Giornalisti del Mediterraneo, a Otranto protagoniste le periferie

Vatican News

Nella penultima serata della 16.ma edizione del Festival è intervenuto anche l’arcivescovo della diocesi pugliese che ha citato, tra gli altri, Victor Hugo e don Pino Puglisi. Ampio spazio è stato dedicato dai relatori alle discriminazioni di genere, problema culturale, sociale e giuridico

Andrea De Angelis – Otranto 

“Il perdono è il rifiuto della violenza, è dire no alla violenza”. L’arcivescovo di Otranto, monsignor Francesco Neri, lo afferma intervenendo al Festival Giornalisti del Mediterraneo, in corso ad Otranto. Nella giornata di ieri, venerdì 6 settembre, si è parlato di periferie, violenza di genere ed intelligenza artificiale.

L’esempio di don Pino Puglisi

“Sono una decina i libri a cui sono affezionato e che rileggo spesso”, ha rivelato l’arcivescovo dal palco di Largo Porta Alfonsina, citando in particolare “I miserabili” di Victor Hugo. “Tutti i mali – scriveva l’autore – nascono dalla miseria e dall’ignoranza, e voglio citare il beato don Pino Puglisi, che aveva strappato tanti ragazzi alla mafia. Don Pino considerò un grande successo quando uno dei figli dei boss che erano nella sua opera inizio a dire per favore. Si poteva farlo senza essere considerati dei deboli. Sono tre le parole della cortesia che ci indica Papa Francesco: permesso, grazie e scusi”. Parole che possono mutare il volto anche delle periferie, protagoniste del panel dal titolo “Periferie: i cattivi ragazzi esistono?”, moderato da Francesca Ambrosini, giornalista di TgCom 24.

Il ruolo del giornalista 

Tra i relatori anche l’inviata del Tg5 Gabriella Simoni, che ha presentato il podcast “Cocaina e Babà” e ancora il lavoro fatto con la Comunità kairos di Milano di don Claudio Burgio. “Con il mio lavoro non voglio giustificare chi ha sbagliato, ma sicuramente – ha detto Simoni – voglio spiegare. Capire è importante. Se affronti queste storie senza pregiudizio capisci che potevano succedere anche a te. Altre no, certo, ma questo – ha sottolineato – non impedisce di metterti nei panni degli altri. Non vuol dire che sono tutti sicuramente buoni, ma è un dovere sociale di tutti, di noi giornalisti raccontare storie. Io da trent’anni racconto le guerre, ma se non capissi che le storie le ho a 10 mila chilometri come ad un chilometro di distanza, non sarei – ha concluso – una giornalista, ma una protagonista”.

Discriminazioni a lavoro e in famiglia

“Discriminazioni e violenza di genere. Emergenza sociale, il ruolo delle istituzioni” è il titolo del primo panel della serata, moderato dal giornalista Ansa Patrizio Nissirio, che ha visto tra le protagoniste la consigliera nazionale di parità Filomena D’Antini. “Il mio lavoro – ha spiegato – consiste nel rilevare le discriminazioni di genere sul lavoro. È un fenomeno culturale che va contrastato in modo esaustivo, iniziando dalle azioni di controllo. I numeri sono gravi, penso ad esempio al 13,5% di molestie sessuali sul lavoro, un dato in aumento”. La corrispondente Rai da Bruxelles, Marilù Lucrezio, ha ricordato come quest’anno il Parlamento Europeo per la prima volta “ha approvato una direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne. Si parla della lotta ad ogni tipo di violenza: domestica, informatica ed ancora la prevenzione ed una maggiore assistenza alle vittime”.

Una questione culturale e giuridica 

Il sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Salvatore Cosentino, ha evidenziato come “fino al 1975 il codice civile indicava il marito come capofamiglia e il dovere della moglie di seguirlo nella casa da lui scelta. Nel penale la donna che commette adulterio era punita – ha aggiunto – da uno a due anni, questo fino al 1968. Anche nel diritto dunque vediamo una discriminazione di genere. In Italia fino al 1996 la violenza sessuale era un delitto contro la moralità e il buon costume, non contro la vita e la salute! Questo – ha concluso – fino a 28 anni fa”. Infine la psicologa e psicoterapeuta Tiziana Micello ha posto l’attenzione sulla genesi della discriminazione di genere, “legata alle differenze fisiche, alla forza dell’uomo che dominava l’organizzazione della società. Dopo la rivoluzione industriale, con l’avvento delle macchine la differenza fisica non è stata più centrale, fino ai giorni nostri dove la donna ha ruoli inimmaginabili fino a poco tempo fa. Culturalmente, purtroppo, paghiamo ancora – ha affermato – il prezzo di una storia che si riflette, ad esempio, anche nel linguaggio”.