Il portavoce dell’agenzia delle Nazioni Unite per i palestinesi Jonathan Fowler commenta la recente decisione della Knesset di vietare l’attività dell’organismo Onu sul territorio israeliano e di impedire ai funzionari israeliani di collaborarvi: se l’assistenza che forniamo dovesse cessare, il tenore di vita delle persone nell’area, già basso, precipiterebbe
Marine Henriot – Città del Vaticano
Lo scorso 28 ottobre il parlamento israeliano ha approvato due leggi riguardanti l’Unrwa, l’Agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. La prima legge, approvata dalla Knesset, vieta le attività dell’Agenzia sul territorio israeliano, mentre la seconda impedisce ai funzionari israeliani di intrattenervi rapporti di collaborazione, il che rischia di destabilizzare significativamente le attività dell’agenzia, dal momento che Israele controlla tutti i carichi di aiuti umanitari diretti a Gaza. Le due leggi entreranno in vigore 90 giorni dopo l’approvazione della Knesset.
Dal 1949, questa agenzia delle Nazioni Unite gestisce, tra le altre cose, centri sanitari e scuole a Gaza e in Cisgiordania, rispondendo ai bisogni essenziali di oltre 5 milioni di rifugiati palestinesi in Medio Oriente. Le conseguenze umanitarie del suo divieto sono “inimmaginabili”, dice ai media vaticani Jonathan Fowler, portavoce dell’Agenzia.
Da un punto di vista del diritto internazionale, come interpretare questa decisione?
Israele non ha assolutamente il diritto di vietare l’Unrwa. È importante ricordare che siamo stati creati nel 1949 su mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il nostro mandato è stato regolarmente rinnovato da allora. Bisogna ricordare anche che l’Assemblea generale è cresciuta, includendo nuovi Paesi, ognuno dei quali rappresenta una voce in più nella comunità internazionale a favore del rinnovo del nostro mandato. È così che funziona il diritto internazionale, attraverso le risoluzioni delle Nazioni Unite. Un singolo membro non può decidere unilateralmente e dire: “Questa agenzia non ci piace, va contro i nostri interessi, quindi addio”. Non è così che funziona.
Ci viene chiesto come reagiamo a queste leggi, ma purtroppo ci siamo abituati. Siamo sottoposti a una campagna di smantellamento dell’Unrwa per vari motivi, da ben prima dell’inizio di questo conflitto, ma tale smantellamento ha raggiunto dimensioni senza precedenti. Queste leggi rappresentano un ulteriore passo in questa direzione.
Cosa dire del caso specifico di Gerusalemme Est?
Il caso di Gerusalemme Est esemplifica tutta la problematica. Israele considera Gerusalemme Est parte integrante del proprio territorio dall’annessione negli anni ’80. Tuttavia, agli occhi della comunità internazionale Gerusalemme Est è un territorio occupato e quando si parla di Cisgiordania questo include Gerusalemme Est. Israele afferma nella sua nuova normativa che l’Unrwa non ha il diritto di operare sul suo territorio sovrano, quindi anche a Gerusalemme Est. Ma qui sta il problema: non è considerato tale dalla comunità internazionale. I nostri uffici si trovano a Gerusalemme Est fin dagli anni ’50. Il nostro locatore è la Giordania e continuerà a esserlo. Il nostro contratto di locazione è ancora valido e non c’è motivo di revocarlo.
Quali sono ora i margini di manovra dell’Unrwa?
Innanzitutto, il segretario generale delle Nazioni Unite presenterà la questione all’Assemblea generale. Il nostro riferimento è l’Assemblea generale, dove si decide se proseguire o meno con il mandato di un’agenzia Onu Questo è un primo percorso e la Norvegia ha inoltre annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia. Si stanno quindi prendendo misure all’interno di quello che possiamo considerare il sistema multilaterale. Al contempo, vari Paesi e gruppi di Paesi stanno cercando di far capire che questo non è accettabile e tali leggi devono essere revocate o non attuate.
È un nuovo colpo al multilateralismo?
È esattamente così. Il problema è che se queste leggi vengono mantenute, chi ci dice che domani non accadrà altrove? Un governo o un Paese potrebbe, per un motivo o un altro, dichiarare la stessa cosa sul proprio territorio. Se questo crea un precedente rispetto ad azioni unilaterali, è quasi la fine del multilateralismo, che, pur non essendo un sistema perfetto è tuttavia il migliore che abbiamo per risolvere le nostre divergenze dalla fine della Seconda Guerra mondiale.
Quali potrebbero essere le conseguenze di queste leggi per la popolazione a Gaza?
A Gaza siamo la spina dorsale dell’operazione umanitaria internazionale. Se paragoniamo a un corpo, rimuovere la spina dorsale significa far crollare tutto. E questo è purtroppo il rischio concreto a Gaza: l’operazione umanitaria internazionale potrebbe iniziare a disgregarsi progressivamente o addirittura interrompersi da un giorno all’altro. Bisogna sapere che abbiamo 13 mila dipendenti a Gaza, di cui circa 5 mila continuano a lavorare. Si tratta di persone che spesso vivono in condizioni di sfollamento e subiscono perdite continue nelle loro famiglie, ma che continuano a lavorare. Non esiste nessun’altra Agenzia delle Nazioni Unite comparabile all’Unrwa, le altre agenzie non possono operare senza di noi. Le conseguenze di una fine delle operazioni umanitarie sono impensabili per la popolazione. La fame è già presente a Gaza, le epidemie si diffondono. La polio è tornata dopo 25 anni dalla sua eradicazione, ci stiamo dirigendo verso il peggio. È inimmaginabile.
L’Unrwa è presente anche in Cisgiordania, come si può immaginare la vita in questi territori senza la presenza dell’Agenzia?
Siamo un’Agenzia unica nel sistema delle Nazioni Unite e la nostra prima missione è quella di fornire direttamente servizi alla popolazione. Gestiamo scuole, cliniche, alcuni ospedali, servizi sociali, raccolta dei rifiuti, ecc. Se tutto questo dovesse cessare, il tenore di vita delle persone in Cisgiordania, già basso, rischierebbe di cambiare radicalmente. Non è possibile sostituire un’Agenzia che fa tutto ciò che facciamo noi e non dovremmo essere sostituiti, perché nessun altro nel nostro sistema internazionale ha il mandato di fare quello che facciamo noi