All’udienza ai partecipanti alla seconda edizione della “Cattedra dell’accoglienza” erano presenti anche don Francesco Pirrera, cappellano della casa circondariale di Trapani e della casa di reclusione di Favignana, in Sicilia, con due detenuti. Uno di loro, Mirko, ha raggiunto il Vaticano grazie a un permesso premio e ha ricevuto l’abbraccio del Pontefice: “Un’esperienza da brivido”
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Il viaggio interminabile dalla Sicilia e l’attesa snervante evaporano all’improvviso in quell’abbraccio e quella carezza particolare che Papa Francesco riserva sempre agli ultimi. E non ci sono ultimi più ultimi dei detenuti: oggi ce n’erano due, accompagnati da don Francesco Pirrera, già parroco di Valderice, da quattro anni cappellano di due istituti di pena siciliani – la casa circondariale di Trapani e la casa di reclusione di Favignana – all’udienza in Sala Clementina con i partecipanti alla seconda edizione della “Cattedra dell’accoglienza”, che si chiude oggi a Sacrofano (Roma).
La testimonianza di Mirko: davanti al Papa ho avuto i brividi
Mirko è un detenuto a Favignana, ha già scontato dieci anni e prima di uscire ne passeranno altri quattro. Per lui don Francesco è un padre, e infatti lo chiama così: padre. “La prima volta che sono uscito dal carcere dal 2013 è stato lo scorso 29 agosto e posso dire solo grazie a padre Francesco”, afferma a Vatican News, “spero che quest’estate potrò andare in affidamento da lui. Per me questa qua è una nuova famiglia, una ripartenza, una nuova vita”. E un nuovo progetto di vita, infatti, Mirko ce l’ha: “Sono arrivato solo al terzo anno del liceo artistico, ora il mio obiettivo è prendere finalmente il diploma con un istituto serale e di giorno iniziare a lavorare”.
E proprio questo progetto di vita concreto gli ha dato la forza di chiedere oggi al Pontefice di essere assolto dai suoi peccati: “Una cosa da brividi proprio pazzesca”. Si emoziona, Mirko, e sente particolarmente vicino il messaggio che ha lanciato Papa Francesco all’udienza a cui ha partecipato grazie a un permesso premio, della reazione chimica tra la vulnerabilità e l’accoglienza: “Un messaggio veramente importante, soprattutto per me e per tutti i detenuti. Parlando di vulnerabilità parliamo di debolezza e in carcere ce n’è tanta: ci sono i suicidi, c’è chi fa uso di psicofarmaci… Siamo considerati lo scarto della società insomma”. Uno scarto che i due Francesco, il Papa e il “padre”, hanno accolto con amore: “Posso dire che Dio c’è e che nella vita si può cambiare”, conclude Mirko. E sorride.
Un cuore aperto e una casa accogliente
Don Francesco Pirrera la chiamata a servire in carcere ce l’ha nel sangue da tutta la vita, perciò non ha esitato un attimo a rispondere sì al suo vescovo alla chiamata a diventare cappellano, ma non gli bastava vedere i suoi ragazzi ogni giorno. Ha capito subito che avevano bisogno di qualcosa di più che del conforto e dell’ascolto, che pur non nega mai: “Ho fatto in modo di creare in canonica più spazio possibile – racconta –, ho eliminato tutto quello che era superfluo e riempito lo spazio con i letti per accogliere persone a cui sono state concesse le misure alternative al carcere, in permesso premio o agli arresti domiciliari. Anche per essere qui oggi dobbiamo ringraziare i magistrati e la polizia penitenziaria per la loro fiducia”.
Pirrera ha iniziato quasi per caso questa esperienza forte di accoglienza, quando un giovane uscito dal carcere si è presentato alla sua porta perché non sapeva dove andare; oggi è un punto di riferimento per la comunità e anche per i detenuti. Due di loro lo hanno accompagnato a Roma per l’udienza con il Papa: “I ragazzi sono stato molto toccati dall’idea di essere ricevuti dal Papa – continua – i loro cuori hanno palpitato per tutto il tempo e alla fine uno di loro ha avuto il coraggio di chiedere al Santo Padre di essere assolto dai proprio peccati”. Una soddisfazione e una commozione uniche per chi ogni giorno si prende cura di loro materialmente e spiritualmente: “Bisogna dare speranza, fiducia – è il suo modo di intendere la missione del cappellano – ma anche metterli in condizione che una volta fuori possano trovare un lavoro. È quello che ho più a cuore per questi fratelli: che non tornino delinquere”.