Dal tunnel della guerra a quello della fraternità

Vatican News

ANDREA TORNIELLI

Ci sono i tunnel della guerra e del terrore, quelli che servono a nascondere soldati, miliziani e ostaggi. E ci sono tunnel creati per unire nell’amicizia persone di fedi diverse. A Giakarta la moschea Istiqlal, la più grande del sud-est asiatico, e la cattedrale cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione, sorgono una di fronte all’altra, vicine ma separate da una strada a tre corsie. Un vecchio sottopasso è stato restaurato, abbellito con opere d’arte e trasformato nel “tunnel della fraternità” per collegare il luogo di preghiera dei musulmani con quello dove i cristiani celebrano l’eucaristia. In un mondo in fiamme dove si combattono le guerre raccontate dai media e quelle dimenticate, dove violenza e odio sembrano prevalere, abbiamo bisogno di trovare percorsi di amicizia, di scommettere sul dialogo e sulla pace perché siamo “fratelli tutti”. È ciò che ci testimonia il Successore di Pietro costruttore di ponti. Francesco oggi s’imbarca sul volo diretto in Asia e in Oceania, per la trasferta più lunga del suo pontificato: dall’Indonesia – il più grande paese musulmano del globo – fino alla Papua Nuova Guinea, per poi tornare verso Timor Est e infine a Singapore. Un pellegrinaggio per essere vicino ai cristiani là dove sono “piccolo gregge”, come in Indonesia; o dove rappresentano la quasi totalità della popolazione, come a Timor Est. Un viaggio per incontrare tutti e riaffermare che non siamo condannati ai muri, alle barriere, all’odio e alla violenza, perché donne e uomini di fedi diverse, di etnie e culture diverse possono convivere, rispettarsi, collaborare.

Anche se programmata già quattro anni fa e poi rimandato a causa della pandemia, la visita in Asia e Oceania assume un significato profetico oggi. Il Vescovo di Roma, con lo stile del Santo d’Assisi di cui porta il nome, si presenta inerme, senza propositi di conquista o di proselitismo, desideroso soltanto di testimoniare la bellezza del Vangelo spingendosi fino a Vanimo, città di novemila anime affacciata sull’oceano Pacifico. È ciò che aveva mosso il suo predecessore Paolo VI, che il 29 novembre 1970, a bordo di un piccolo velivolo, aveva raggiunto Apia, nella Samoa indipendente per celebrare la messa in un piccolo e traballante altare a Leulumoega per poche centinaia di isolani. È ciò che ha mosso Giovanni Paolo II a visitare più volte quest’area del mondo, facendogli dire il 20 novembre 1986 a Singapore, a proposito della «vera essenza» dell’insegnamento di Gesù: «L’amore risponde generosamente alle necessità dei poveri, ed è contrassegnato dalla pietà per coloro che soffrono. L’amore è pronto a offrire ospitalità ed è fedele nei tempi difficili. Esso è sempre disposto a perdonare, a sperare e a ricambiare una bestemmia con una benedizione. “La carità non avrà mai fine” (1 Cor 13, 8). Il comandamento dell’amore è il fulcro del Vangelo».