Cop29, per gli obiettivi climatici servono 6,5 trilioni di dollari

Vatican News

di Pierluigi Sassi

La prima giornata tematica della COP29 non poteva che essere dedicata a “Finanza, investimenti e commercio”. D’altra parte questa Conferenza ha proprio il compito di definire importi e criteri della finanza verde, per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi. E così mentre il negoziato tra i Paesi membri si concentrava sulla nuova proposta di accordo, presentata dai paesi in via di sviluppo, il “Gruppo di esperti indipendenti sulla finanza climatica” ha presentato il suo terzo rapporto. L’organismo di consulenza delle COP — operante dal 2021 con il sostegno della London School of Economics e del Centro di Ricerca Brookings Institution — ha evidenziato che la reale esigenza finanziaria per il raggiungimento degli obiettivi climatici ammonta all’impressionante cifra di 6,5 trilioni di dollari l’anno. Secondo questi esperti l’imp orto può essere raggiunto attraverso quattro azioni: la prima vuole che dai paesi ricchi il fondo da 100 miliardi previsto dalla COP21 venga portato a 1000 miliardi l’anno, fino al 2030, e poi a 1.300 miliardi l’anno fino al 2035.

Qui diventa di assoluta importanza che questi soldi vengano concessi come contributo e non come prestito, come invece oggi avviene nella maggior parte dei casi; la seconda azione vuole la partecipazione dei capitali privati che vanno incoraggiati il più possibile ad affiancarsi a quelli pubblici; la terza chiama in causa le banche multilaterali di sviluppo (come ad esempio la Bei) che possono erogare fino a 120 miliardi l’anno; e la quarta azione, ma davvero non l’ultima per importanza, vuole che anche le economie emergenti contribuiscano in modo significativo considerato che con il loro sviluppo contribuiranno a circa il 50% delle emissioni globali.

A ben vedere, l’idea di distinguere in modo deciso le economie depresse da quelle emergenti è indispensabile per sciogliere i nodi che sono oggi sul tavolo dei negoziati. Paesi protagonisti di una crescita economica importante, per quanto provenienti da una povertà che solo pochi anni fa li vedeva fortemente penalizzati, oggi vanno considerati per la loro ricchezza e per il loro impatto sul clima. Solo così sarà possibile aumentare la capacità di investimento sullo sviluppo sostenibile dei paesi poveri, come anche sulla riparazione dei danni di chi da solo proprio non ce la può fare. Il principio secondo il quale “chi inquina paga” è stato espresso ieri anche dal Parlamento europeo il quale — con 429 voti a favore, 183 contrari e 24 astensioni — ha approvato una risoluzione non legislativa che compatta la posizione europea a Baku sull’idea che «tutte le economie emergenti contribuiscano alla finanza climatica in proporzione alle loro emissioni e al loro Pil». I distinguo e i dissensi nell’aula parlamentare non sono mancati, ma oggi l’Europa ha una linea potenzialmente risolutiva che gode del conforto dei migliori esperti.