Dopo un primo collegamento dalla Stazione Spaziale Internazionale in movimento intorno alla Terra il 29 gennaio, una visita “in carne ed ossa” per incontrare i bimbi in cura nell’Ospedale pediatrico di Roma. Protagonista dell’iniziativa è il colonnello dell’Aeronautica militare italiana che ha dialogato con i piccoli pazienti incoraggiandoli a coltivare i propri sogni
Adriana Masotti – Città del Vaticano
La ludoteca piena di disegni e di colori dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è affollata di bambine e bambini, con mamme e papà e personale medico, in attesa dell’arrivo di un uomo che suscita curiosità e meraviglia perchè ha sperimentato com’è viaggiare nello spazio. È il colonnello dell’Aeronautica militare italiana Walter Villadei, rientrato da poco sulla Terra dopo aver vissuto 18 giorni in orbita a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) impegnata nella missione Axiom3 Voluntas. Nell’attesa, si preparano le domande che solo i piccoli, aiutati da chi li segue e li conosce bene, possono fare: come passi la giornata in orbita? Hai mai visto gli alieni? Lo spazio è grande o piccolo? Qual è stato per te il momento di maggiore felicità nello spazio? E poi ancora: come si fa pipì nella navicella? Come pensi che si possa aiutare il pianeta Terra? Di cosa senti la mancanza quando sei in orbita, perché tutti noi sentiamo la mancanza di qualcosa, ad esempio quando siamo in ospedale ci manca la casa… E infine la domanda più naturale: come si fa a diventare astronauti?
Una promessa mantenuta
“Sono emozionato e contentissimo di essere qui e di rispondere a qualche vostra domanda, a condividere un po’ di tempo con voi”, dice Villadei appena arrivato nella saletta, “questa volta non fluttuo, questa volta sono qui in carne e ossa”. Il riferimento è al collegamento che c’era stato a fine gennaio dall’orbita tra l’astronauta e i piccoli pazienti. Villadei aveva promesso un incontro più “concreto” appena sarebbe rientrato dalla missione. Promessa mantenuta, dunque. Inizia lo scambio di domande e risposte: “Per diventare astronauti – dice Villadei – bisogna prima di tutto andare a scuola e studiare con tanta passione, ma – chiede a sua volta – perché vuoi fare l’astronauta? E dove inizia secondo te lo spazio? Io ho volato a 430 km dalla Terra, non è poi così lontano!”. Poi, sollecitato, dichiara: “Confermo che la terra è rotonda ed è anche sferica. Abbiamo volato a 28 mila km orari e ogni 45 minuti assistevamo ad una nuova alba”. La domanda sulla pipì in orbita, serve a Villadei per insegnare ai piccoli una cosa importante. Dice: “C’è un tubo da utilizzare ma devi essere bravo a centrarlo. Poi però sapete che cosa facciamo? Noi la ricicliamo e diventa acqua distillata che viene utilizzata anche per bere”.
In orbita si riesce a dormire, quasi come a casa
Un bambino chiede all’astronauta che cosa gli fa più paura quando è in volo. “È così bello lassù che non si ha paura – è la risposta – . Ho avuto l’impressione che il cielo fosse più grande e così le stelle e la Terra azzurra, in volo cose che fanno paura non ci sono. Però bisogna prepararsi ed essere addestrati nel caso succedesse qualcosa”. Una bambina vuol sapere come si fa a dormire nello spazio: “È un aspetto che mi preoccupava – confessa Villadei -, perchè non è come essere a casa. Si fluttua e c’è la luce che ogni 45 minuti irrompe. Noi ci mettiamo in un sacco a pelo, come in campeggio, però poi lo leghiamo con delle corde e ho sperimentato che rilassandosi si ha la sensazione di essere nel proprio letto e ci si addormenta, dormiamo circa 8 ore al giorno perché dobbiamo essere riposati”. La cosa più sorprendente? “Vedere i lampi dei temporali nell’atmosfera”. Il momento più emozionante? “I pochi secondi di vibrazione della navicella che precedono il distacco dalla Terra, perché lo vivi per la prima volta e così il ritorno, l’ammaraggio al largo della costa della Florida.
