La delicata missione di una piccola Ong italiana a supporto delle donne di Kabul. La ricerca di un compromesso possibile con le autorità che permetta alla popolazione femminile del Paese di sentirsi meno sola
Lucas Duran – Città del Vaticano
“Sì, i turisti hanno cominciato a tornare in Afghanistan, anche italiani”. Risponde così alla nostra domanda Susanna Fioretti, nella sua intervista rilasciata ai media vaticani, su quanto emerge da recenti articoli e reportage apparsi di recente sulla stampa internazionale. La presidente di Nove Caring Humans, Ong fondata nel 2012 e impegnata in progetti di sostegno e di formazione per le donne afghane, è rientrata da poco dalla sua ultima missione nel Paese asiatico.
“La rinnovata presenza di turisti – spiega Fioretti – non dovrebbe in realtà stupire più di tanto. Da quando sono tornati al potere, nell’agosto 2021, i talebani hanno imposto un rigido regime autoritario. Come spesso accade in questi casi, accanto ai tanti limiti alle libertà individuali, vi sono anche aspetti di stabilizzazione. Tra questi vi è senz’altro quello della sicurezza e quindi della mobilità, elementi che permettono di spostarsi tra le differenti regioni e province in modo meno o per nulla rischioso”.
Nell’ombra, spiragli di luce
Susanna Fioretti conosce molto bene l’Afghanistan, Paese nel quale ha ricoperto molteplici incarichi legati alla cooperazione internazionale prima di fondare Nove e tiene a precisare che “il turismo di cui parliamo non è certo quello che permette di tornare a casa con la testimonianza di un effettivo progresso sociale. L’Afghanistan è un Paese in cui si può andare come turisti in modo più sicuro di prima, ma dove la situazione generale purtroppo non è certo migliorata”.
“La sharia – sottolinea la presidente di Nove – pur non essendo mai stata abolita, viene però ora applicata in modo rigoroso. Ciò si traduce in pene molto severe per chiunque compia reati come furti e rapimenti”.
Ad essere bandito risulta anche il mendicare per strada. I bambini che lo facevano, come pure quelli che vendevano gomme da masticare e bottiglie d’acqua minerale per strada, non si vedono più. “Se lo si osserva dal punto di vista di lotta al lavoro minorile se ne potrebbe trarre un giudizio positivo”, precisa Fioretti. “Il problema è che aldilà dell’aspetto punitivo, le condizioni di povertà che obbligavano quei bambini a mendicare restano le stesse, se non peggiorate. È quindi legittimo interrogarsi sulla fine che quei bambini fanno in caso di arresto”.
La condizione delle donne
“Noi di Nove – prosegue Susanna Fioretti – siamo preoccupati in modo particolare per quelle famiglie dove manca una figura maschile di riferimento”. Le donne in Afganistan restano in gran parte analfabete e le norme in vigore ne condizionano pesantemente – e spesso negano del tutto – ogni possibilità di spostamento autonomo. Con le conseguenze immaginabili a livello di sostentamento e di pura sopravvivenza per quel tipo di nuclei familiari.
“Nel corso della mia ultima missione – racconta ancora la presidente – ho visitato la casa di una giovane donna che versava nell’acqua bollente dei pezzetti di carta. Mi ha detto che così almeno i suoi bambini avevano l’impressione di mettere qualcosa nello stomaco e cessavano di piangere”.
La ong Nove fin dalla sua fondazione ha come principale obiettivo quello di sostenere le donne e nel farlo ha impostato progetti innovativi, che ponessero le basi per un’effettiva emancipazione femminile nel Paese. Uno dei fiori all’occhiello, premiato in passato anche a livello internazionale, è il Pink shuttle, vale a dire una navetta-taxi, guidata da donne per donne, garantendo così sicurezza e mobilità a chi ne usufruisce. Un progetto collegato a corsi di guida per donne. Attività, queste, che al momento Nove ha dovuto sospendere. Eppure la presenza sul terreno a fianco delle donne prosegue, anche se non senza difficoltà e impedimenti.
