La penuria di lavoro spinge i giovani a emigrare non solo nel continente africano ma anche, con la guerra in Medio Oriente, verso le aziende agricole israeliane. A garantire nel Paese una fonte di promozione umana, educativa e sanitaria continua a essere la presenza dei missionari. Suor Tornaghi, canossiana, denuncia le criticità di una democrazia ancora acerba, la pervasività delle superstizioni nella fede: “Eppure, io qui sono una religiosa contenta”
Antonella Palermo – Città del Vaticano
È uno dei Paesi più fragili dell’Africa meridionale con quasi tre quarti della popolazione di oltre 20 milioni di persone che vive al di sotto della soglia di povertà. È il Malawi dove, pur di sfuggire alla miseria, centinaia di giovani sono in fila, pronti ad andare in Israele per occupare i posti lasciati vacanti nelle aziende agricole da più di 10 mila braccianti, principalmente thailandesi, e dai palestinesi, a cui è impedito di lavorare. È il ministero del Lavoro malawiano a incentivare l’invio di manodopera in Medio Oriente, anche nella speranza di poter far apprendere metodi di produzione più avanzati nel settore. “Tanta gente non crede alla versione del governo, pensa che siano mandati alla guerra”, confida una religiosa. Di fatto, i malawiani sono abituati ad emigrare pur di trovare un lavoro, verso le miniere del Sud Africa, dello Zimbabwe e dello Zambia. La nazione infatti è priva di risorse energetiche e minerarie, il che, se da un lato non ha prodotto sviluppo, dall’altro tuttavia l’ha preservata dalle mire delle grandi potenze economiche.
Ancora nessun aiuto per i danni del ciclone Freddy
La povertà si è acuita anche a causa del cambiamento climatico. In effetti, il Malawi ha fatto suo malgrado parlare di sé in occasione del passaggio, nei mesi di febbraio e marzo di quest’anno, del ciclone più lungo mai registrato al mondo, Freddy. Un evento dalle proporzioni gigantesche che ha causato cinquecento morti e cinque milioni di profughi climatici, nonché un serio aggravamento dell’epidemia di colera che pure ha messo in ginocchio il Paese. Da allora “la situazione non è bella, gli aiuti sono arrivati e tanti, sono arrivati al governo, sono arrivati alla Chiesa, sono arrivati alle onlus, non sono però ancora arrivati alla gente colpita”, denuncia madre Giovanna Tosi, superiora generale delle Canossiane, da poco rientrata in Italia dopo quarant’anni di missione in Malawi. “Tantissima gente vive ancora nei campi, in situazioni difficili, senza cibo, senza coperte, senza i bisogni primari della vita quotidiana”, spiega. È un motivo di delusione per lei che così tanto si è spesa accanto ai malawiani anche grazie all’aiuto della onlus Punto Malawi. Un impegno che l’ha resa peraltro meritevole dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella, su nomina diretta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e di cui è stata insignita nel settembre scorso considerato soprattutto la sua capacità di tessere relazioni tra Italia e Africa.
Le bande giovanili minano il “cuore caldo dell’Africa”
Proprio dai missionari, per lo più italiani, viene portato avanti il processo di promozione umanitaria in quello che è denominato “Il cuore caldo dell’Africa” per la cordialità e ospitalità del suo popolo. In Malawi le canossiane hanno cinque comunità e sono impegnate in due grandi scuole, una primaria e una secondaria, e un doposcuola per i bambini dei villaggi vicini. Gestiscono inoltre asili, un ospedale e soprattutto la collaborazione con le parrocchie a tutti i livelli. Suor Luisa Tornaghi, nel Paese dal 1975, fa parte del primo gruppo di tre suore dell’Istituto arrivate qui. Cosa è cambiato in Malawi dopo tanti anni? “Tanto e niente. A livello di città, certamente si vede un po’ di sviluppo, costruzioni, strade… A livello di villaggio, poco”, ci racconta. “Molta gente ancora vive in capanne col tetto di paglia e quando piove la casa si allaga. Così pure accade alle scuole. Lo stile di vita urbano risente di quello occidentale, ma qui il rischio è di copiare semplicemente le cose che attraggono anche se non sono di aiuto. I valori della cultura, che pure è ricca, e a me ha insegnato molto, si vanno perdendo, le famiglie non tengono più, i figli sono abbandonati in cura alle nonne anziane. I giovani vogliono solo arricchirsi, anche in modi non appropriati”, sottolinea. Suor Luisa tocca il tema delle gang che coinvolgono molti ragazzi i quali, pur avendo un diploma, sono disoccupati e finiscono per essere invischiati in questi circuiti. “Quel clima di serenità e apertura, di accoglienza che c’era molti anni fa, è sostituito dalla paura dell’altro”.
