la possibilità di vivere la propria fede e tutto diventa veramente molto triste per noi.
Vi aspettavate che la seconda ondata di pandemia fosse così devastante?
R.- Devo rispondere: sì e no. Logicamente, dovevamo aspettarcelo, perché ciò che succede nel mondo accade anche qui. Ma, in effetti, la gente non prendeva in considerazione la possibilità che il virus tornasse ad espandersi così. Io avevo messo in allarme i sacerdoti della mia diocesi, ma non tutti si sono resi conto del pericolo. Anche le autorità dello Stato non sono state molto chiare, forse erano prese da altre priorità, e così il virus ha ricominciato ad espandersi. Ormai è un mese che viviamo questa seconda ondata e devo dire che i casi cominciano a diminuire, ma continuano a esserci persone infettate e continuano ad esserci morti. Ma soprattutto ci sono molte persone che non lavorano e quindi non possono comprarsi nulla da mangiare e così sono costrette ad uscire a cercare del cibo, si mescolano con gli altri e purtroppo così si diffonde ancora il virus.
Con quali mezzi la popolazione sta combattendo il virus?
R.- Stiamo facendo tutto il possibile. Io sono sempre in contatto con il Governo di New Delhi, perché, siamo in una fase d’emergenza e il Governo centrale ha preso in mano la situazione. Poi sono in contatto anche con le autorità locali del nostro Stato federato del Maharashtra. Alle istituzioni io chiedo, ogni giorno, cosa possiamo fare come Chiesa per collaborare e aiutare la popolazione a combattere il virus. Ma il vero problema è che nella nostra regione ci sono zone rurali e zone urbane e in particolare nella nostra diocesi, vicino a Bombay, siamo in una zona che non è né urbana, né rurale e questa situazione rende ancora più ardua la lotta al virus. In questa seconda ondata, infatti, il virus ha infettato soprattutto le zone di campagna. Nella mia diocesi la maggior parte del territorio è abitata da autoctoni, cioè indigeni, che vivono in povertà. Tra questi ci sono molti cristiani. Io mi preoccupo in particolare di loro perché sono i più bisognosi. In questa zona possiamo contare su un nostro ospedale, gestito dalle suore canossiane. Ci sono anche i missionari gesuiti, i preti diocesani e varie congregazioni religiose femminili e insieme facciamo tutto quello che possiamo. Io, come vescovo, sto dando anche un aiuto monetario alla diocesi, ma il territorio è grande. Dunque la sfida è difficile, però io direi che Dio sta sempre con noi, sentiamo anche l’incoraggiamento della Chiesa universale, il sostegno della preghiera, e cerchiamo di andare avanti.
Come la Chiesa cerca di aiutare la popolazione in questa situazione?
R.- Qui la Chiesa è in mezzo alla gente e fa tutto il possibile perché la gente sia aiutata. Io raccomando ai sacerdoti della diocesi di fare qualcosa per ogni persona in stato di bisogno. Come Chiesa ci sentiamo in dovere di aiutare economicamente la gente che non ha i soldi per pagare l’ospedale e i trattamenti sanitari per il virus. Sono cure costose per la gente povera e qualche volta qui abbiamo a che fare con famiglie intere infettate dal virus. Quindi provvediamo ad aiutare coloro che non hanno i mezzi per pagare le medicine, i medici, gli infermieri, il ricovero in ospedale. Poi, cerchiamo di aiutare la gente anche dal punto di vista morale e spirituale. Ogni tanto organizziamo degli incontri video, attraverso le piattaforme digitali, per essere vicini alle famiglie.
Di cosa c’è bisogno in particolare in questo momento?
R.- C’è bisogno di coraggio, tanto coraggio. Ogni giorno dico alla gente di non perdere la speranza e questo è molto importante. Sentiamo che Dio c’è, avvertiamo la sua presenza e sappiamo che non ci ha lasciato. Seguiamo tutto l’anno liturgico anche se le Chiese sono chiuse. Però, quello di cui c’è più bisogno, è dare coraggio al popolo. Poi, ovviamente, oltre alle parole servono azioni concrete. Proprio per questo ho parlato in questi giorni con il cardinale Oswald Gracias, che è presidente della nostra Conferenza episcopale. In realtà ci sono parecchie offerte d’aiuto economico, ma purtroppo le offerte che provengono dall’estero per il momento sono bloccate per le leggi del Governo che voglio limitare la corruzione e quindi limitano i contributi stranieri per le Ong, le associazioni e anche la Chiesa. Noi, in questo momento, avremmo bisogno d’aiuto per comprare i ventilatori, per comprare l’ossigeno, le medicine, e soprattutto, naturalmente, per comprare i vaccini. Come vescovo io ho dichiarato pubblicamente che sono pronto a comprare vaccini per la popolazione. Come Chiesa vogliamo aiutare tutte le persone a vaccinarsi, senza discriminazione di religione, casta o razza. Io stesso invito la gente a vaccinarsi appena è possibile. Mi sembra la cosa più importante da fare per allontanare questo virus. Poi, naturalmente, abbiamo bisogno di preghiere. Molti amici mi scrivono qualcosa, mi mandano un messaggio, e ci dicono che sono con noi. Questo ci dà una grande consolazione. È davvero il mistero del Corpo di Cristo: quando un organo del corpo è in sofferenza, tutti soffrono con lui. Questa è l’esperienza che stiamo vivendo come Chiesa locale.
Cosa vi sta insegnando questa crisi?
R.- Certo, è un momento difficile per me come Pastore, ma so che il mio Ministero mi chiede proprio di stare accanto a chi è in difficoltà, incoraggiando i sacerdoti, religiose e religiosi. Ci sostiene la fede, perché la fede non è solo per i tempi felici, ma serve anche a dare significato ai giorni più difficili. Giorni fa ho dovuto celebrare i funerali del mio povero zio, morto per il Covid. Mentre la sera dal cimitero tornavo in parrocchia, davanti alla Chiesa ho incontrato un bambino di tredici anni che pregava davanti alla statua della Madonna. Mi sono avvicinato e lui mi ha chiesto di pregare per sua madre, perché stava morendo, in ospedale. Questo incontro mi ha molto colpito. Vedere un ragazzo così piccolo e disperato pregare con tanta fede mi ha davvero impressionato. È un’immagine che descrive bene la sofferenza della vita di tanti di noi. Spesso ci sembra di non sapere dov’è Dio davanti a tanto dolore, ma Lui è sempre presente e dobbiamo continuare a pregarlo.