Franco Vaccari, fondatore dell’organizzazione impegnata nella riduzione dei conflitti armati nel mondo, è intervenuto oggi ai lavori della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo e antisemitismo
di Giada Aquilino
Mettere insieme «l’integrità della vicenda umana», ponendo in condivisione anche quello che di «sporco» c’è in ognuno di noi, perché solo così è possibile intravedere una «piccola luce» nella drammaticità di ogni guerra. È l’esperienza di Rondine Cittadella della Pace, la realtà che — dal borgo medievale a pochi chilometri da Arezzo, dove ha sede — si impegna per la riduzione dei conflitti armati nel mondo. L’ha descritta stamani al Senato italiano, a Roma, il fondatore e presidente Franco Vaccari, intervenendo alla Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, presieduta da Liliana Segre.
Proprio la senatrice a vita, 93 anni, che ieri ha guidato una delegazione in visita al binario 21 della Stazione centrale di Milano, dal quale partivano i convogli carichi di ebrei e deportati politici per Auschwitz, ha salutato in videocollegamento Vaccari, raccontando l’incontro, anni fa, con Rondine: «Sono stata presa come in un abbraccio», ha detto Segre, definendo quel luogo scelto nel 2020 per la sua ultima testimonianza pubblica, «più consono a me» come «donna di pace».
Vaccari ha presentato la cittadella nel cuore della Toscana, nel contesto di «un tempo così buio, così difficile, così disorientante» come quello di oggi: nel pieno della guerra in corso a Gaza, lì sventolano una accanto all’altra la bandiera palestinese e quella israeliana, ha detto. Ma non solo: in quell’«agglomerato di case, grande come un francobollo», vengono ospitati ormai da oltre un quarto di secolo giovani fra i 22 e i 28 anni, ragazzi «che sono “dentro” la situazione della guerra o che l’hanno vissuta recentemente: in breve, noi diciamo che ospitiamo coppie di “giovani nemici”» ha detto Vaccari. Israeliani, palestinesi, ucraini, russi, armeni, azeri, per citarne alcuni, che «materialmente non si sono fatti del male l’un l’altro, ma appartengono a due gruppi che invece si sono procurati guerra, distruzione e lutto reciprocamente».
La via è quella dell’incontro, dunque, che a Rondine si traduce in dialogo e «concretezza», perché è «nella» relazione concreta che si può estirpare l’odio. «In questi 26 anni — ha riflettuto il fondatore di Rondine — abbiamo capito che israeliani e palestinesi, serbi e bosniaci, kosovari, ceceni, russi, armeni, azeri, maliani, di una fazione e dell’altra, sono vittime di un dolore terribile che ha seminato nel cuore le tossine dell’odio. E soltanto attraverso un dialogo con l’altra parte, questo odio in qualche modo può sciogliersi, il dolore può affiorare e può essere metabolizzato e cambiato». L’odio, ha proseguito, «produce un fantasma, il nemico, che è un inganno»: i giovani di Rondine, nel loro percorso di due anni, «fanno un lavoro intenso», avanti e indietro, per «superare l’odio di cui prendono consapevolezza» e guardare al futuro. Un cammino non facile, c’è chi è andato via, non sopportando lo «sporco» dell’altro, che di fatto poteva essere un calzino o una mentalità, e chi è rimasto, per scelta, trasformando il «dolore del mondo» in «relazioni concretissime»: perché quei giovani, «normali» e «coraggiosi» insieme, hanno «aperto una strada», verso sé stessi e gli altri.
Oggi il metodo Rondine è entrato anche nelle scuole italiane – al momento 25 – per essere «piccoli inceneritori di odio»: l’obiettivo cioè è quello di «lasciare cenere» degli «ingredienti» che lo alimentano, dalla paura alla rabbia. Ecco perché, aveva anticipato lo stesso Vaccari intervenendo poche ore prima al programma Radio Vaticana con Voi, al microfono di Andrea De Angelis, Rondine «non parla dei giovani, ma dà loro voce».