Marco Guerra e Isabella Piro – Città del Vaticano
“Ogni persona è creata a immagine di Dio e deve essere valorizzata, protetta e rispettata per la dignità intrinseca che possiede”, sono le parole con cui monsignor Mario E. Dorsonville, presidente del Comitato per le migrazioni della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Uscbb), esprime la sua delusione per la decisione dell’amministrazione Biden di non aumentare il numero di rifugiati che possono essere reinsediati negli Usa nell’anno fiscale 2021.
L’impegno della Chiesa per i rifugiati
La quota rimarrà dunque bassa, nettamente “inferiore a quello che possiamo fare come Paese e non è una risposta adeguata all’immenso bisogno di reinsediamento – sottolinea il presule – Lavoreremo con l’amministrazione, con i funzionari e le comunità statali e locali e con i nostri colleghi per assicurare che ognuno dei 15mila rifugiati confermati come tetto massimo di quest’anno sia reinsediato in modo sicuro e il più rapidamente possibile”.
Plauso per apertura arrivi da ogni regione del mondo
Al contempo, monsignor Dorsonville auspica che “l’amministrazione ricalibri e aumenti questo tetto”, riportando a “livelli più normali e giusti, raggiungendo un obiettivo di ammissione di 125mila persone”. Effettivamente, venerdì scorso il governo statunitense ha annunciato sia l’aumento della quota massima per i rifugiati nei prossimi mesi, sia che verrà ripristinata la pratica di accogliere i rifugiati, provenienti da ogni regione del mondo, aprendo così la possibilità di reinsediamento negli Usa a quelle categorie escluse dalla precedente amministrazione Trump, L’esempio è il ‘Muslim ban’, che escludeva dalla accoglienza coloro che provenivano da alcuni Paesi considerati fiancheggiatori di movimenti estremisti. Su questo punto, l’Usccb si dice d’accordo ed esprime il suo plauso, apprezzando il fatto che “il numero senza precedenti di famiglie di rifugiati perseguitati, per motivi religiosi, politici e di altro tipo che prima non potevano viaggiare, potranno finalmente essere reinsediati negli Stati Uniti”. “Le terribili condizioni in cui versano rifugiati e richiedenti asilo destano particolare preoccupazione nella Chiesa cattolica”, conclude la nota dei presuli, nella quale si metet in luce “l’operato dei vescovi cattolici degli Usa nell’assistenza e nella difesa degli immigrati”.
Le quote di accoglienza
Critiche all’amministrazione Biden sono state espresse anche da parte del Partito democratico e dalle Ong per aver mantenuto quest’anno fiscale (sino a settembre) il limite di 15 mila rifugiati fissato da Donald Trump, il più basso della storia Usa. Una decisione arrivata dopo aver annunciato in campagna elettorale un tetto di 125 mila, dimezzato poi lo scorso febbraio a 62.500. Inizialmente la Casa Bianca aveva spiegato la scelta con le difficoltà di smaltire le pratiche delle nuove ondate di migranti alla frontiera sud. Ma alcune Ong hanno obiettato che le domande dei rifugiati vengono ‘processate’ con un sistema e uno staff completamente diversi rispetto a quelli dedicati per i normali flussi migratori. Ad ogni modo gli Usa hanno così ripartito le quote di accoglienza per i rifugiati: 7000 posti per i rifugiati dall’Africa, 1000 per l’Asia orientale, 1500 per Europa e Asia centrale, 3000 per l’America latina e i Caraibi, 1500 per il Medio Oriente e l’Asia meridionale e 1000 come riserva.
Pastori: Biden tiene conto delle posizioni repubblicane
“Le aspettative di un cambiamento legate all’amministrazione Biden erano molto forti, forse più forti di quanto era lecito aspettarsi. Biden ha vinto le elezioni con un buon distacco ma ha una posizione fragile e deve tenere conto che il partito Repubblicano e del suo elettorato restano molto forti. Biden è quindi consapevole del fatto che non può inimicarsi questa parte del Paese soprattutto se vuole, come annunciato in campagna elettorale, chiudere le ferite che hanno segnato i quattro anni passati”, spiega a VaticanNews Gianluca Pastori, docente di storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa all’Università Cattolica di Milano e ricercatore dell’Ispi. “Biden ha fatto una scelta sgradita ai suoi elettori per non inimicarsi l’altra parte dell’America – prosegue -, bisogna capire se nei prossimi anni si vedrà qualcosa di diverso ma aspettarsi un cambiamento radicale ora era chiedere troppo”.
Il cambiamento di amministrazioni
Il ricercatore dell’Ispi fa notare poi che rispetto all’amministrazione Trump sono rimasti immutati i numeri dell’accoglienza ma è cambiato l’atteggiamento nei confronti del tema immigrazione, “per l’amministrazione Trump era un problema in sé perché nella logica dell’America first gli immigrati erano un potenziale concorrente nel lavoro e per l’accesso ai servizi”. Pastori ritiene invece che con Biden c’è un atteggiamento più aperto e non ci sono ostilità preconcette nei confronti di alcuni Paesi che avevano ispirato ad esempio il Muslim band o l’ostilità nei confronti dell’immigrazione dal Messico, “ma serve tempo per capire cosa vorrà fare veramente questa amministrazione”.
Rapporti con il Messico, una questione annosa
Pastori ricorda inoltre che il problema dei rapporti tra Stati Uniti e Messico è precedente all’arrivo di Trump e che il muro al confine tra i due Paesi venne costruito già dagli anni Novanta. “Il confine tra Usa e Messico è un confine caldo e continuerà ad essere caldo – dice il docente della Cattolica -, ma non dobbiamo dipingere il quadro in maniera drammatica con il Messico ci sono tensioni ma anche iniziative di collaborazione. Le migrazioni sono logiche complesse non possono essere interpretate in termini di antagonismo e basta”.
Serve risposta organica
Il professore della Cattolica ritiene quindi che il fenomeno non è destinato ad esaurirsi in tempi brevi: “Il rapporto che gli Stati Uniti hanno con l’America Centrale è un po’ come quello che l’Europa ha con i Paesi del sud del Mediterraneo. Ci sono talmente tanti differenziali, a livello economico, demografico e di sicurezza che i flussi migratori sono destinati ad essere endemici, Europa e Usa dovrebbero affrontare il problema in maniera strutturale. Gli Usa stanno affrontando dei movimenti di popolazione massicci che non possono essere gestiti solo con politiche di repressione”.