“Alle ragazze – ci ricorda Susanna Fioretti – è permesso di andare a scuola non oltre la sesta classe, l’equivalente della nostra prima media. Non deve quindi stupire che vi sia un altissimo tasso di casi di depressione tra le più giovani. Immaginate una ragazza che all’età di 14 o 15 anni improvvisamente non può più andare a scuola, incontrarsi con le proprie compagne, non può fare sport, né una semplice passeggiata. Una vera e propria negazione di futuro. Non a caso l’Afghanistan viene spesso citato come il Paese più duro al mondo in cui vivere per una donna”.
La difficile, ma non impossibile ricerca di un compromesso
Anche per questo Nove continua a cercare il dialogo con le autorità, per garantire il massimo possibile di presenza e di sostegno alle donne. In tale quadro sono stati attivati o sono in fase di attivazione programmi di educazione alternativa, accanto a quelli più specificamente diretti a fornire aiuti di emergenza a centinaia di donne capofamiglia. Attraverso il progetto Dignity, la ong assiste inoltre le donne afghane in condizione di miseria per le spese di cibo, affitto, cure mediche e altre spese di sussistenza.
O ancora il progetto ribattezzato Bread for families, con l’obiettivo di ristrutturare panetterie dove lavorano donne e che producono pane per famiglie in difficoltà, per lo più composte da sole donne. “Del resto – sottolinea la presidente della ong – i talebani non solo permettono, ma incoraggiano la presenza di donne e la loro formazione nelle attività considerate tradizionali, ad esempio il commercio di prodotti agroalimentari e l’artigianato”.
Secondo Fioretti, “non sono poche le contraddizioni all’interno del sistema stesso. Se è vero che in molti ministeri la presenza femminile è stata di fatto azzerata, in alcuni le donne proseguono a lavorare. E così nelle banche, come anche in aeroporto dove mi sono imbattuta in varie addette alla sicurezza, perfino a volto scoperto. Allo stesso tempo le donne che in strada non risultino coperte da capo a piedi rischiano l’arresto”.
Interrogativi e speranze
Ufficialmente le nuove norme imposte dai talebani vietano alle Organizzazioni non governative di assumere staff femminile e d’impiegarlo negli uffici o sul terreno. Ascoltando le parole di Susanna Fioretti viene da domandarsi quindi come sia possibile supportare le famiglie più fragili laddove ad un uomo estraneo non è di fatto consentito di entrare e valutare le condizioni di sussistenza di un nucleo familiare al femminile e al contempo non si consente di far assumere donne per farlo.
Un interrogativo di fronte al quale, nonostante tutto, Susanna Fioretti non si perde d’animo. “Occorre muoversi con estrema diplomazia e al contempo pragmatismo. Una via è quella di dialogare con il Consiglio degli Anziani, presente in ogni quartiere e in generale più sensibile alla realtà specifica di riferimento. Si tratta di strutture sociali radicate sul territorio che, comprendendo le ragioni ultime della nostra missione, ci aiutano a trovare una strada possibile di compromesso a beneficio delle donne più bisognose e delle loro famiglie”.
Il sostegno a persone con disabilità
A conclusione della conversazione, Fioretti accenna un sorriso, pensando a due aspetti tra quelli più belli e dinamici in cui Nove è impegnata. “Ci occupiamo anche di persone con disabilità. Con l’iniziativa La Forza dello Sport continuiamo a sostenere le squadre afghane di pallacanestro in carrozzina – quelle maschili, perché le femminili non possono più giocare pubblicamente – e collaboriamo al programma d’inclusione sociale del Comitato Internazionale della Croce Rossa”.
Il sorriso della presidente diventa ancora più ampio quando si riferisce alle bambine e ai bambini più piccoli. “All’avvento del nuovo regime sono stati chiusi vari orfanotrofi femminili pubblici, ma ora i talebani ci hanno fatto sapere che ne vogliono uno in ogni provincia e hanno chiesto supporto a Nove per aprire quello di Kapisa, provincia a nord-est di Kabul, dove già sosteniamo l’orfanotrofio maschile”.