I doni e la visita ai bimbi in reparto
Esaurite le domande c’è la consegna di alcuni regali ai bambini presenti, le foto, le strette di mano emozionate, ma la visita del colonnello prosegue spostandosi nel reparto di reumatologia dove lo attendono nelle proprie stanze altri bambine e bambini che sono ansiosi di conoscerlo. Per ciascuno c’è in dono un cappellino dell’Aeronautica militare, ma soprattutto la gioia di un saluto personale dove i piccoli esprimono i loro pensieri per il futuro e ricevono l’incoraggiamento a impegnarsi per realizzarli. A Vatican News – Radio Vaticana, Walter Villadei racconta anche la sua emozione e il motivo per cui stamattina è arrivato proprio al Bambino Gesù:
Colonnello Villadei, ovviamente le domande più belle sono quelle dei bambini quindi non gliele ripropongo, però le chiedo perché ha voluto essere qui oggi. Lei aveva fatto una promessa il 29 gennaio, quando c’era stato un collegamento dall’orbita, e quindi ha voluto venire di persona. Perché questa attenzione per i bambini ricoverati in questo ospedale?
Per tanti motivi. Innanzitutto perché mi sono collegato dallo spazio con loro, ma senza vederli e quindi volevo vedere la sorpresa, la gioia nei loro occhi. Sono bambini piccoli e meno piccoli che attraversano un momento di difficoltà e quindi testimoniare e portare loro un po’ di sorpresa, un po’ di gioia vedendo un astronauta, è una cosa a cui tenevo particolarmente. E poi credo che anche lo spazio e la ricerca spaziale possano portare magari dei piccoli benefici, spingendo la ricerca e l’innovazione anche a questi piccoli pazienti in questo momento meno fortunati. Quindi, per me era importante passare qui prima di proseguire il mio giro post missione.
Più volte parlando con i bambini, lei ha chiesto: “Che cosa vuoi fare da grande?”. E si è sentito rispondere: l’ingegnere spaziale, l’astronauta, l’architetto spaziale… Tanti sogni, che è bello coltivare…
Certo, è fondamentale. I sogni nascono a questa età. Anche per me è stato così. La passione per lo spazio, l’idea di diventare astronauta, la passione per gli aeroplani sono nate quando ero un bambino e quindi riuscire a far concentrare questi bimbi su quelli che sono i loro desideri e trasmettere loro la sicurezza che questi sogni non sono dei sogni impossibili ma delle reali opportunità, è una cosa estremamente importante a cui noi adulti, le scuole, tutti dobbiamo mettere la massima attenzione.
Raccontando le sue impressioni dallo spazio, ha detto che la Terra è bellissima e qualcuno voleva sapere che cosa si può fare per il nostro pianeta. Forse parlare come fa lei dello spazio vuol dire anche fare amare di più la Terra?
La Terra vista dallo spazio è straordinaria, ma dico che anche la Terra vista dalla Terra è straordinaria: abbiamo dei posti bellissimi. Oggi siamo in un posto straordinario, stupendo come Roma, quindi raccontare un pochino anche dell’esperienza fatta, raccontare anche di come effettivamente la Terra sembri più piccola dallo spazio è sicuramente importante, ma è soprattutto importante usare il tempo trascorso nello spazio per cercare di migliorare la qualità della vita sulla Terra, facendo esperimenti, mettendo insieme la comunità scientifica e anche, perché no, parlando con questi bambini e trasmettendo loro l’entusiasmo e la passione per diventare un giorno futuri scienziati, futuri e future astronauti. Saranno loro che magari domani aiuteranno a preservare e a migliorare la vita sulla Terra.
Quali sono i suoi programmi nel prossimo futuro, che cosa l’attende?
Innanzitutto nelle prossime settimane tornerò a Houston per parlare il linguaggio operativo dopo la missione, e quindi raccontarci quello che abbiamo fatto e analizzare tutti gli aspetti. Poi inizieranno alcuni mesi in cui continueremo a raccontare alle scuole, ai ragazzi e alle ragazze, quello che abbiamo fatto durante la missione per continuare a stimolarli. E infine, come astronauta, chiaramente mi impegnerò a rimanere anche in addestramento per esser pronto alle future attività di supporto all’Aeronautica e all’Italia.