Myanmar e Sahel, il decollo mancato delle democrazie

Vatican News

Antonella Palermo – Città del Vaticano

La democrazia ha il ruolo cruciale di garantire il libero flusso delle informazioni, la partecipazione al processo decisionale e la responsabilità di rispondere alle ripercussioni sociali ed economiche della emergenza sanitaria. La democrazia è tuttavia messa a rischio in diverse regioni del pianeta. “Lo stato di salute della democrazia nel mondo” è il tema dell’incontro online che oggi, dalle 17 alle 18.30, il Centro Astalli, in collaborazione con la Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana, organizza nell’ambito di una triade di appuntamenti – gli altri due si terranno il 19 e il 26 maggio – dal titolo “Democrazie in lockdown: il vaccino dei diritti – Le migrazioni alla prova della pandemia”. I relatori di questa sera saranno Cecilia Brighi, segretario generale Associazione “Italia-Birmania. Insieme” e Camillo Casola, ricercatore associato al CeSAC (Centro Studi sull’Africa Contemporanea).

La crisi sanitaria ha indebolito le democrazie

I sistemi democratici indeboliti dalla pandemia saranno al centro delle riflessioni. Se infatti i governi sono stati costretti ad adottare dure restrizioni per contrastare la diffusione del virus – si legge nella presentazione del ciclo di formazione – molte realtà illiberali e autoritarie ne hanno approfittato. “Nel 2020, si è assistito a un diffuso tentativo di limitare la libertà di espressione e d’informazione, ricorrendo spesso anche all’uso della forza e della detenzione come strumenti di repressione; al contempo, sono aumentati gli episodi di discriminazione e razzismo, sfociati spesso in violenze e uccisioni”.

La regressione delle libertà civili

Il 70% dei Paesi ha registrato un netto peggioramento rispetto al 2019 sul fronte del punteggio globale medio delle libertà civili. Punte drammatiche si sono toccate in Mali e forti involuzioni nelle regioni dell’Africa Sub-sahariana, del Medio Oriente e del Nord Africa. Anche in Europa assistiamo a cali significativi, lo dimostrano i dati dell’Economist Intelligence Unit. Jan Beagle, direttore generale dell’International Development Law Organization (IDLO), ha recentemente dichiarato che l’unico modo per contrastare questo trend è far sì che i governi riducano le disuguaglianze che alimentano la vulnerabilità e che con le pandemie si accrescono.

Superare gli interessi miopi delle grandi economie

La strumentalizzazione dell’emergenza per limitare i processi democratici e lo spazio civico è cosa particolarmente rischiosa nei luoghi in cui la democrazia ha radici poco profonde e dove le garanzie e i controlli istituzionali sono deboli. Le tensioni che perdurano in Myanmar e nell’area del Sahel sono emblematiche in questo senso. Cecilia Brighi spiega che è innanzitutto “con la solidarietà, con il superamento degli interessi miopi delle grandi economie e con l’attenzione da parte della gente ovunque nel mondo” che si conquistano davvero i diritti. “Purtroppo le democrazie vere nel mondo sono sempre più attaccate da regimi autoritari – scandisce – che non hanno nessun interesse a rafforzare le democrazie in altri Paesi. Lo si vede in Medio Oriente, nel cuore dell’Europa… Sono tutti elementi che inficiano la libertà generale delle popolazioni”.

Ascolta l’intervista a Cecilia Brighi

Myanmar: evitare spaccature tra i dissidenti

Sulle ragioni per cui la democrazia non si è affermata in Myanmar, la Brighi sottolinea il carattere della Costituzione imposta nel 2008 che “sancisce il controllo della politica da parte dei militari. Loro hanno il 25% dei seggi in parlamento – ricorda – detengono il controllo economico, sono a capo del Ministero degli Interni, di quello della Difesa. Aung San Suu Kyi ha tentato con tutte le sue forze di cambiare la situazione – spiega – ma con vincoli pazzeschi, era troppo difficile…”. Cento giorni fa il colpo di stato militare: il bilancio è drammatico. Dove intravedere uno spiraglio di luce? “Il popolo birmano tutto ha capito che bisogna essere uniti e ha superato le diffidenze delle popolazioni etniche – è l’analisi di Brighi – si parla ora di Costituzione democratica e federale, di esercito democratico e federale. Anche i Rohingya sostengono la lotta contro la dittatura. Bisogna evitare che le tensioni all’interno dei dissidenti alimentino spaccature. Non è facile perché la situazione sociale è gravissima. La repressione è durissima. L’esercito sta licenziando buona parte dei funzionari pubblici e li sta sostituendo con militari, cosa gravissima”.

Il ruolo delle istituzioni internazionale a difesa della libertà

Il Myanmar ha ricchezze in gran parte sconosciute in Occidente ma che fanno gola a chi ci specula, precisa Brighi: una ricchezza culturale enorme, una storia millenaria, siti archeologici bellissimi, paesaggi strepitosi. “Grandi ricchezze naturali e anche minerali che hanno arricchito i militari. Potrebbe essere un Paese ricchissimo e invece vede élite agiatissime mentre solo il 40% della popolazione ha accesso all’elettricità”. Ricco, come è, di gas e di petrolio, è un vero paradosso.

Cecilia Brighi guarda con grande ammirazione e speranza al 16 maggio, quando Papa Francesco presiederà in Vaticano la messa per la comunità di fedeli birmani a Roma: “È un gesto molto importante che farà benissimo alla popolazione birmana che sta soffrendo in modo enorme. La Chiesa cattolica in Myanmar ha un ruolo importantissimo di raccordo fra le sue componenti, per la pace. La celebrazione di domenica è un segno di interesse da parte della Chiesa, di vicinanza”. E ritorna alle parole pronunciate dal Papa quando ha detto che si inginocchiava, come suor Ann Rose, sulle strade del Myanmar: “Dovrebbero toccare anche le istituzioni internazionali, quelle parole, perché comprendano che è ora di intraprendere una iniziativa forte per recuperare i diritti, la democrazia, la libertà”.

Europa, migranti e rappresentanza democratica

“L’Europa e la democrazia nel Mediterraneo” è il tema del secondo incontro promosso dal Centro Astalli, sempre sulla piattaforma Zoom. Come trasformare la lezione della pandemia, che ci ha mostrato l’evidenza della stretta interconnessione tra i popoli, in una nuova idea di partecipazione civica? Come sperimentare nuovi modelli di relazione nel Mediterraneo in cui i migranti siano protagonisti di una nuova definizione di cittadinanza e democrazia? Questi gli interrogativi sui quali si confronteranno Sergio Fabbrini (LUISS Guido Carli) e Antoine Courban (Saint Joseph University – Beirut), a dieci anni dalle primavere arabe, portatrici delle istanze di fine delle dittature e violazioni di diritti umani. Ci si chiederà perché l’Unione europea stenta ad avere un ruolo da protagonista nel Mediterraneo. A chiudere il ciclo sarà l’incontro “Migranti in Italia tra rappresentanza democratica e legalità”, il 26 maggio. Per molti migranti e rifugiati la pandemia ha acuito invisibilità, sfruttamento, irregolarità. Ripartire dai diritti sociali per una nuova idea di comunità in cui rappresentanza, lavoro e conciliazione familiare siano le priorità, può essere la via da seguire per ricostruire l’Italia e per contrastare gli effetti sociali ed economici della crisi? E quali strade percorrere per rendere effettiva la partecipazione dei migranti ai processi democratici del Paese?