Nella nazione mediorientale la situazione è drammatica dopo anni di guerra e l’ombra del terrorismo del sedicente Stato Islamico. La popolazione vive tra macerie e povertà, ignorata dalla comunità internazionale, mentre sempre più giovani emigrano. Vincent Gélot, responsabile regionale di L’Œuvre d’Orient: quello che sta succedendo è una macchia nera sulla nostra umanità; in questa terra dobbiamo ricostruire i cuori
Olivier Bonnel – Beirut
“Non dimentichiamo la Siria, un Paese che da molto tempo soffre tanto la guerra”: sono le parole di Papa Francesco al termine della preghiera dell’Angelus di domenica 17 marzo. Da quasi tredici anni la Siria continua a sprofondare nella povertà, ma anche nell’indifferenza della comunità internazionale. A partire dal 2011 e dalla Primavera Araba, il Paese ha vissuto la repressione da parte delle forze governative, una terribile guerra civile poi il terrorismo del Daesh sul suo territorio, a cui si è aggiunto il terribile terremoto del febbraio 2023. Il Paese, governato con il pugno di ferro dal presidente Bashar al-Assad, nel corso degli anni, è stato aspramente ostracizzato dalla comunità internazionale. Ma le sanzioni economiche contro Damasco, imposte dagli Stati occidentali, non hanno fatto altro che rafforzare la povertà nella nazione, che sta anche affrontando un massiccio esodo di giovani.
Un Paese devastato e distrutto
Oggi i siriani sono esausti e provano l’amara sensazione di essere stati dimenticati. È quanto spiega ai media vaticani Vincent Gélot, direttore de “L’Œuvre d’Orient Libano-Siria” – organismo che aiuta da più di 160 anni i cristiani dei Paesi mediorientali – di ritorno da una recente missione nel Paese. “La situazione in Siria – racconta – è assolutamente catastrofica e inaccettabile. Ci vado regolarmente da otto anni, e la realtà lì provoca un sentimento di tristezza, di ingiustizia e di rivolta, perché è un Paese devastato, materialmente distrutto. Attraversiamo intere metropoli ridotte al nulla: Raqqa, Deir Ezzor, Aleppo, Homs. È un Paese dove non c’è ricostruzione, anche se i combattimenti in alcune zone sono finiti dieci anni fa, come ad esempio a Homs. E la popolazione si trova in mezzo a un campo di rovine. Il 95% dei siriani oggi vive al di sotto della soglia di povertà. Gran parte della popolazione è rifugiata fuori dai confini della nazione, un’altra parte è sfollata all’interno. La Siria – ricorda Gélot – vive anche sotto le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e le persone sono governate da una dittatura. Vivono schiacciati da questo peso e sono completamente dimenticati dalle loro autorità e dalla comunità internazionale”.
La missione di L’Œuvre d’Orient
Il direttore di L’Œuvre d’Orient Libano-Siria riferisce che “in questo panorama, i cristiani, come altri, hanno sofferto a causa di questa guerra” e che “la minoranza cristiana – perché qui parliamo proprio di minoranza – si è ridotta a zero”, e ritiene “che il processo vitale della comunità cristiana sia in pericolo per i decenni a venire”, cosa che “preoccupa enormemente”. “Siamo feriti perché la Siria è la terra di San Paolo, è Damasco, è una terra di incarnazione. Anche perché – sostiene Gélot – i cristiani hanno un ruolo essenziale in questo Paese, anche per le altre comunità. E crediamo inoltre, anche se il loro numero è diminuito drasticamente, che oggi abbiano, paradossalmente, un ruolo ancora più importante da svolgere, un ruolo di apertura, un ruolo di ricostruzione, non solo materiale, ma pure nell’ambito della riconciliazione”. “Dobbiamo ricostruire i cuori dopo questa guerra fratricida che ha colpito la Siria. Lo vediamo concretamente, noi dell’Œuvre d’Orient, nei progetti che sosteniamo, sia negli interventi del JRS (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) in alcuni quartieri di Aleppo, che hanno permesso, non solo di fornire aiuti umanitari forniti, ma anche di ricreare ponti tra persone che si trovavano su entrambi i lati della linea del fronte. Lo vediamo anche nel lavoro delle piccole suore dei Sacri Cuori impegnate nei quartieri della Ghouta Est, a Damasco, quartieri pure molto danneggiati dalla guerra, dove si stanno facendo cose magnifiche. Ammiro davvero tutti i giovani siriani cresciuti durante la guerra in condizioni spaventose”.
Oggi dobbiamo cambiare lo sguardo nei confronti della Siria e dei siriani?
Penso che in questa storia abbiamo dimenticato la popolazione. Abbiamo pensato molto alla politica, al governo e non alle persone che sono in mezzo a tutto questo e che soffrono questa situazione. Per quanto riguarda le sanzioni internazionali, chiediamo – e non siamo gli unici – che venga rivalutata la rilevanza delle sanzioni contro la Siria. Perché vediamo chiaramente che queste sanzioni, anche se ci viene detto che sono mirate, hanno un impatto indiretto sulla popolazione. In ogni città della Siria si vede carenza di pane, gas, olio combustibile; le persone sono costrette a fare la fila per accedere a questi beni. Anche se la causa di questa povertà non deriva solo dalle sanzioni, vediamo chiaramente che la storia recente dimostra che le sanzioni contro i Paesi non funzionano: lo abbiamo visto con Cuba, lo abbiamo visto con l’Iraq sotto Saddam Hussein, lo abbiamo visto con l’Iran, non funziona e danneggia le popolazioni. Vediamo anche che la Siria, per ragioni politiche, è volontariamente esclusa dagli aiuti umanitari e dalla ricostruzione. La maggior parte delle Nazioni non vuole sentir parlare di ricostruzione o di sviluppo della Siria, il che è assolutamente inaccettabile e ingiusto per la popolazione. Recentemente abbiamo visto i fondi stanziati in occasione del terremoto che ha colpito la Turchia ma anche la Siria. Abbiamo visto “doppi standard” per ragioni puramente politiche. Una persona vulnerabile dal punto di vista umanitario, sia che si trovi da una parte o dall’altra del confine, è la stessa persona. Il silenzio che è calato intorno alla Siria è inaccettabile, quello che sta succedendo è una vera macchia nera sulla nostra umanità, sulla nostra storia.
Cosa vi dicono degli occidentali i siriani, cristiani e non, che incontrate?
I cristiani di Siria, ma anche i siriani in generale, provano un enorme sentimento di abbandono e di oblio. E la cosa terribile è che oggi i loro sguardi sono rivolti verso l’esterno. Vediamo che non hanno luce alla fine della strada. Non hanno nulla: non possono attaccarsi al loro Stato, né ad alcun partito politico. Certamente hanno la Chiesa, ma gli anni di guerre che hanno colpito il Vicino e Medio Oriente dall’inizio della Primavera Araba hanno destabilizzato le Chiese orientali locali. C’è una mancanza di visione anche tra queste Chiese, loro stesse non sanno più cosa fare per trattenere tutti questi giovani in partenza, né cosa offrire loro. Ecco perché noi dell’Œuvre d’Orient ci battiamo perché siano ripensati, in un certo senso, il ruolo e la missione di queste comunità cristiane in Medio Oriente, che sono state scombussolate dopo l’ultima esortazione apostolica di Benedetto XVI sul Medio Oriente”.