I 70 anni della Rai, specchio della storia e del costume italiani

Vatican News

Il 3 gennaio 1954 l’emittente di Stato accendeva ufficialmente le telecamere per avviare la sua programmazione, che in questi decenni ha contribuito a mutare profondamente il tessuto sociale e culturale della Paese

Maria MIlvia Morciano – Città del Vaticano

“La Rai, Radiotelevisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Sono le ore 11 del 3 gennaio 1954. È domenica. L’annunciatrice Fulvia Colombo scandisce le parole con dizione perfetta. Illustra il palinsesto della giornata, dalle inaugurazioni degli studi di Milano e dei trasmettitori di Roma e Torino, allo sport, poi un film diretto da Mario Soldati, “Le miserie del signor Prevet”, e ancora “Le avventure dell’arte” sul pittore veneziano GiamBattista Tiepolo, il telegiornale e infine l’ultima trasmissione, “L’osteria della posta” di Carlo Goldoni. Alla fine dell’annuncio si aprono le note ampie, solenni del finale del “Guglielmo Tell” di Rossini che diventa la sigla ufficiale del canale. Magari non tutti ne conoscono la paternità, ma ogni italiano riconosce sicuramente questo brano dell’opera, anche se oggi le programmazioni non terminano più con la notte ma sono a flusso continuo, e non accompagnano più la scansione delle giornate.

Sigle celebri

Le trasmissioni finivano entro la mezzanotte con le note di “Armonie del pianeta Saturno”, composizione moderna per oboe, arpa e archi di Roberto Lupi, che riesce incredibilmente a far percepire proprio il silenzio del cosmo e il suo lento movimento. Ancora oggi ben vivo è, invece, il Te Deum di Marc-Antoine Charpentier che fa da sigla alle trasmissioni in Eurovisione. Di recente ha subito un restyling, ma la melodia della sigla del telegiornale è tornata al formato classico dei primi tempi, composta da Ernesto Storace. 

Oggetto di desiderio e di aggragazione

Sono passati 70 anni e sembrano pochi in confronto ai cambiamenti epocali tecnologici, sociali, storici accaduti nel frattempo. Quando è nata, la televisione era un apparecchio ingombrante, un lusso concesso a pochi. In quel giorno fatidico gli abbonati privati erano solo 90, una cifra destinata a moltiplicarsi, in un’Italia povera, che sentiva ancora su di sé il peso del Dopoguerra, ma vitale e piena di speranza come sarebbe stata di lì a poco, con il boom economico degli anni ‘60.

A letto dopo il Carosello

La televisione dei primordi aveva un fine soprattutto di informazione ed educativo. Nel 1960, per otto anni, molto popolare era “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”, un programma televisivo condotto da Alberto Manzi che teneva delle vere e proprie lezioni di lettura e scrittura, un autentico servizio sociale contro una piaga allora ancora troppo diffusa. Ripensarci commuove, perché segna letteralmente i progressi del nostro Paese. Ci sono molti film, soprattutto degli anni Sessanta, che pongono al centro questo oggetto del desiderio collettivo, le cui trasmissioni all’inizio si seguivano nei luoghi pubblici, che diventavano luoghi di aggregazione. La gente correva nei bar, negli oratori, nelle case dei vicini più abbienti, magari portandosi la sedia da casa per non perdersi una puntata con Mike Bongiorno. Programmi, simili a riti collettivi, come i quiz o di varietà. Come “Carosello”, finiva alle 21 e per i più piccoli significava dover andare a dormire. Dal 1957 al 1977, questo piccolo programma fatto di episodi pubblicitari è stato popolarissimo, interpretato da attori e artisti che talvolta si sono fatti conoscere con slogan e battute diventate celebri, così come i jingle, talvolta veri e propri tormentoni.

Cambiamenti epocali

Ripercorrere questi settant’anni di Rai farà scoprire ai più giovani un’era lontana, ma ben viva nei ricordi degli adulti, specialmente dei nonni. Nel 1954 c’era solo il primo canale, al quale, nel 1961, si aggiunse il secondo e il terzo nel 1979. Ma Rai1, rimase quello ufficiale, come ancora oggi, che trasmette le dirette degli eventi istituzionali e religiosi più importanti, come il discorso annuale del presedente della Repubblica, la benedizone Urbi et Orbi del Papa… Ripercorrere 70 anni dicevamo: nella memoria di ciascuno sarà custodito l’uno o altro avvenimento in particolare. Indelebile l’allunaggio dell’Apollo 11, il 20 luglio 1969. Tito Stagno commentava con il fiato sospeso l’orma grigia sul suolo polveroso: Neil Armstrong posava il piede per la prima volta sulla luna.
Anche momenti drammatici, destinati a rimanere fissati nell’occhio della memoria: guerre, attentati, disastri naturali, con i volti e le voci dei protagonisti.

Il primo Papa in televisione

Papa Pio XII, nel 1949, apparve per la prima volta in televisione ancora prima del suo avvento in Italia. Fece un discorso in occasione della Pasqua del 1949, per un’emittente francese. Lo stesso Pacelli proprio due giorni prima dell’inaugurazione ufficiale delle trasmissioni televisive in Italia da parte della Rai, in una esortazione ai vescovi d’Italia riconosceva le potenzialità del mezzo televisivo: “Non è difficile rendersi conto degli innumerevoli vantaggi della Televisione, qualora essa, come Ci ripromettiamo, sia messa a servizio dell’uomo per il suo perfezionamento”, ma al contempo ne sottolineava i rischi: “Non è scevra di pericoli, per gli abusi e per le profanazioni a cui potrebbe essere condotta dalla debolezza e dalla malizia umana; pericoli tanto più gravi, quanto maggiore è la potenza suggestiva di questo strumento e quanto più vasto e indiscriminato è il pubblico a cui esso si dirige”.

La luna e l’occhio azzurrino dello schermo

La televisione diventa testimone di un cambiamento anche nei modi della comunicazione dei Papi. Del loro progressivo avvicinamento, nei gesti e nelle parole, ai fedeli di tutto il mondo. Non più soltanto quelli radunati in Piazza San Pietro o collegati alla radio, diventava possibile avvicinarsi anche negli sguardi, nei gesti e nei sorrisi. Ricordiamo per tutti il “Discorso della luna”, l’11 ottobre 1962,  ai fedeli in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, chiamato così proprio da un cameramen Rai, Claudio Speranza che puntò, nel buio, la sua telecamera riprendendo la luna che sorgeva. Proprio in quel momento la finestra del palazzo apostolico si aprì. Anche il Papa, Giovanni XXIII, si accorse di quanto splendeva quella sera e, a braccio, disse: “Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la Luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo”.

Dalla telefonata alla presenza in uno studio televisivo

Durante la trasmissione “Porta a Porta”, il 13 ottobre 1998, Papa Giovanni Paolo II telefonò in diretta per ringraziare Bruno Vespa che gli aveva dedicato una puntata speciale per i 20 anni del suo Pontificato: “Buonasera signor Vespa”. Il giornalista a quella voce vacillò: “Anche i giornalisti hanno un’anima”. In tempi recenti è Papa Francesco a compiere un altro gesto inedito, storico: l’anno scorso, il 4 giugno 2023, è stata la prima volta nella storia che un Papa sia entrato in uno studio televisivo, quello di Saxa Rubra, per partecipare allo speciale della trasmissione di Rai1 “A sua immagine” condotto da Serena Bianchetti.