Francesca Lancellotti, una donna del popolo dai grandi carismi

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Monsignor Paolo Rizzi, postulatore della casua della nuova Venerabile, traccia il profilo della laica e madre di famiglia: un esempio del “genio femminile” messo in luce da Giovanni Paolo II

Paolo Rizzi

L’annuncio che il Dicastero delle Cause dei Santi, per mandato del Santo Padre, ha riconosciuto le virtù eroiche di Francesca Lancellotti (Oppido Lucano 1917-Roma 2008), fedele laica e madre di famiglia, che ora possiamo chiamare Venerabile, rallegra quanti hanno a cuore un autentico protagonismo della donna nella Chiesa. Questa umile donna del popolo, dotata di grandi carismi, si è sentita chiamata da Dio a dedicarsi alla conversione dei lontani dalla fede, mediante la preghiera, il ministero dell’ascolto, della consolazione e della guarigione dei cuori. È vissuta in un tempo in cui il modello di donna più collaudato era quello della “donna di casa”, per la quale non c’era spazio anche per la valorizzazione ecclesiale. Tuttavia, Francesca mostrò quel “genio femminile”, di cui ha parlato San Giovanni Paolo II, realizzando un fecondo apostolato.

Il bisogno di sentirsi costantemente in comunione con il Signore, nasceva dalla sua grande fede che la spingeva a una obbedienza docilissima, che la portò nell’estate del 1960 a lasciare la sua terra di origine per trasferirsi a Roma, a seguito della visione dell’Arcangelo Michele che le disse “Vai a Roma, avvicinerai tanta gente a Dio”. Uno stravolgimento di vita che comportò distacco e tormento interiore. Tuttavia, partì senza prospettive certe, in una logica di abbandono alla divina Provvidenza. Gli inizi della sua missione romana risalgono a un torno di tempo in cui si avvertivano i prodromi rivendicativi di autonomia e indipendenza, in un quadro di disobbedienze e di contestazione dell’autorità a ogni livello e in ogni ambito, che sfoceranno nella contestazione del 1968.

Tale missione si è dispiegata in un quarantennio. Uno spazio temporale composito nel quale sono emerse problematiche differenti, come pure grandi inquietudini sociali ed ecclesiali: emergenze sociali, disuguaglianze, ingiustizie e disagi. Accanto a questi fermenti e angustie, vi erano le intime sofferenze morali di singoli e famiglie. Francesca si è dedicata a queste povertà spirituali con la sua incrollabile fede e con l’ardore della sua carità. Ad imitazione di Gesù, il medico delle anime, è diventata “infermiera” di anime, le più sconfitte, le più malate, le più bisognose del soccorso celeste. Ha vissuto come donna religiosissima e di intensa preghiera; come sposa e madre premurosa e come discepola di Cristo impegnata nell’apostolato di prossimità alle persone più fragili.

Proprio quando molte donne, le cosiddette “femministe”, andando contro ogni forma di ordine costituito, trovavano nella ribellione a tutto e nell’adesione a ideologie utopistiche un’illusoria soluzione dei loro problemi, Francesca riusciva a riproporre l’obbedienza a Dio come la soluzione alle domande sul senso dell’esistenza. Inoltre, nella stagione segnata da varie precarietà, dalla violenza, dalle contrapposizioni sociali e ideologiche, ha mostrato la necessità e la possibilità di essere donna della pace, della consolazione e della solidarietà fraterna.

Con questo suo atteggiamento controcorrente, che racchiude in sé i segni della profezia, ha indicato nell’obbedienza ai progetti del Signore e nella carità evangelica la strada per conseguire l’autentico progresso umano, sociale e spirituale. È diventata così modello di discepola del Signore, offrendo risposte evangeliche ai bisogni spirituali e materiali, come pure alle istanze più profonde degli uomini del suo tempo, specialmente dei sofferenti e dei poveri, testimoniando la perenne attualità del Vangelo.