Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Proprio un anno fa, in questo stesso giorno, papa Francesco pregava in piazza San Pietro per la fine della pandemia di fronte a due immagini profondamente venerate dai romani e dai fedeli di tutto il mondo: la Salus populi romani – ne abbiamo già parlato a proposito della basilica di Santa Maria Maggiore – e il Crocifisso di San Marcello, che si trova nella chiesa omonima in via del Corso.
Già nel pomeriggio della domenica 15 marzo, il Papa, dopo aver fatto tappa a Santa Maria Maggiore, si era recato a pregare di fronte al Crocifisso di San Marcello, nei giorni in cui l’epidemia si era trasformata in pandemia e il generico coronavirus aveva assunto il nome di covid-19. Il mondo era terrorizzato, le notizie drammatiche. Tra le immagini che accompagneranno per sempre la nostra memoria, ci sarà papa Francesco a piedi che, in pellegrinaggio, sullo sfondo del Vittoriano, cammina sul marciapiede verso la chiesa. E di nuovo le immagini del 27 marzo quando la sua preghiera è stata ripetuta sul sagrato deserto della basilica di San Pietro.
In quel giorno piovoso di un anno fa, il crocifisso si stagliava nel buio di fronte al Papa, che ha voluto prendersi carico del dolore e della paura degli uomini e invocare l’aiuto dell’Altissimo, seguendo un’antica tradizione che, nei momenti più critici della storia e in particolare in occasione del male oscuro delle epidemie, si affida alla preghiera rivolgendosi all’icona della Vergine e a questa immagine lignea del Cristo in croce.
I miracoli del Crocifisso
Nel maggio del 1519 la chiesa, che allora era orientata nel verso opposto, con la facciata rivolta verso piazza Santi Apostoli, fu distrutta da un incendio. Rimase intatto solo il Crocifisso che ornava l’altare maggiore.
Questa circostanza portò a ritenere miracoloso l’accaduto. Alcuni anni dopo, durante la peste del 1522, l’allora cardinale titolare della chiesa, Raimondo Vich, organizzò una processione penitenziale che si protrasse per diciotto giorni, con il santissimo Crocifisso portato a spalla attraverso tutti i rioni di Roma, fino alla basilica di San Pietro. Partecipò tutto il popolo, di tutte le età e condizioni, oltre ai nobili e ai religiosi, che scalzi e con il capo cosparso di cenere gridavano misericordia. E dove passava, la peste cessava.
Il cardinale Vich si ispirò sicuramente alla litania settiforme, che partì con gli uomini proprio da San Marcello per giungere a San Pietro guidata da papa Gregorio Magno con l’icona della Salus populi romani per invocare la fine di un’altra epidemia di peste, quella del 590.
La confraternita del SS. Crocifisso
In seguito fu fondata la Compagnia dei disciplinati intitolata al Santissimo Crocifisso, che divenne Confraternita e i suoi statuti approvati da papa Clemente VII nel 1526. Il crocifisso fu collocato nella quarta cappella di sinistra, dove si trova tuttora. Da allora la sacra immagine è stata portata in processione in occasione dei giubilei e di eventi importanti come nella Giornata del perdono, durante l’Anno santo del 2000, con papa san Giovanni Paolo II.
Ispirato al Crocifisso caro a santa Brigida di Svezia
Si tratta di una statua in legno di pioppo, colorata e dorata, opera di scuola romana e databile intorno al 1370, posteriore cioè di alcuni decenni al Crocifisso di San Lorenzo in Damaso, al quale era devota santa Brigida, che a tutta evidenza sembra aver ispirato l’ignoto ebanista di San Marcello. Consta di un unico tronco dai piedi alla nuca, mentre il volto e le braccia sono stati lavorati a parte e inseriti. Durante i restauri pubblicati nel 2001 sono stati riscontrati numerosi interventi di epoche precedenti, integrazioni e ridipinture.
Volto di misericordia
Il volto reclinato è come raccolto nel silenzio doloroso della morte e la resa anatomica è scarna, rigida soprattutto nelle braccia innestate. La doratura tenta di nobilitare una plasticità poco riuscita delle pieghe del perizoma.
Il Crocifisso di San Marcello porta in sé in modo visibile i segni dell’affetto e della sofferenza di chi gli si accosta in preghiera, con devozione e speranza. E come spesso succede nelle opere d’arte cosiddette “minori” le imperfezioni spingono ad amarle di più proprio perché specchio della nostra umanità, della nostra debolezza.
L’opera è stata posta su un fondo di velluto rosso e decorazioni dorate. Al tempo, tra il 1525 e il 1527, fu chiamato l’artista più in voga, Perino del Vaga, per adornare la cappella con affreschi mai finiti e alcuni andati perduti. Eppure chi si ferma in preghiera non si accorge delle decorazioni: è la figura dolente e bruna del Cristo a catturare ogni attenzione.
La chiesa ricostruita subito dopo l’incendio del 1519
La chiesa è a una sola navata con cinque cappelle per parte, alla quale lavorarono numerosi artisti come il Sansovino, che fu il primo a essere chiamato da Leone X per la ricostruzione. La facciata, opera dell’architetto Carlo Fontana tra il 1692 e il 1697, stretta tra la strada e gli edifici accanto, già preannuncia la bellezza dell’interno con la sua curvatura leggera percorsa da colonne, nicchie e statue. L’ordine superiore è decorato sui lati dal segno dei martiri: le foglie di palma.
La controfacciata è completamente dipinta con una grande Crocifissione, opera del pittore manierista Giovanni Battista Ricci detto il Novara, nel 1613.
La conversione di Paolo
Tra le opere, notevolissimo è il dipinto su lavagna di Taddeo Zuccari, nella cappella sinistra, commissionata dalla famiglia Frangipane, i cui busti sono sui lati, due dei quali dello scultore Alessandro Algardi (1602-1654). Rappresenta la conversione di san Paolo, appena caduto da cavallo e accecato, con gli occhi chiusi, al centro di una composizione concitata. Cristo erompe tra le nuvole aperte e indica Paolo con il braccio teso, rompendo le linee orizzontali del cielo come una freccia. Una grande figura in primo piano sembra letteralmente uscire dal quadro per fuggire via terrorizzata.
Il gruppo ligneo della Pietà attira l’attenzione per i suoi colori vivaci e la resa dolorosa. La statua, usata per le processioni, si data al 1700 ed è ritenuta di scuola berniniana.
Le origini della chiesa
La chiesa però è molto più antica e sull’identità di Marcello ci sono diverse ipotesi, tra le quali quella basata sul Liber Pontificalis e la Passio Marcelli del V secolo che ricordano il titulus di papa Marcello (308-309), morto di fatica nelle stalle del catabulum, stazione postale, sulla via Lata, nome più antico di via del Corso, che sorgeva qui. Le ossa del martire sono conservate sotto l’altare maggiore.
La prima menzione della chiesa appare invece nel 418 in una lettera di Simmaco sull’elezione del nuovo papa Bonifacio I, avvenuta proprio a San Marcello.
Nel XII secolo ci fu una prima ricostruzione con l’ingresso a est preceduto da un portico. Nel 1368 la chiesa fu affidata all’Ordine dei Servi di Maria che ancora oggi la officiano.
L’immagine di Maria
E al Trecento risale l’immagine di Maria con il Bambino, situata nella sua cappella, affiancata da quadri con episodi della vita della Vergine, dipinti da Francesco Salviati nel 1563.