Primavera sulla “rotta balcanica”: cresce il numero di profughi dall’Asia

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Sta arrivando la primavera anche a Bihac e nei 5 campi profughi nei dintorni della città bosniaca, al confine con la Croazia, e agli oltre 8 mila migranti, in attesa da tempo di entrare nell’Europa “dei ricchi” se ne stanno aggiungendo altri in arrivo dalla Serbia. Ma i campi sono già sovraffollati, ci spiega padre Stanko Perica, il direttore croato del Jesuit refugee service per l’Europa sud-est (Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Kosovo e Montenegro), e cresce così il numero dei profughi che vivono, “in cattive condizioni, nella foresta o negli edifici abbandonati, e cercano aiuto”.

In arrivo a Bihac dalla Grecia attraverso la Serbia

Padre Stanko ha parlato della drammatica situazione degli oltre 16 mila profughi della cosiddetta “rotta balcanica” in Bosnia (dati del 2020 dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni) in un video trasmesso martedì dal Centro Astalli, l’ufficio italiano del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, nel corso della presentazione del Rapporto 2021. Ha ricordato che il governo bosniaco ha grande difficoltà nel gestire il flusso di migranti in arrivo dalla Grecia attraverso la Serbia (dove comunque, sempre secondo l’Oim, nel 2020 c’erano quasi 40 mila profughi).

I profughi della “rotta balcanica” e l’aiuto del Jrs

Più di 2 mila fuori dai campi profughi ormai stracolmi

Dopo l’apertura, nel 2019, del “famigerato” campo di Vučjak, una ex discarica a pochi chilometri dal confine croato senza acqua ed elettricità, padre Perica ha spiegato che nel 2020, dopo un incendio che aveva distrutto il nuovo campo profughi di Lipa, diverse centinaia di migranti, sono rimasti senza alloggio. Oggi sono quasi 2 mila, e il Jrs li aiuta “con cibo, acqua, vestiti, scarpe, medicine, integratori per rafforzare l’immunità che è danneggiata da una cattiva alimentazione”. “Carichiamo i loro telefoni cellulari – ha raccontato ancora il direttore del Jrs sud-est Europa –  distribuiamo delle powerbank e pannelli solari per avere almeno un po’ di elettricità e luce durante la notte. Abbiamo 18 nostri mediatori culturali che parlano la lingua dei migranti. Da loro sappiamo di cosa hanno bisogno e cerchiamo di alleviare la loro sofferenza”.

Padre Perica: la richiesta alla Croazia di riunire le famiglie

A Vatican News padre Stanko Perica spiega che non è stato costruito nessun nuovo campo per i 2 mila che vagano nei boschi intorno a Bihac, e nemmeno per quelli che continuano ad arrivare dalla Serbia. Però c’è anche qualcuno che ce l’ha fatta, come una famiglia cattolica dal Pakistan che è riuscita a raggiungere l’Italia dopo aver incontrato il gesuita croato e i suoi collaboratori a Bihac.

Ascolta l’intervista a padre Stanko Perica (Jesuit refugee service)

R.- Con l’arrivo della primavera la situazione diventa sempre più drammatica. Già non c’è più posto nei campi profughi, sono sovraffollati, c’è anche la pressione della gente del posto che chiede che i campi esistenti si chiudano. Arrivano invece nuovi migranti dalla Serbia e quelli già presenti in Bosnia non possono oltrepassare il confine con Croazia. Così cresce sempre di più il numero di profughi che vivono al di fuori dei campi, in cattive condizioni, nella foresta o negli edifici abbandonati, e cercano aiuto.

C’è qualche apertura da parte della Croazia, magari per i minori non accompagnati, o tutti i migranti che tentano di attraversare il confine per arrivare nell’Europa più ricca vengono rimandati indietro?

R.- Non c’è nessuna apertura della frontiera da parte dalla Croazia, ma la gente riesce ad attraversarla, dopo tanti tentativi. Ultimamente ci sono molti casi di famiglie separate: le donne vanno da sole con i bambini, per avere così maggiore probabilità di riuscire e i mariti invece rimangono in Bosnia. Alcune donne raccontano di essere riuscite ad attraversare la frontiera dopo aver provato ogni giorno per 7 mesi. Ho parlato con il segretario di Stato della Croazia di questo problema, perché tante di queste donne vengono nel nostro ufficio a Zagabria chiedendo aiuto per riunire la loro famiglia. Mi ha detto che presterà attenzione a questo problema.

Può raccontarci una storia di speranza di uno di questi migranti che ce l’ha fatta, o che ha migliorato la sua condizione, e una invece che testimonia in maniera drammatica la situazione della maggioranza di chi tenta la fortuna lungo la “rotta balcanica” e nel “Game” dell’attraversamento della frontiera?

R.- Sono in contatto con alcuni cattolici dal Pakistan che mi hanno chiesto di pregare per loro quando gli ho incontrati in Bosnia. Adesso sono riusciti a raggiungere l’Italia e mi ringraziano e chiedono di metterli in contatto con delle organizzazioni ecclesiali. E anche adesso mi chiedono di pregare perché abbiano l’opportunità di incontrare Papa Francesco. Dall’altro lato, ricevo anche tramite whatsapp delle foto di bambini ammalati che stanno vicino a Velika Kladuša (nel nord della Bosnia, al confine con la Croazia, n.d.r.). Purtroppo li è vietato offrire qualsiasi tipo di aiuto, perché lo Stato bosniaco vuole che i migranti vadano nei campi profughi e vieta alle organizzazioni umanitarie come la nostra di agire in quella regione.

Per il futuro, oltre l’emergenza, che cosa può fare il Jrs e tutta la Chiesa che è in Europa per essere davvero vicino a questi fratelli, per trasformare la loro sventura in un’avventura a lieto fine?

R.- Per il futuro, si dovrebbe pensare di più alle alternative a questo disumano tipo di immigrazione. Un buon esempio sono i corridoi umanitari dove le persone che sono perseguitate arrivano legalmente in uno Stato e vengono prese in carico dagli individui, dalle organizzazioni o dalle parrocchie. L’Italia ha una grande esperienza in questo campo, con un impegno della Comunità di Sant’Egidio, della Caritas, della Chiesa evangelica valdese e altri. Anche Paesi come il Canada hanno delle esperienze simili. Noi del Jrs vogliamo imparare da queste esperienze e fare dei progetti simili. Per far questo ci serve anche lo sviluppo della cultura di apertura e accoglienza verso lo straniero, e tutti dobbiamo impegnarci in questo.