Il Papa riceve i partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica e riflette sul tema dei lavori, “La malattia e la sofferenza nella Bibbia”: dolori e infermità vanno toccati con mano non in teoria ma come Gesù, che non li “spiega” ma si “piega” verso chi ne è colpito
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
L’errore forse più istintivo davanti a una persona che soffre è quello di offrirle una parola che la faccia stare di colpo meglio. Quello forse più moderno è quello di ridurre la sua sofferenza a “un tabù di cui è meglio non parlare”, magari perché danneggia “quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare”. Per il Papa questa “non è certamente una soluzione” e lo afferma con chiarezza durante l’udienza ai partecipanti alla Pontificia Commissione Biblica, riuniti in plenaria per discutere di un tema esistenziale: “La malattia e la sofferenza nella Bibbia”.
Le due parole chiave
Sofferenza e malattia, afferma Francesco, “sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo”, cioè aiutando a viverle “in relazione”, evitando che l’istinto umano di ribellarvisi “si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione”. Nell’esperienza cristiana non di rado, sottolinea il Papa, il “setaccio della sofferenza”, per esempio quando uno vive una infermità, può far maturare una persona nel discernere “ciò che è essenziale da ciò che non lo è”. E due, sostiene Francesco, sono le “parole decisive” da tenere in conto: compassione e inclusione”.
Piegarsi, non spiegare
L’esempio come sempre viene da Cristo e in particolare dal suo modo di farsi prossimo a un ammalato o a chi era affetto da qualche male.
Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare.
“Il nostro grande perché”
Gesù cioè si commuove, non resta indifferente, tocca con mano per sollevare e guarire. La stessa Bibbia, dice il Papa, “è illuminante in questo senso: non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri e storie concrete, come quella di Giobbe. Cristo va oltre, quando sul Calvario si addossa tutto il male del mondo, l’esempio supremo di questa prossimità all’essere umano.
La risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione che assume e che, assumendo, salva l’uomo e ne trasfigura il dolore. Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore. Non ha dato risposte facili ai nostri “perché”, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande “perché”.
Dalla compassione all’inclusione il passo è diretto. Come Gesù che avvicina chiunque questo, indica Francesco, “porta ad atteggiamenti di condivisione”, come fa il Buon Samaritano.
Attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza.
Francesco conclude augurando un buon lavoro alla Pontificia Commissione Biblica e sottolineando che “la Parola di Dio è un antidoto potente nei riguardi di ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede” e che “letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la carità e ravviva lo zelo apostolico”.