Puntare sulla formazione per vivere una vera democrazia
Suor Luisa si fa portavoce, senza infingimenti, di quello che, a suo dire, dovrebbe portare a un vero slancio in Malawi: “Ci deve essere un cambio di mentalità. Il Paese è stato sotto un regime dittatoriale per trenta lunghi e sofferti anni. La democrazia – ricorda – è iniziata praticamente con una lettera pastorale dei vescovi, letta in tutte le chiese del Malawi la prima domenica di Quaresima del 1992. La gente non era preparata, non sapeva cosa volesse dire ‘democrazia’ ed è stata intesa come libertà sfrenata, fatta solo di diritti senza doveri. La gente deve prendersi le proprie responsabilità per la propria vita e il proprio futuro, non dovrebbe aspettarsi tutto dagli altri: governo, organizzazioni internazionali… Bisognerebbe prendersi cura del proprio Paese”. È convinta che se ci fosse molta più educazione civica nelle scuole le cose andrebbero meglio. Da qui, la forte dedizione delle Figlie della Carità nell’ambito pedagogico.
La corruzione e “i poveri sempre più poveri”
L’agricoltura, che serve solo al minimo sostentamento familiare, dipende da pioggie sempre più irregolari, fenomeno a sua volta reso rischioso per via della devastazione operata sulle foreste per ricavare la carbonella per cucinare e scaldarsi. “La gente con tanta fiducia ha piantato il mais, il nostro alimento base, ma da tre settimane non piove più e il mais sta morendo. Già c’è fame ora – lamenta Luisa – la gente sopravvive con i mango, cosa succederà la prossima stagione?”. La religiosa aggiunge che a livello governativo non si riescono a trovare soluzioni: “L’elettricità e il gas hanno un prezzo proibitivo”, afferma. Sarebbe opportuno sfruttare la ricchezza di acqua costituita dalla presenza dell’enorme lago, lungo circa 600 chilometri e profondo, ma il progetto è costosissimo, precisa sempre suor Tornaghi: “Si tratterebbe di portare l’acqua del lago alla capitale. I soldi c’erano, ora non ci sono più, il caso è in tribunale”. Suor Tornaghi denuncia la questione della corruzione, quella che lei definisce “il grande male” del Malawi. “Molti aiuti entrano nel Paese per diversi progetti, ma nessuno va in porto e naturalmente c’è gente che si arricchisce in questo, mentre i poveri diventano sempre più poveri. Non dico niente di nuovo naturalmente, ma in Malawi la situazione è grave”. Dalla voce di suor Luisa arriva una chiara esortazione: “Se i finanziamenti fossero impiegati nel potenziamento del turismo, nel far crescere una agricoltura commerciale, nel valorizzare le riserve naturali, invece che in ruberie, ci sarebbe lavoro, produttività, export…”.
L’impegno missionario per una fede libera e adulta
Eppure la gente, non perde la fiducia, nonostante qui un bambino su otto muoia sotto i cinque anni e il virus dell’HIV arrivi ancora a contagiare migliaia di persone. “Mi mettono in crisi, i malawiani, quando dicono, con convinzione Mulungu adziwa (“Dio sa”). È un popolo molto religioso, le chiese sono ancora piene, anche di giovani, sia le chiese cattoliche che quelle protestanti. I gruppi evangelici – evidenzia la suora – crescono ogni giorno di numero, come pure i musulmani”. Suor Luisa spiega inoltre che, anche tra i fedeli, la missione si ‘scontra’ con la diffusione radicata della credenza nel malocchio, negli stregoni, nel satanismo. “Sono situazioni che i missionari ancora incontrano ogni giorno, nonostante la modernizzazione del pensiero. La gente ha ancora bisogno di essere liberata da queste credenze che sono contro la vita e la pace interiore”. Nonostante questi ‘intralci’, la gratificazione di suor Luisa è forte. Ottantuno anni, di cui 20 passati a insegnare religione in varie scuole con studenti di diverse denominazioni e religioni. “Ancora oggi incontro signore e signori che mi chiamano per nome. Io non li riconosco, ma loro si ricordano e alcuni aggiungono: ‘Quello che sono ora lo devo a te’. E io rispondo: ‘Non a me, ma allo Spirito Santo che mi ha sempre guidato'”.