Il tempo torna indietro, ma la lezione è estremamente attuale. Per un giorno si ha l’impressione di accedere ai ponteggi su cui hanno dipinto grandi maestri come Michelangelo o Raffaello. La scuola di affresco proposta da dieci anni dai Musei Vaticani ai propri stagisti è un’esperienza didattica unica: teorica, scientifica, ma anche pratica e sensoriale
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Una giornata intera, dalla mattina alla sera, alla scuola dei grandi “frescanti” del passato come Giotto, Beato Angelico, Masaccio, Michelangelo o Raffaello. È l’iniziativa che i Musei Vaticani riservano a tutti gli stagisti che nei vari ambiti trascorrono sei mesi del loro percorso formativo all’interno dei vari reparti delle collezioni pontificie. Si tratta di una vera e propria scuola di affresco, allestita in uno studio dei Laboratori di Restauro dei Musei del Papa.
Ad introdurre ai segreti di una tecnica antica e affascinante è Marco Innocenzi del prestigioso Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani coordinato da Francesca Persegati. La scuola di affresco, spiega a Vatican News, “è un modulo che è stato sperimentato già da tanti anni. Siamo al decimo anno di attività. L’insegnamento di questa tecnica rappresenta un’opportunità unica per questi studenti. In questo modo infatti, essi possono, attraverso l’esperienza diretta, conoscere il faticoso lavoro degli artisti del passato e apprendere e decifrare tutti quei ‘segni’ e quelle ‘tracce’ presenti sull’intonaco dipinto, che li aiuta nello studio degli antichi dipinti: la conoscenza della tecnica, è il mezzo indispensabile per rappresentare l’idea e l’immagine pittorica”.
Come si svolge la giornata di lavoro?
In una giornata tipo, dalle otto di mattina alle sei di sera, si sperimenta quella che era la giornata del pittore, che partiva la mattina nello stendere prima la malta e poi nel trasferire il disegno dal cartone alla superficie da affrescare attraverso lo spolvero. Fono all’esecuzione pittorica che richiede tempi molto veloci e serrati. Quello dell’affreschista era un lavoro veloce e faticoso.
Nel tramandare i segreti tecnici, svolgete di fatto anche una lezione di storia. L’affresco infatti ha origini molto antiche…
L’affresco è un’antica tecnica pittorica, usata fin dai tempi dei greci, e poi dagli Etruschi e dai Romani sui muri di palazzi, tombe e chiese, avendo sicuramente la sua massima espressione nel corso del Rinascimento. Questa tecnica, consiste nel dipingere prevalentemente con pigmenti naturali come ‘terre’ e colori minerali sciolti in acqua su un intonaco fresco, fino a quando questo non si sarà asciugato completamente. Per questo motivo, questi dipinti sono realizzati su porzioni di intonaco, chiamate ‘giornate’, che ogni giorno, o di volta in volta, il pittore doveva stendere sul muro, e dipingere fino a quando l’intonaco non si era asciugato. In questo modo, il pigmento si lega in modo duraturo allo strato di malta, attraverso un processo chimico chiamato ‘carbonatazione’. Tra i più celebri affreschi conosciuti, ad esempio, abbiamo quelli nella Cappella Sistina realizzati da Michelangelo, quelli di Raffaello negli Appartamenti di Papa Giulio II in Vaticano o ancora, quelli di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
I giovani tirocinanti si cimentano nella tecnica dell’affresco utilizzando gli strumenti di bottega, tipici dell’affresco fin dai tempi antichi…
Sì, nel contesto di una giornata tipica di un pittore del Cinquecento si utilizzano gli stessi strumenti. Si utilizzano appunto il fratazzo per levigare l’intonaco, poi la cazzuola e poi, come dicevo, i colori, tutti colori naturali. La maggior parte, il 90% dei colori che utilizziamo sono gli stessi che utilizzavano Michelangelo, o Raffaello, o altri pittori del Rinascimento. Si tratta di una pittura fatta di colori ricavati da materie prime grezze.
Da questo punto di vista non siamo di fronte ad una classica lezione di pittura: i colori non sono in tubetto, ma in polvere e sono gli stessi stagisti a doverli mescolare per ottenere il giusto impasto e la corretta gradazione. È così?
Proprio così. Il colore che usiamo non esce dal tubetto. Il colore è ricavato dalle terre che come nei tempi antichi vengono lavate, macinate poi rilavate. Sono le terre che si possono trovare in natura, in un campo: ossidi di ferro naturali. Riscopriamo l’importanza della materia: la calce, la pozzolana d’origine vulcanica, la sabbia di fiume. Tutti materiali estremamente poveri che il pittore riusciva a utilizzare nella maniera opportuna per poi creare un capolavoro.
L’affresco è una tecnica faticosa e veloce, perché?
Ogni affresco, come dicevammo, è composto da tante giornate, ovvero diverse porzioni di intonaco. Il pittore ogni giorno doveva porre una porzione di intonaco e dipingerla nello spazio di quella giornata evitando che il muro si asciugasse. Il nome di affresco deriva da qui. Il colore, il pigmento sciolto in acqua si fissa fin quando l’intonaco è fresco e quindi nell’arco della giornata. Questa è la difficoltà del “frescante”, così si chiamava il pittore di affresco.
In tempi dominati dal digitale e dai progressi dell’Intelligenza Artificiale cosa vuol dire riscoprire una tecnica antica dove la componente umana, artigianale è ancora indispensabile?
È interessante soffermarsi sul valore della manualità. È importante acquisire una sensibilità in grado di capire quanto debba essere morbida una malta, quanto debba essere densa. O di comprendere quando debba essere steso il colore. Bisogna fare i conti con il tempo che è poco e quindi occorre essere sintetici. Questa abilità di sintesi può portare a realizzare un lavoro con poche pennellate, ma veloci e sintetiche. È quella che in storia dell’arte si definisce “sprezzatura”. Con questa “sprezzatura” si riesce a realizzare un lavoro sintetico, in cui la bellezza non è data solo dall’aver riprodotto un oggetto simile alla realtà, ma dalla pennellata. Dalla velocità delle pennellate e dalla sintesi.
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Una giornata nella scuola di affresco ai Musei Vaticani