Nel messaggio per il 2024 il Papa riconosce che l’umanità di oggi ha raggiunto “livelli di sviluppo scientifico, tecnico, culturale, giuridico in grado di garantire a tutti la dignità”, ma il rischio è che senza rivedere gli stili di vita si ceda alla “schiavitù” di pratiche che rovinano il pianeta e alimentano le disuguaglianze
Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Ripensare insieme gli stili di vita” per rendere migliore la parte di mondo che abitiamo ed evitare che rimanga in noi quella “inspiegabile nostalgia della schiavitù”, ovvero una condizione che viene dal cedere a modelli di vita e di crescita che dividono, escludono, rubano futuro. Sono alcuni dei concetti che attraversano il Messaggio del Papa per la Quaresima di quest’anno intitolato “Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà”. Come Israele guidato da Mosè, nel deserto rimpiangeva l’Egitto, così “anche oggi il popolo di Dio” e le nostre società mantengono “dei legami oppressivi” che aspettano di essere recisi. “A differenza del Faraone – scrive ancora Francesco – Dio non vuole sudditi, ma figli”, ma la libertà è “una chiamata vigorosa” e matura nel tempo.
Quaresima come tempo di grazia
Un segnale del perdurare della schiavitù in noi è, per il Papa, la diffusa mancanza di speranza, il vagare “senza una terra promessa verso cui tendere insieme”. Il tempo forte della Quaresima ci offre un’occasione per iniziare un cammino di libertà. E’ “il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere – come annuncia il profeta Osea – il luogo del primo amore. Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita”.
Vedere la realtà
Il primo passo da compiere per rendere concreto il cammino quaresimale, scrive il Papa, è voler “vedere la realtà”. Così come fa Dio che a Mosè dice: “Ho osservato la miseria del mio popolo (…), ho udito il suo grido”. “Anche oggi – prosegue Francesco – il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Se abbiamo ceduto all’indifferenza, dobbiamo confessare che “ancora oggi siamo sotto il dominio del Faraone”.
È un dominio che ci rende esausti e insensibili. È un modello di crescita che ci divide e ci ruba il futuro. La terra, l’aria e l’acqua ne sono inquinate, ma anche le anime ne vengono contaminate. Infatti, sebbene col battesimo la nostra liberazione sia iniziata, rimane in noi una inspiegabile nostalgia della schiavitù. È come un’attrazione verso la sicurezza delle cose già viste, a discapito della libertà.
Un dominio che spegne la capacità di sognare
Il Papa osserva che il dominio che ci opprime spegne perfino il desiderio di un cambiamento del mondo in cui viviamo. C’è un deficit di speranza, oggi che va denunciato, afferma, un “impedimento a sognare”, “Un grido muto” che arriva a Dio.
Somiglia a quella nostalgia della schiavitù che paralizza Israele nel deserto, impedendogli di avanzare. L’esodo può interrompersi: non si spiegherebbe altrimenti come mai un’umanità giunta alla soglia della fraternità universale e a livelli di sviluppo scientifico, tecnico, culturale, giuridico in grado di garantire a tutti la dignità brancoli nel buio delle diseguaglianze e dei conflitti.
Se questa è la realtà, l’altra certezza è che “Dio non si è stancato di noi” e vuol ancora condurci alla libertà. “A differenza del Faraone, Dio non vuole sudditi, ma figli”, sottolinea Francesco, e la Quaresima “è tempo di conversione, tempo di libertà”, in cui maturare una personale decisione di non ricadere più schiavi.
Gli idoli del potere, del denaro e dell’io che paralizzano
A questo punto del testo, Papa Francesco descrive un altro laccio che ci tiene legati: si tratta degli idoli che, scrive, potremmo considerare come la voce del Faraone in noi, che ci seduce spingendoci a coltivare una vita basata sul “potere tutto, essere riconosciuti da tutti, avere la meglio su tutti”. Il Papa osserva:
È una vecchia strada. Possiamo attaccarci così al denaro, a certi progetti, idee, obiettivi, alla nostra posizione, a una tradizione, persino ad alcune persone. Invece di muoverci, ci paralizzeranno. Invece di farci incontrare, ci contrapporranno. Esiste però una nuova umanità, il popolo dei piccoli e degli umili che non hanno ceduto al fascino della menzogna.
Fermarsi davanti a Dio e al fratello
La Quaresima, scrive ancora il Papa nel messaggio, ci chiede di fermarci: fermarci in preghiera alla presenza di Dio e fermarci, come il Samaritano, alla presenza del fratello ferito. Preghiera, elemosina e digiuno, sono tre espressioni dello stesso “movimento di apertura e di svuotamento” di sé a cui il tempo quaresimale ci invita. Davanti a Dio ci riscopriamo tutti fratelli e sorelle, “invece di minacce e di nemici troviamo compagne e compagni di viaggio. È questo il sogno di Dio, la terra promessa verso cui tendiamo, quando usciamo dalla schiavitù”.
Ripensare insieme gli stili di vita
All’interno del percorso sinodale che la Chiesa sta percorrendo, la Quaresima, fa notare ancora Papa Francesco, è anche un “tempo di decisioni comunitarie”, che incidano sul luogo che abitiamo attraverso piccole e grandi scelte. E offre alcune indicazioni concrete:
Le abitudini negli acquisti, la cura del creato, l’inclusione di chi non è visto o è disprezzato. Invito ogni comunità cristiana a fare questo: offrire ai propri fedeli momenti in cui ripensare gli stili di vita; darsi il tempo per verificare la propria presenza nel territorio e il contributo a renderlo migliore.
Il tempo di Quaresima, raccomanda il Papa, sia il tempo della gioia sui volti e del manifestarsi di quell’amore “che fa nuove tutte le cose”.
Cercare e rischiare per dare speranza all’umantà
Infine, il Papa affida alle comunità cristiane una grande responsabilità scrivendo che “nella misura in cui questa Quaresima sarà di conversione, allora, l’umanità smarrita” vedrà “il balenare di una nuova speranza”. E conclude invitando al coraggio:
Vorrei dirvi, come ai giovani che ho incontrato a Lisbona la scorsa estate: “Cercate e rischiate, cercate e rischiate. In questo frangente storico le sfide sono enormi, gemiti dolorosi. Stiamo vedendo una terza guerra mondiale a pezzi. Ma abbracciamo il rischio di pensare che non siamo in un’agonia, bensì in un parto; non alla fine, ma all’inizio di un grande spettacolo”.